Il giorno del referendum che decreterà se il Regno Unito rimarrà
dentro o abbandonerà l’Unione Europea è ormai prossimo. In questi mesi
di campagna mediatica ne abbiamo sentite di tutti i colori, specialmente
dai sostenitori del “Remain”. Lo stesso Premier britannico David
Cameron ci è andato subito giù pesante, invocando prima il rischio di
una guerra mondiale e poi quello di non poter pagare più le pensioni in
caso di Brexit. Per gli esperti del ” The Guardian”, invece, il rischio
si basava soprattutto sul fatto che la Premier League non si potrebbe
più permettere l’ingaggio delle grandi stelle del calcio europeo. Ma il
premio per la sparata più grossa, a nostro parere, se l’è aggiudicato il
Financial Times, che prima ha allarmato l’opinione pubblica dicendo che
il Brexit aumenterebbe il rischio di contrarre il cancro e poi ha
dichiarato che “la cioccolata diventerà più cara per colpa della
Brexit”.
Tuttavia, anche con un terrorismo mediatico simile, gli ultimi sondaggi davano il “Leave” con 10 punti di vantaggio sul “Remain”. Proprio questo clima favorevole all’uscita della Gran Bretagna dall’UE aveva creato dubbi sulla strategia adottata fino a quel momento dagli europesti, tanto che nei giorni scorsi, il Presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha dichiarato: “Sul Brexit, minacciare gli elettori elencandogli conseguenze terribili non ha funzionato. Dobbiamo concentrarci sulle cose cose positive di cui goderebbero i britannici se rimanessero con noi”. Il problema, purtroppo per Dijsselbloem, sta tutto nel capire dove trovarli questi benefici.
Si sa, la prima minaccia parte sempre da chi si sente minacciato e il terrorismo mediatico contro il Brexit a cui abbiamo assistito in questi mesi ci da testimonianza soltanto di una cosa: L’UE ha paura che il Brexit possa innescare una reazione a catena, che porterebbe in poco tempo alla disgregazione dell’Unione Europea. D’altronde, molti dei timori avanzati dai sostenitori del “Remain” possono essere smentiti facilmente, mentre tutto il resto può essere oggetto di un serio studio economico (potete approfondire qui e qui).
Poi, come un fulmine a ciel sereno, è arrivato l’assassinio di Jo Cox, deputata laburista e madre di due bambini: l’assassino, uno squilibrato mentale di nome Thomas Mair, simpatizzante per i neonazisti americani della National Alliance dai quali nel 1999 acquistò un manuale sulla fabbricazione artigianale di una pistola, prima di accoltellare la vittima avrebbe gridato “Britain Fist”. Oggi, portato davanti ai giudici della Magistrates Court di Westminster per formalizzare le imputazioni a suo carico, alla richiesta di dichiarare il suo nome, l’instabile Mair ha gridato: “Il mio nome è morte ai traditori, Gran Bretagna libera”. E’ bastato che tutti i mass media europei strumentalizzassero questo omicidio, senza curarsi di confermare se l’uomo abbia davvero detto quel “Britain First”, per far rientrare nei ranghi l’allarme del Brexit.
Eppure, c’è chi non è ancora del tutto soddisfatto. Il nostro ex Premier Mario Monti, colui che nel 2011 subentrò a Berlusconi e “salvò” il nostro Paese dalla crisi della Spread (secondo altre cronache, invece, a salvarci dallo Spread fu una famosa frase di un altro Mario, Draghi), intervenuto riunione del Consiglio Italia-Usa sul tema “Quo vadis Europe?”, ha accusato il Premier britannico David Cameron, dicendo:
“Cameron? Ha abusato della democrazia. Il gioco di Cameron è tutto volto al mantenimento del potere. Non sono d’accordo con chi dice che questo referendum è una splendida forma di espressione democratica. Le dico di più: sono contento che la nostra Costituzione, quella vigente e quella che forse verrà, non prevede la consultazione popolare per la ratifica dei Trattati internazionali. […] Cameron non ha deciso di far scegliere gli inglesi il bene della UE, e nemmeno per gli interessi del Regno Unito, e aggiungerei nemmeno per quelli del Partito conservatore. È stata tutta una partita per levarsi d’impiccio il blocco euroscettico fra i Tory e rafforzare la leadership. Per questo ho parlato di abuso della democrazia. […] Le conseguenze del voto, indipendentemente dall’esito, sono pesanti per l’Unione stessa. Non dobbiamo illuderci; se anche il Regno Unito votasse per restare, ormai c’è un precedente. Cosa succederebbe se altri Stati decidessero di intraprendere un cammino simile a quello britannico? Un qualche Paese dell’Est o altri. Che si dice loro? Siete piccoli, non potete chiedere queste cose?”.
L’ex Presidente della Commissione Trilaterale non è nuovo a certe uscite. Nei giorni scorsi, invitato a SkyTG24 per commentare la decisione della Consulta di bocciare la spending review fatta dal suo governo nel 2013, ha detto: “In Italia negli anni ’70-’80-’90 sono stati conquistati molti diritti individuali, ma adesso chi deve governare deve rimettere in discussione una parte dei diritti. Questa è una cosa che le Corti Costituzionali faticano a capire”.
