La Banca Mondiale guida la cordata dell’onnipotente lobby che
predica l’inclusione finanziaria per tutti gli abitanti del pianeta.
Servirebbe, dicono i portavoce della finanza, a combattere il
riciclaggio e il narcotraffico. La vera ambizione, però, è quella di
ridurre a cifre trascurabili il numero dei refrattari ai servizi offerti
dalle banche e dei poveri che rifiutano di aprire un conto. Si potrebbe
finalmente sancire così la dipendenza dal sistema bancario dell’intera
popolazione mondiale. Il passo successivo del controllo dettagliato e di
un dominio veramente completo sarebbe l’eliminazione dell’uso dei
contanti. Raúl Zibechi analizza le possibili ragioni della mancanza di
una discussione seria tra chi si oppone al dominio del denaro sulle
persone su un tema tanto decisivo per l’affermazione del capitale
finanziario a spese delle fasce sociali più deboli e della vita stessa
di Raúl Zibechi - L’inclusione finanziaria è una delle principali iniziative neoliberali: perciò è difficile accettare lo scarso dibattito esistente tra coloro che si proclamano nemici di questo modello incentrato sul dominio del capitale finanziario. La Banca Mondiale (BM) è la principale promotrice dell’inclusione finanziaria, con l’obiettivo che tutta la popolazione del mondo dipenda dal sistema bancario che, da parte sua, intende eliminare il denaro fisico.
La tesi iniziale era che l’inclusione finanziaria è necessaria per la lotta al riciclaggio del denaro e al narcotraffico. In seguito, la stessa banca è andata aggiungendo nuove argomentazioni, molto simili a quelle che utilizza per la “lotta alla povertà”. Nel 2015, sulla sua pagina web diceva: “Due miliardi di persone, ovvero il 38 per cento degli adulti nel mondo, non utilizzano i servizi finanziari formali e una percentuale ancora maggiore di poveri non ha un conto in banca”.
La Banca Mondiale difende le tesi secondo cui l’inclusione finanziaria contribuisce a ridurre la povertà, a “conferire maggior autonomia alle donne” e a “promuovere la prosperità condivisa”. Tra i suoi obiettivi c’è quello che tutte le entrate e le spese dei settori popolari siano effettuati per via elettronica e incoraggia il pagamento delle prestazioni sociali non in contanti, bensì attraverso il sistema bancario, così come già avviene in diversi paesi.
A breve termine, la Banca Mondiale punta a “raggiungere un altro miliardo di persone, che oggi si ritrovano escluse dal sistema finanziario” e utilizza perfino la parola chiave “esclusione”, per dare l’impressione che si tratti di persone con carenze e che l’accesso ai servizi finanziari sia la chiave per la loro inclusione come cittadini. Il presidente della Banca Mondiale, Jim Yong Kim, ha imposto degli obiettivi per offrire l’accesso universale ai servizi finanziari a tutti gli adulti in età lavorativa, al massimo nel 2020.
L’obiettivo è portare avanti la bancarizzazione nei paesi emergenti e del sud del mondo. Negli Stati Uniti e in Europa, le persone che non hanno un conto in banca sono meno del 20 per cento, cifra che in America Latina arriva al 50 per cento e in diversi paesi dell’Africa supera l’80 per cento della popolazione.
Quello che a dir poco colpisce è che i governi progressisti abbiano adottato questa politica senza aver preventivamente aperto una discussione. In Brasile, tra il 2001 e il 2015, il salario è cresciuto dell’80 per cento ma il credito individuale è aumentato del 140. Il risultato è una crescita esponenziale del consumismo e dell’indebitamento delle famiglie: nel 2015, il 48 per cento del loro reddito era destinato al pagamento dei debiti, rispetto al 22 per cento del 2006.
