Tecnicamente non è un colpo di Stato, certo, ma gli somiglia tanto.
Quel che si è compiuto in queste ore intorno alla candidatura di Hillary Clinton è abbastanza simile a quanto accade ovunque, nell’Occidente in crisi: le oligarchie hanno bisogno della cerimonia rassicurante e ratificante del voto, ma non vogliono che il suffragio popolare possa mai disturbare le loro decisioni.
Così non hanno aspettato che la California, il boccone più grosso del piatto elettorale delle primarie USA, potesse sconfiggere la sempre più traballante Hillary fiaccata dagli scandali, ed esprimere così una possibile alternativa nella persona del “socialista” Bernie Sanders.
Non volevano trovarsi in imbarazzo, con i cosiddetti “superdelegati” (i notabili di partito non espressi dal voto delle primarie) costretti a imporsi sulla volontà degli elettori solo a cose fatte, con un Sanders in grado di contestarli energicamente.
Perciò, le “cose fatte” le han volute fare loro: hanno proclamato lanomination in anticipo, hanno dettato la grande notizia al sistema mediatico mettendo a tacere il resto, e al diavolo gli elettori democratici.
Non c’è che dire, un bell’assaggio di quel che sarebbe una presidenza in mano alla candidata preferita da Wall Street e dai superfalchi neoconservatori.
In questo quadro il coro dei media occidentali non trova di meglio che esaltarsi per la “prima volta di una nomination di una donna”. C’è da capire la valenza del simbolo, ma Hillary non è un simbolo: è un individuo specifico, una personalità politica concretamente distinguibile per i suoi comportamenti, già sperimentata nel suo ruolo di Segretaria di Stato, quando ha preso decisioni politiche che hanno acceso nuove guerre. Il caos che ha voluto creare ha ucciso donne: innocenti e a migliaia. Potrebbero diventare milioni, se potesse applicare le sue idee sul Medio Oriente e sul rapporto fra Europa e Russia.
Quel che si è compiuto in queste ore intorno alla candidatura di Hillary Clinton è abbastanza simile a quanto accade ovunque, nell’Occidente in crisi: le oligarchie hanno bisogno della cerimonia rassicurante e ratificante del voto, ma non vogliono che il suffragio popolare possa mai disturbare le loro decisioni.
Così non hanno aspettato che la California, il boccone più grosso del piatto elettorale delle primarie USA, potesse sconfiggere la sempre più traballante Hillary fiaccata dagli scandali, ed esprimere così una possibile alternativa nella persona del “socialista” Bernie Sanders.
Non volevano trovarsi in imbarazzo, con i cosiddetti “superdelegati” (i notabili di partito non espressi dal voto delle primarie) costretti a imporsi sulla volontà degli elettori solo a cose fatte, con un Sanders in grado di contestarli energicamente.
Perciò, le “cose fatte” le han volute fare loro: hanno proclamato lanomination in anticipo, hanno dettato la grande notizia al sistema mediatico mettendo a tacere il resto, e al diavolo gli elettori democratici.
Non c’è che dire, un bell’assaggio di quel che sarebbe una presidenza in mano alla candidata preferita da Wall Street e dai superfalchi neoconservatori.
In questo quadro il coro dei media occidentali non trova di meglio che esaltarsi per la “prima volta di una nomination di una donna”. C’è da capire la valenza del simbolo, ma Hillary non è un simbolo: è un individuo specifico, una personalità politica concretamente distinguibile per i suoi comportamenti, già sperimentata nel suo ruolo di Segretaria di Stato, quando ha preso decisioni politiche che hanno acceso nuove guerre. Il caos che ha voluto creare ha ucciso donne: innocenti e a migliaia. Potrebbero diventare milioni, se potesse applicare le sue idee sul Medio Oriente e sul rapporto fra Europa e Russia.
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