La lezione di democrazia è la cosa più importante e si articola su
più livelli. Dobbiamo apprezzare la decisione del Primo Ministro
britannico, David Cameron, di lasciare che le diverse posizioni
divergenti si esprimessero, anche all’interno dello stesso partito
conservatore e del governo. Allo stesso modo dobbiamo apprezzare la
maturità degli elettori britannici che, pur legittimamente sconvolti
dalla tragedia dell’omicidio della deputata laburista Jo Cox non si sono
lasciati sopraffare dalle emozioni e hanno mantenuto ferme le loro
posizioni in favore di un’uscita dall’UE.
Va detto che non tutto è stato perfetto in questa campagna elettorale. Ci sono stati degli eccessi da entrambe le parti, ci sono state bugie, come quelle di George Osborne [1], il Ministro delle Finanze, e di tutti quelli con licenza di catastrofismo dalla parte di Bruxelles. La copertura mediatica è stata sbilanciata in favore del “Remain”, ma meno di quanto sarebbe avvenuto se il voto si fosse tenuto in Francia [2]. Era evidente come l’élite finanziaria stesse facendo una campagna isterica affinché il Regno Unito votasse per restare nell’UE. E questa cerchia di persone ha in mano la vera arma da guerra: i soldi. Ma abbiamo visto anche come gli elettori non si siano lasciati particolarmente influenzare dal potere del denaro e dagli argomenti che le autorità hanno riversato sui media. Il successo della Brexit può in questo senso essere paragonato al successo che ebbe il “No” al progetto del Trattato Costituzionale Europeo nel Referendum del 2005 in Francia. In entrambi i casi un elettorato popolare e operaio ha resistito contro le autoproclamate “élite” e i giornalisti a loro libro paga. Il nuovo leader del partito laburista, Jeremy Corbyn, che ha fatto campagna a favore del “Remain”, dell’UE, è stato sconfessato da una parte importante del suo elettorato. Entrambi i referendum riflettono la vitalità dei sentimenti democratici da entrambi i lati della Manica. Il referendum britannico, inoltre, si è dimostrato un vero e proprio colpo per il Presidente degli Stati Uniti, che alcune settimane fa aveva viaggiato in Gran Bretagna per invitare gli elettori a rimanere nell’Unione Europea, a testimonianza di quale sia la vera natura dell’UE.
Come ultimo elemento di questa lezione di democrazia, David Cameron ha detto di avere compreso la decisione del popolo britannico e che questa sarà rispettata, che avrebbe avviato il processo legale per l’uscita della Gran Bretagna dall’UE. Anche qui c’è una importante differenza con il comportamento delle élite politiche francesi, che hanno continuamente messo in atto decisioni che erano ampiamente respinte dal loro elettorato.
Ritorno delle Nazioni e negazione della realtà
Questa lezione di democrazia avrà delle conseguenze importanti per il futuro. Non tanto in termini di conseguenze finanziarie. Le turbolenze dei mercati finanziari dureranno qualche giorno, poi si calmeranno quando gli operatori di borsa si accorgeranno che il voto non interrompe di certo i flussi di merci o la produzione. La Norvegia e la Svizzera non sono membri dell’UE, e non se la passano male, se guardiamo le statistiche economiche. Le conseguenze più importanti saranno, evidentemente, politiche.
Dobbiamo ricordare che questo è il primo voto con il quale un paese membro dell’UE, e prima ancora della Comunità Economica Europea, cioè quello che viene chiamato il mercato comune, prende la decisione democratica di separarsi da questa istituzione. L’impatto sarà importante sia perché costituisce un precedente, sia perché può dare luogo a imitazioni. Si può già vedere come in altri paesi, quali l’Olanda, la Danimarca o la stessa Francia, questo voto stia dando ispirazione ai diversi partiti euroscettici. Oltre alla vittoria nelle elezioni amministrative italiane del Movimento 5 Stelle, cosiddetto “populista” di Beppe Grillo, o la sconfitta sul filo del rasoio del candidato del Partito delle Libertà alle elezioni presidenziali in Austria (ma questo risultato è ora oggetto di un ricorso), la Brexit mostra che è in atto una forma di ribellione verso l’Unione Europea. Le cose si muovono, come abbiamo potuto vedere nello studio realizzato dal Pew Research Center, che ha mostrato una prevalenza dei pareri negativi verso l’UE rispetto a quelli positivi in quattro paesi: Spagna, Grecia, Francia e Regno Unito [3].