Insomma, è ormai chiaro che gli interessi dei popoli d’Europa e gli interessi delle elitès politico-finanziarie viaggiano su due binari diversi. Il voto popolare, sia che si tratti di elezioni politiche e sia che si tratti di referenda, fa paura: il popolo ormai tende a fare scelte diverse da quelle desiderate dalla UE e dai suoi difensori. Ben presto, forse, il nostro “Professore” Mario Monti arriverà perfino a chiedere di limitare l’utilizzo dei più normali strumenti democratici e chissà se dall’Europa non gli daranno pure retta, quando non funzioneranno più né il terrorismo mediatico e né le minacce economiche della BCE e dei “mercati”. Anche di questo dovranno tener conto i britannici quando giovedì andranno ai seggi per votare. Difficilmente avranno (o meglio, avremo) una seconda occasione.
Tuttavia, anche con un terrorismo mediatico simile, gli ultimi sondaggi davano il “Leave” con 10 punti di vantaggio sul “Remain”. Proprio questo clima favorevole all’uscita della Gran Bretagna dall’UE aveva creato dubbi sulla strategia adottata fino a quel momento dagli europesti, tanto che nei giorni scorsi, il Presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, ha dichiarato: “Sul Brexit, minacciare gli elettori elencandogli conseguenze terribili non ha funzionato. Dobbiamo concentrarci sulle cose cose positive di cui goderebbero i britannici se rimanessero con noi”. Il problema, purtroppo per Dijsselbloem, sta tutto nel capire dove trovarli questi benefici.
Si sa, la prima minaccia parte sempre da chi si sente minacciato e il terrorismo mediatico contro il Brexit a cui abbiamo assistito in questi mesi ci da testimonianza soltanto di una cosa: L’UE ha paura che il Brexit possa innescare una reazione a catena, che porterebbe in poco tempo alla disgregazione dell’Unione Europea. D’altronde, molti dei timori avanzati dai sostenitori del “Remain” possono essere smentiti facilmente, mentre tutto il resto può essere oggetto di un serio studio economico (potete approfondire qui e qui).
Poi, come un fulmine a ciel sereno, è arrivato l’assassinio di Jo Cox, deputata laburista e madre di due bambini: l’assassino, uno squilibrato mentale di nome Thomas Mair, simpatizzante per i neonazisti americani della National Alliance dai quali nel 1999 acquistò un manuale sulla fabbricazione artigianale di una pistola, prima di accoltellare la vittima avrebbe gridato “Britain Fist”. Oggi, portato davanti ai giudici della Magistrates Court di Westminster per formalizzare le imputazioni a suo carico, alla richiesta di dichiarare il suo nome, l’instabile Mair ha gridato: “Il mio nome è morte ai traditori, Gran Bretagna libera”. E’ bastato che tutti i mass media europei strumentalizzassero questo omicidio, senza curarsi di confermare se l’uomo abbia davvero detto quel “Britain First”, per far rientrare nei ranghi l’allarme del Brexit.
Eppure, c’è chi non è ancora del tutto soddisfatto. Il nostro ex Premier Mario Monti, colui che nel 2011 subentrò a Berlusconi e “salvò” il nostro Paese dalla crisi della Spread (secondo altre cronache, invece, a salvarci dallo Spread fu una famosa frase di un altro Mario, Draghi), intervenuto riunione del Consiglio Italia-Usa sul tema “Quo vadis Europe?”, ha accusato il Premier britannico David Cameron, dicendo:
“Cameron? Ha abusato della democrazia. Il gioco di Cameron è tutto volto al mantenimento del potere. Non sono d’accordo con chi dice che questo referendum è una splendida forma di espressione democratica. Le dico di più: sono contento che la nostra Costituzione, quella vigente e quella che forse verrà, non prevede la consultazione popolare per la ratifica dei Trattati internazionali. […] Cameron non ha deciso di far scegliere gli inglesi il bene della UE, e nemmeno per gli interessi del Regno Unito, e aggiungerei nemmeno per quelli del Partito conservatore. È stata tutta una partita per levarsi d’impiccio il blocco euroscettico fra i Tory e rafforzare la leadership. Per questo ho parlato di abuso della democrazia. […] Le conseguenze del voto, indipendentemente dall’esito, sono pesanti per l’Unione stessa. Non dobbiamo illuderci; se anche il Regno Unito votasse per restare, ormai c’è un precedente. Cosa succederebbe se altri Stati decidessero di intraprendere un cammino simile a quello britannico? Un qualche Paese dell’Est o altri. Che si dice loro? Siete piccoli, non potete chiedere queste cose?”.
L’ex Presidente della Commissione Trilaterale non è nuovo a certe uscite. Nei giorni scorsi, invitato a SkyTG24 per commentare la decisione della Consulta di bocciare la spending review fatta dal suo governo nel 2013, ha detto: “In Italia negli anni ’70-’80-’90 sono stati conquistati molti diritti individuali, ma adesso chi deve governare deve rimettere in discussione una parte dei diritti. Questa è una cosa che le Corti Costituzionali faticano a capire”.
Insomma, è ormai chiaro che gli interessi dei popoli d’Europa e gli interessi delle elitès politico-finanziarie viaggiano su due binari diversi. Il voto popolare, sia che si tratti di elezioni politiche e sia che si tratti di referenda, fa paura: il popolo ormai tende a fare scelte diverse da quelle desiderate dalla UE e dai suoi difensori. Ben presto, forse, il nostro “Professore” Mario Monti arriverà perfino a chiedere di limitare l’utilizzo dei più normali strumenti democratici e chissà se dall’Europa non gli daranno pure retta, quando non funzioneranno più né il terrorismo mediatico e né le minacce economiche della BCE e dei “mercati”. Anche di questo dovranno tener conto i britannici quando giovedì andranno ai seggi per votare. Difficilmente avranno (o meglio, avremo) una seconda occasione.
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