L’inclusione finanziaria è il primo passo verso l’eliminazione del denaro fisico: con ciò dipenderemo tutti dalla banca e dal sistema finanziario, annullando o rendendo estremamente difficile la nostra autonomia individuale e collettiva. Si tratta di una forma “micro” del dominio a tutto tondo. In diversi paesi, come l’Uruguay, sono già state imposte delle limitazioni alla quantità di denaro che si può prelevare dai bancomat e quest’anno i viaggi in taxi devono essere pagati con carte di debito o credito.
In Germania c’è una campagna contro l’eliminazione del denaro fisico, con lo slogan “Il contante ti protegge dal controllo dello Stato”. Diversi gruppi politici condannano le limitazioni sul denaro contante. Konstantin von Notz, deputato del Partito dei Verdi, ne ha spiegato le ragioni sul suo profilo Twitter: “Nelle operazioni di ogni giorno, il contante ci permette di rimanere nell’anonimato. In una democrazia costituzionale, è una libertà che deve essere difesa” (The Guardian).
I dati mostrano una chiara divergenza tra il comportamento dei tedeschi e quello di altri cittadini di paesi sviluppati. Nel 2013, in Germania, solamente il 18 per cento dei pagamenti sono stati effettuati tramite carte bancarie, a fronte del 59 per cento in Gran Bretagna, del 54 per negli Stati Uniti e del 50 in Francia; ogni cinque fatture, quattro sono pagate con banconote e monete.
Ritengo che ci siano due ragioni per cui l’inclusione finanziaria e la scomparsa del denaro fisico non fanno parte delle discussioni necessarie al pensiero critico latinoamericano, tra le sinistre e i movimenti popolari.
La prima è la scelta di non mettere in discussione le attuali basi del capitalismo, cioè di non mettere sotto i riflettori quel famoso uno per cento della popolazione, sebbene i discorsi dicano il contrario. Il capitale finanziario gioca un ruolo centrale nel mondo attuale e contendergli il potere comporta il fatto di giocare forte, tanto da mettere a rischio il mantenimento delle poltrone presidenziali e i benefici che solitamente hanno i dirigenti politici, dal momento che questo settore detiene una grande capacità di provocare crisi e di accelerare la caduta di qualsiasi governo.
Attraversiamo un periodo di adattamento al sistema da parte delle sinistre e del progressismo. È più facile criticare l’imperialismo in astratto che lavorare con le proprie basi sociali intrappolate nel consumismo – e quindi, attraverso la banca, con il capitale finanziario – affinché superino la cultura del consumo. La sconfitta culturale nel campo popolare ha portato a rifiutare il conflitto come fonte dei cambiamenti e a sovrastimare la questione elettorale.
La seconda ragione riguarda appieno il pensiero e i pensatori critici. Si può definire come l’incapacità di andare contro il senso comune, l’adattarsi alla realtà e il non mettere in discussione le idee egemoniche tra i settori popolari a causa della mancanza di coinvolgimento con loro. È impossibile avanzare se non si è capaci di nuotare controcorrente, il che evidentemente implica un certo isolamento, sia dalle istituzioni statali che dalla parte di popolazione che ancora crede in esse.
Se il capitale riesce a consolidare un tipo di società basata sul consumo di massa, avrà trovato la soluzione al principale ostacolo per il suo dominio: l’esistenza di eterogeneità strutturali e sociali. Anche se una parte della sinistra pensa che si tratti di residui del passato, senza mercati ambulanti, tequio [lavoro collettivo svolto dagli abitanti di un villaggio a favore della comunità] e reciprocità non possiamo nemmeno sognare di superare il capitalismo.
Articolo pubblicato su La Jornada con il titolo Inclusión financiera y dominación de espectro completo.