Il voto britannico non avviene per caso. È solo a dimostrazione dell’enormità della negazione di realtà da parte delle élite europeiste che esso può giungere come una sorpresa. La politica della negazione è quella che è. Non ci possiamo aspettare una vera messa in discussione delle opzioni della politica europea da parte delle stesse persone che le hanno implementate. È quindi probabile che assisteremo, nelle prossime settimane, a un’escalation di queste politiche. Ma i fatti sono testardi: tutto l’impegno verso maggiore “federalismo”, tutte le opzioni “sovranazionali” non portano ad altro che a una maggiore resistenza da parte dei cittadini. E speriamo che questi vengano consultati rapidamente, perché in caso contrario la resistenza potrebbe anche assumere forme violente.
Questo voto britannico porta con sé la condanna della forma del progetto europeo. La logica e il buon senso vorrebbero che si prendesse atto di questo e che si tornasse a forme più rispettose della sovranità e quindi della democrazia, nel quadro delle nazioni che costituiscono l’Europa.
L’importanza e l’impasse della “sinistra” nella lotta per la sovranità
C’è ancora un’ultima lezione. La vittoria della Brexit in Gran Bretagna è stata possibile solo grazie a una parte dell’elettorato laburista che, come abbiamo detto, ha votato in modo contrario alle indicazioni date dalla direzione del suo partito. Questo porta a due osservazioni. La prima è sulla cecità dei partiti socialdemocratici, che si rifiutano di ammettere che le conseguenze concrete dell’Unione Europea sono negative per le classi popolari. I regolamenti europei sono stati il cavallo di Troia della deregolamentazione e della finanziarizzazione delle economie nazionali. Continuare oggi a fingere di poter cambiare l’UE dall’interno, fare discorsi sulla “Europa sociale” è una menzogna che si trasforma in un’impasse strategica. Questa menzogna deve essere denunciata continuamente se vogliamo che la sinistra possa uscire dall’impasse nel quale si è cacciata.
La seconda osservazione riguarda l’importanza, per il successo di un voto che si potrebbe definire “sovranista” di un elettorato tradizionalmente situato a sinistra. Questo elettorato si può impegnare solo attraverso mediazioni politiche specifiche. In Gran Bretagna i comitati “Laburisti per la Brexit” sono stati determinanti per il voto di uscita dall’UE. Possiamo comprendere l’importanza delle forme autonome di organizzazione dell’elettorato di sinistra affinché possa esprimersi per delle opzioni sovraniste.
Va detto che non tutto è stato perfetto in questa campagna elettorale. Ci sono stati degli eccessi da entrambe le parti, ci sono state bugie, come quelle di George Osborne [1], il Ministro delle Finanze, e di tutti quelli con licenza di catastrofismo dalla parte di Bruxelles. La copertura mediatica è stata sbilanciata in favore del “Remain”, ma meno di quanto sarebbe avvenuto se il voto si fosse tenuto in Francia [2]. Era evidente come l’élite finanziaria stesse facendo una campagna isterica affinché il Regno Unito votasse per restare nell’UE. E questa cerchia di persone ha in mano la vera arma da guerra: i soldi. Ma abbiamo visto anche come gli elettori non si siano lasciati particolarmente influenzare dal potere del denaro e dagli argomenti che le autorità hanno riversato sui media. Il successo della Brexit può in questo senso essere paragonato al successo che ebbe il “No” al progetto del Trattato Costituzionale Europeo nel Referendum del 2005 in Francia. In entrambi i casi un elettorato popolare e operaio ha resistito contro le autoproclamate “élite” e i giornalisti a loro libro paga. Il nuovo leader del partito laburista, Jeremy Corbyn, che ha fatto campagna a favore del “Remain”, dell’UE, è stato sconfessato da una parte importante del suo elettorato. Entrambi i referendum riflettono la vitalità dei sentimenti democratici da entrambi i lati della Manica. Il referendum britannico, inoltre, si è dimostrato un vero e proprio colpo per il Presidente degli Stati Uniti, che alcune settimane fa aveva viaggiato in Gran Bretagna per invitare gli elettori a rimanere nell’Unione Europea, a testimonianza di quale sia la vera natura dell’UE.
