Oggi comincia, nonostante tutti gli appelli che si sono levati da
diversi settori della società civile, la discussione in Senato della
norma che aumenta la reclusione da sei a nove anni per tutti quei
giornalisti che riportano una condanna per diffamazione. E’ una norma
“di casta” perché il campo di applicazione è pensato espressamente per
quei casi in cui il “danneggiato” è un uomo politico o un magistrato.
Fnsi,il sindacato dei giornalisti, ha chiesto di ritirare la proposta,
di abolire del tutto la pena detentiva e di introdurre, al contrario, il
reato di ostacolo all’informazione.
Il primo allarme è stato lanciato il 26 maggio da Ordine dei Giornalisti, FNSI e Ossigeno. II giorno dopo la Rappresentante dell’OSCE, Dunja Mijatovic, ha rivolto un appello alle autorità italiane. Subito, facendo riferimento alla documentazione prodotta dall’associazione “Ossigeno per l’informazione”, le più rappresentative associazioni europee dei giornalisti EFJ (European Federation of Journalists), AEJ, IPI, e Index on Censorship hanno segnalato l’iniziativa del Senato italiano al Consiglio d’Europa come un fatto di assoluta gravità. Tutti hanno ricordato al Parlamento italiano che la pena detentiva deprime la libertà di informazione e hanno chiesto di rinunciare a un inasprimento che va contro gli standard europei in materia di diffamazione e che inoltre contraddice l’impegno solenne dell’Italia di cancellare del tutto la pena detentiva per questo reato, con un disegno di legge presentato nel 2013 e ancora in attesa di approvazione.
Proprio all’inizio di questo mese, il presidente della FNSI Giuseppe Giulietti ha definito “anti-nazionale” l’aumento del carcere e ha chiesto al governo, del tutto taciturno, di dichiararsi contrario e al Parlamento di ritirare la norma, di introdurre nel codice il reato di ostacolo all’informazione, di sbloccare e approvare il parallelo disegno di legge, anch’esso all’esame del Senato, che prevede invece di cancellare il carcere. Quest’ultima proposta di Giulietti è stata condivisa dal deputato del PD Walter Verini, componente della Commissione Giustizia della Camera. A favore di un chiarimento del testo che inasprisce il carcere si è pronunciata anche l’associazione “Avviso Pubblico”, schierata a difesa dei sindaci che subiscono minacce. Quest’ultima presa di posizione è importante perché smonta parte della retorica “manettara” che ha parlato della necessità di allentare la pressione su quanti, tra gli amministratori pubblici, si sentono oggetto di “condizionamenti” da parte dei giornalisti.
Intanto, a conferma del clima fortemente repressivo che si sta facendo largo nel paese nei confronti della libera informazione, arriva la notizia che il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni ha diffidato la Rai e La7 dall’ospitare il giornalista Marco Lillo, vicedirettore de Il Fatto, per promuovere il suo libro Il Potere dei Segreti. Maroni ha lasciato intendere una citazione in giudizio per danni. L’ufficio legale della Rai ha consigliato ai direttori di canale di non invitare Marco Lillo. L’atteggiamento della Rai è stato criticato dal presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti, che chiede l’intervento di Agcom e Commissione parlamentare di vigilanza. Il libro riferisce contenuti di un’inchiesta giudiziaria su politici, manager e prefetti.
Infine, il direttore del quotidiano Roma, Pasquale Clemente, è stato condannato a due anni di reclusione, riconosciuto colpevole di diffamazione a mezzo stampa nei confronti del già parlamentare e magistrato Pasquale Giuliano”. Il segretario generale e il presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, e il segretario del sindacato dei giornalisti della Campania, Claudio Silvestri scrivono in una nota: “Senza entrare nel merito della vicenda, che risale ai tempi in cui Clemente dirigeva la Gazzetta di Caserta – dicono – l’aspetto sconcertante riguarda la condanna al carcere del giornalista, in applicazione di una norma, quella dell’articolo 595 del codice penale, ormai fuori dalla storia, ma sulla cui cancellazione, più volte auspicata dagli organismi internazionali, il Parlamento non solo continua a tergiversare, ma immagina addirittura forme di inasprimento, come dimostra la norma recentemente approvata in commissione Giustizia al Senato. I giornalisti non chiedono tutele speciali e neanche impunità. Il carcere rappresenta una misura sproporzionata, oltre che una forma surrettizia di bavaglio all’informazione. È per questo necessario che riprenda al più presto l’esame della proposta di legge volta a cancellare le pene detentive per i giornalisti e che si abbia il coraggio di istituire il giurì per la lealtà dell’informazione, a tutela del diritto dei cittadini ad essere correttamente informati.