Traduzione per Comune-info: Daniela Cavallo
Raúl Zibechi, scrittore e giornalista uruguayano dalla parte delle società in movimento, è redattore del settimanale Brecha. I suoi articoli vengono pubblicati con puntualità in molti paesi del mondo, a cominciare dal Messico, dove Zibechi scrive regolarmente per la Jornada. In Italia ha collaborato per oltre dieci anni con Carta e ha pubblicato diversi libri: Il paradosso zapatista. La guerriglia antimilitarista nel Chiapas, Eleuthera; Genealogia della rivolta. Argentina. La società in movimento, Luca Sossella Editore; Disperdere il potere. Le comunità aymara oltre lo Stato boliviano, Carta. Territori in resistenza. Periferia urbana in America latina, Nova Delphi. L’edizione italiana del suo ultimo libro, “Alba di mondi altri” è stata stampata in Italia nel luglio 2015 dalle edizioni Museodei.
di Raúl Zibechi - L’inclusione finanziaria è una delle principali iniziative neoliberali: perciò è difficile accettare lo scarso dibattito esistente tra coloro che si proclamano nemici di questo modello incentrato sul dominio del capitale finanziario. La Banca Mondiale (BM) è la principale promotrice dell’inclusione finanziaria, con l’obiettivo che tutta la popolazione del mondo dipenda dal sistema bancario che, da parte sua, intende eliminare il denaro fisico.
La tesi iniziale era che l’inclusione finanziaria è necessaria per la lotta al riciclaggio del denaro e al narcotraffico. In seguito, la stessa banca è andata aggiungendo nuove argomentazioni, molto simili a quelle che utilizza per la “lotta alla povertà”. Nel 2015, sulla sua pagina web diceva: “Due miliardi di persone, ovvero il 38 per cento degli adulti nel mondo, non utilizzano i servizi finanziari formali e una percentuale ancora maggiore di poveri non ha un conto in banca”.
La Banca Mondiale difende le tesi secondo cui l’inclusione finanziaria contribuisce a ridurre la povertà, a “conferire maggior autonomia alle donne” e a “promuovere la prosperità condivisa”. Tra i suoi obiettivi c’è quello che tutte le entrate e le spese dei settori popolari siano effettuati per via elettronica e incoraggia il pagamento delle prestazioni sociali non in contanti, bensì attraverso il sistema bancario, così come già avviene in diversi paesi.
A breve termine, la Banca Mondiale punta a “raggiungere un altro miliardo di persone, che oggi si ritrovano escluse dal sistema finanziario” e utilizza perfino la parola chiave “esclusione”, per dare l’impressione che si tratti di persone con carenze e che l’accesso ai servizi finanziari sia la chiave per la loro inclusione come cittadini. Il presidente della Banca Mondiale, Jim Yong Kim, ha imposto degli obiettivi per offrire l’accesso universale ai servizi finanziari a tutti gli adulti in età lavorativa, al massimo nel 2020.
L’obiettivo è portare avanti la bancarizzazione nei paesi emergenti e del sud del mondo. Negli Stati Uniti e in Europa, le persone che non hanno un conto in banca sono meno del 20 per cento, cifra che in America Latina arriva al 50 per cento e in diversi paesi dell’Africa supera l’80 per cento della popolazione.
Quello che a dir poco colpisce è che i governi progressisti abbiano adottato questa politica senza aver preventivamente aperto una discussione. In Brasile, tra il 2001 e il 2015, il salario è cresciuto dell’80 per cento ma il credito individuale è aumentato del 140. Il risultato è una crescita esponenziale del consumismo e dell’indebitamento delle famiglie: nel 2015, il 48 per cento del loro reddito era destinato al pagamento dei debiti, rispetto al 22 per cento del 2006.
L’inclusione finanziaria è il primo passo verso l’eliminazione del denaro fisico: con ciò dipenderemo tutti dalla banca e dal sistema finanziario, annullando o rendendo estremamente difficile la nostra autonomia individuale e collettiva. Si tratta di una forma “micro” del dominio a tutto tondo. In diversi paesi, come l’Uruguay, sono già state imposte delle limitazioni alla quantità di denaro che si può prelevare dai bancomat e quest’anno i viaggi in taxi devono essere pagati con carte di debito o credito.