Come ultimo elemento di questa lezione di democrazia, David Cameron ha detto di avere compreso la decisione del popolo britannico e che questa sarà rispettata, che avrebbe avviato il processo legale per l’uscita della Gran Bretagna dall’UE. Anche qui c’è una importante differenza con il comportamento delle élite politiche francesi, che hanno continuamente messo in atto decisioni che erano ampiamente respinte dal loro elettorato.
Ritorno delle Nazioni e negazione della realtà
Questa lezione di democrazia avrà delle conseguenze importanti per il futuro. Non tanto in termini di conseguenze finanziarie. Le turbolenze dei mercati finanziari dureranno qualche giorno, poi si calmeranno quando gli operatori di borsa si accorgeranno che il voto non interrompe di certo i flussi di merci o la produzione. La Norvegia e la Svizzera non sono membri dell’UE, e non se la passano male, se guardiamo le statistiche economiche. Le conseguenze più importanti saranno, evidentemente, politiche.
Dobbiamo ricordare che questo è il primo voto con il quale un paese membro dell’UE, e prima ancora della Comunità Economica Europea, cioè quello che viene chiamato il mercato comune, prende la decisione democratica di separarsi da questa istituzione. L’impatto sarà importante sia perché costituisce un precedente, sia perché può dare luogo a imitazioni. Si può già vedere come in altri paesi, quali l’Olanda, la Danimarca o la stessa Francia, questo voto stia dando ispirazione ai diversi partiti euroscettici. Oltre alla vittoria nelle elezioni amministrative italiane del Movimento 5 Stelle, cosiddetto “populista” di Beppe Grillo, o la sconfitta sul filo del rasoio del candidato del Partito delle Libertà alle elezioni presidenziali in Austria (ma questo risultato è ora oggetto di un ricorso), la Brexit mostra che è in atto una forma di ribellione verso l’Unione Europea. Le cose si muovono, come abbiamo potuto vedere nello studio realizzato dal Pew Research Center, che ha mostrato una prevalenza dei pareri negativi verso l’UE rispetto a quelli positivi in quattro paesi: Spagna, Grecia, Francia e Regno Unito [3].
Il voto britannico non avviene per caso. È solo a dimostrazione dell’enormità della negazione di realtà da parte delle élite europeiste che esso può giungere come una sorpresa. La politica della negazione è quella che è. Non ci possiamo aspettare una vera messa in discussione delle opzioni della politica europea da parte delle stesse persone che le hanno implementate. È quindi probabile che assisteremo, nelle prossime settimane, a un’escalation di queste politiche. Ma i fatti sono testardi: tutto l’impegno verso maggiore “federalismo”, tutte le opzioni “sovranazionali” non portano ad altro che a una maggiore resistenza da parte dei cittadini. E speriamo che questi vengano consultati rapidamente, perché in caso contrario la resistenza potrebbe anche assumere forme violente.
Questo voto britannico porta con sé la condanna della forma del progetto europeo. La logica e il buon senso vorrebbero che si prendesse atto di questo e che si tornasse a forme più rispettose della sovranità e quindi della democrazia, nel quadro delle nazioni che costituiscono l’Europa.
L’importanza e l’impasse della “sinistra” nella lotta per la sovranità
C’è ancora un’ultima lezione. La vittoria della Brexit in Gran Bretagna è stata possibile solo grazie a una parte dell’elettorato laburista che, come abbiamo detto, ha votato in modo contrario alle indicazioni date dalla direzione del suo partito. Questo porta a due osservazioni. La prima è sulla cecità dei partiti socialdemocratici, che si rifiutano di ammettere che le conseguenze concrete dell’Unione Europea sono negative per le classi popolari. I regolamenti europei sono stati il cavallo di Troia della deregolamentazione e della finanziarizzazione delle economie nazionali. Continuare oggi a fingere di poter cambiare l’UE dall’interno, fare discorsi sulla “Europa sociale” è una menzogna che si trasforma in un’impasse strategica. Questa menzogna deve essere denunciata continuamente se vogliamo che la sinistra possa uscire dall’impasse nel quale si è cacciata.
La seconda osservazione riguarda l’importanza, per il successo di un voto che si potrebbe definire “sovranista” di un elettorato tradizionalmente situato a sinistra. Questo elettorato si può impegnare solo attraverso mediazioni politiche specifiche. In Gran Bretagna i comitati “Laburisti per la Brexit” sono stati determinanti per il voto di uscita dall’UE. Possiamo comprendere l’importanza delle forme autonome di organizzazione dell’elettorato di sinistra affinché possa esprimersi per delle opzioni sovraniste.
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