Il primo allarme è stato lanciato il 26 maggio da Ordine dei Giornalisti, FNSI e Ossigeno. II giorno dopo la Rappresentante dell’OSCE, Dunja Mijatovic, ha rivolto un appello alle autorità italiane. Subito, facendo riferimento alla documentazione prodotta dall’associazione “Ossigeno per l’informazione”, le più rappresentative associazioni europee dei giornalisti EFJ (European Federation of Journalists), AEJ, IPI, e Index on Censorship hanno segnalato l’iniziativa del Senato italiano al Consiglio d’Europa come un fatto di assoluta gravità. Tutti hanno ricordato al Parlamento italiano che la pena detentiva deprime la libertà di informazione e hanno chiesto di rinunciare a un inasprimento che va contro gli standard europei in materia di diffamazione e che inoltre contraddice l’impegno solenne dell’Italia di cancellare del tutto la pena detentiva per questo reato, con un disegno di legge presentato nel 2013 e ancora in attesa di approvazione.
Proprio all’inizio di questo mese, il presidente della FNSI Giuseppe Giulietti ha definito “anti-nazionale” l’aumento del carcere e ha chiesto al governo, del tutto taciturno, di dichiararsi contrario e al Parlamento di ritirare la norma, di introdurre nel codice il reato di ostacolo all’informazione, di sbloccare e approvare il parallelo disegno di legge, anch’esso all’esame del Senato, che prevede invece di cancellare il carcere. Quest’ultima proposta di Giulietti è stata condivisa dal deputato del PD Walter Verini, componente della Commissione Giustizia della Camera. A favore di un chiarimento del testo che inasprisce il carcere si è pronunciata anche l’associazione “Avviso Pubblico”, schierata a difesa dei sindaci che subiscono minacce. Quest’ultima presa di posizione è importante perché smonta parte della retorica “manettara” che ha parlato della necessità di allentare la pressione su quanti, tra gli amministratori pubblici, si sentono oggetto di “condizionamenti” da parte dei giornalisti.
Intanto, a conferma del clima fortemente repressivo che si sta facendo largo nel paese nei confronti della libera informazione, arriva la notizia che il presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni ha diffidato la Rai e La7 dall’ospitare il giornalista Marco Lillo, vicedirettore de Il Fatto, per promuovere il suo libro Il Potere dei Segreti. Maroni ha lasciato intendere una citazione in giudizio per danni. L’ufficio legale della Rai ha consigliato ai direttori di canale di non invitare Marco Lillo. L’atteggiamento della Rai è stato criticato dal presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti, che chiede l’intervento di Agcom e Commissione parlamentare di vigilanza. Il libro riferisce contenuti di un’inchiesta giudiziaria su politici, manager e prefetti.
Infine, il direttore del quotidiano Roma, Pasquale Clemente, è stato condannato a due anni di reclusione, riconosciuto colpevole di diffamazione a mezzo stampa nei confronti del già parlamentare e magistrato Pasquale Giuliano”. Il segretario generale e il presidente della Fnsi, Raffaele Lorusso e Giuseppe Giulietti, e il segretario del sindacato dei giornalisti della Campania, Claudio Silvestri scrivono in una nota: “Senza entrare nel merito della vicenda, che risale ai tempi in cui Clemente dirigeva la Gazzetta di Caserta – dicono – l’aspetto sconcertante riguarda la condanna al carcere del giornalista, in applicazione di una norma, quella dell’articolo 595 del codice penale, ormai fuori dalla storia, ma sulla cui cancellazione, più volte auspicata dagli organismi internazionali, il Parlamento non solo continua a tergiversare, ma immagina addirittura forme di inasprimento, come dimostra la norma recentemente approvata in commissione Giustizia al Senato. I giornalisti non chiedono tutele speciali e neanche impunità. Il carcere rappresenta una misura sproporzionata, oltre che una forma surrettizia di bavaglio all’informazione. È per questo necessario che riprenda al più presto l’esame della proposta di legge volta a cancellare le pene detentive per i giornalisti e che si abbia il coraggio di istituire il giurì per la lealtà dell’informazione, a tutela del diritto dei cittadini ad essere correttamente informati.
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