In Germania c’è una campagna contro l’eliminazione del denaro fisico, con lo slogan “Il contante ti protegge dal controllo dello Stato”. Diversi gruppi politici condannano le limitazioni sul denaro contante. Konstantin von Notz, deputato del Partito dei Verdi, ne ha spiegato le ragioni sul suo profilo Twitter: “Nelle operazioni di ogni giorno, il contante ci permette di rimanere nell’anonimato. In una democrazia costituzionale, è una libertà che deve essere difesa” (The Guardian).
I dati mostrano una chiara divergenza tra il comportamento dei tedeschi e quello di altri cittadini di paesi sviluppati. Nel 2013, in Germania, solamente il 18 per cento dei pagamenti sono stati effettuati tramite carte bancarie, a fronte del 59 per cento in Gran Bretagna, del 54 per negli Stati Uniti e del 50 in Francia; ogni cinque fatture, quattro sono pagate con banconote e monete.
Ritengo che ci siano due ragioni per cui l’inclusione finanziaria e la scomparsa del denaro fisico non fanno parte delle discussioni necessarie al pensiero critico latinoamericano, tra le sinistre e i movimenti popolari.
La prima è la scelta di non mettere in discussione le attuali basi del capitalismo, cioè di non mettere sotto i riflettori quel famoso uno per cento della popolazione, sebbene i discorsi dicano il contrario. Il capitale finanziario gioca un ruolo centrale nel mondo attuale e contendergli il potere comporta il fatto di giocare forte, tanto da mettere a rischio il mantenimento delle poltrone presidenziali e i benefici che solitamente hanno i dirigenti politici, dal momento che questo settore detiene una grande capacità di provocare crisi e di accelerare la caduta di qualsiasi governo.
Attraversiamo un periodo di adattamento al sistema da parte delle sinistre e del progressismo. È più facile criticare l’imperialismo in astratto che lavorare con le proprie basi sociali intrappolate nel consumismo – e quindi, attraverso la banca, con il capitale finanziario – affinché superino la cultura del consumo. La sconfitta culturale nel campo popolare ha portato a rifiutare il conflitto come fonte dei cambiamenti e a sovrastimare la questione elettorale.
La seconda ragione riguarda appieno il pensiero e i pensatori critici. Si può definire come l’incapacità di andare contro il senso comune, l’adattarsi alla realtà e il non mettere in discussione le idee egemoniche tra i settori popolari a causa della mancanza di coinvolgimento con loro. È impossibile avanzare se non si è capaci di nuotare controcorrente, il che evidentemente implica un certo isolamento, sia dalle istituzioni statali che dalla parte di popolazione che ancora crede in esse.
Se il capitale riesce a consolidare un tipo di società basata sul consumo di massa, avrà trovato la soluzione al principale ostacolo per il suo dominio: l’esistenza di eterogeneità strutturali e sociali. Anche se una parte della sinistra pensa che si tratti di residui del passato, senza mercati ambulanti, tequio [lavoro collettivo svolto dagli abitanti di un villaggio a favore della comunità] e reciprocità non possiamo nemmeno sognare di superare il capitalismo.
Articolo pubblicato su La Jornada con il titolo Inclusión financiera y dominación de espectro completo.
Traduzione per Comune-info: Daniela Cavallo
Raúl Zibechi, scrittore e giornalista uruguayano dalla parte delle società in movimento, è redattore del settimanale Brecha. I suoi articoli vengono pubblicati con puntualità in molti paesi del mondo, a cominciare dal Messico, dove Zibechi scrive regolarmente per la Jornada. In Italia ha collaborato per oltre dieci anni con Carta e ha pubblicato diversi libri: Il paradosso zapatista. La guerriglia antimilitarista nel Chiapas, Eleuthera; Genealogia della rivolta. Argentina. La società in movimento, Luca Sossella Editore; Disperdere il potere. Le comunità aymara oltre lo Stato boliviano, Carta. Territori in resistenza. Periferia urbana in America latina, Nova Delphi. L’edizione italiana del suo ultimo libro, “Alba di mondi altri” è stata stampata in Italia nel luglio 2015 dalle edizioni Museodei.
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