E’ veramente straordinario l’attaccamento al fantasma dell’Europa,
il che appunto ne evoca l’essenza di natura morta quanto a ideali e
democrazia e ne sottolinea invece il decisionismo al servizio di poteri e
interessi economici: in questi giorni si sta discutendo sul “pacchetto”
richiesto dal premier britannico Cameron per tentare di non essere
sommerso nel referendum sulla Brexit che a quanto pare è di gran lunga
la prospettiva preferita dai sudditi di sua Maestà. Ma per salvare in
qualche modo il feticcio della Ue e dei suoi meccanismi oligarchici,
Bruxelles dovrà di fatto dichiarare morta la stessa Ue. Londra infatti
pretende di rimanere formalmente nell’unione continentale solo a patto
che questa si tenga ben lontana dalle bianche scogliere di Dover e
chiede ufficialmente di non essere costretta ad altri passi verso
l’integrazione, il riconoscimento che la Ue è un’area multi monetaria
sventando così future richieste di entrata nell’euro, di negare il
welfare ai cittadini comunitari che lavorano nella perfida Albione e una
legislazione separata per le banche e i centri finanziari britannici,
oltre ovviamente al mantenimento di quella normativa fiscale “diversa” e
abnorme per un’ Unione di qualsiasi tipo, grazie alla quale la Gran
Bretagna riesce a succhiare ormai da due decenni le linfe vitali del
continente, spacciando questa rapina per un proprio dinamismo liberista.
In due parole la Gran Bretagna chiede di restare in Europa uscendo definitivamente dall’Europa, offre la possibilità di evitare una frattura formale purché sia garantita quella sostanziale. Non so in che misura tutto questo sarà accettato da Bruxelles, ma è probabile che vi sarà una quasi completa capitolazione di fronte alle richieste inglesi, vista la crisi politica che sta attraversando l’europeismo di marca franco – tedesca, assediato ad est dagli Usa e dalla loro colonizzazione in funzione antirussa, all’interno dalla reazione all’austerità e dai problemi della migrazione, a sud dal riesplodere del debito e delle resistenze popolari ai governi burattinati dal milieu finanziario. Del resto i trattati che hanno costituito la maggiore rapina di sovranità di bilancio e di autonomia politica sono legati alla moneta unica perciò non riguardano se non marginalmente la Gran Bretagna che ha conservato la sterlina: è facile che ci si accontenti di poter mantenere al laccio l’Italia, la penisola iberica e il fritto misto tra nordico, frisone e centro europa dei piccoli Paesi.
In ogni caso è evidente che il disegno europeo si sta clamorosamente sfilacciando visto che per tenerlo in piedi in qualche modo occorre negarne i presupposti, ovvero quell’insieme di aspirazioni via via sostituite da meccanismi di potere sempre più lontani dalla democrazia e dalla partecipazione. Dunque non importa se è necessario buttare a mare ciò che l’Europa ha rappresentato per salvare ciò che è diventata, la fisionomia, sociale, politica e di potere che ha acquisito: nel caso britannico sembra contare soprattutto che non siano i cittadini a decidere anche se poi, proprio per evitare questo esito infausto, nelle segrete stanze si fa esattamente e forse anche più di quanto essi chiederebbero. La questione vitale è che non ci sia una frattura formale e popolare, non che questa avvenga nella sostanza.
A un livello generale ci si dovrebbe chiedere come mai l’Europa venga vissuta in maniera così negativa, come una palla al piede piuttosto che come un’opportunità: ma chi si dovrebbe fare questa domanda sono proprio i colpevoli, quelli che le ragioni le conoscono a menadito. Però dal punto di vista operativo vedo che tutti i critici a parole delle politiche continentali non solo non parlano di ciò che sta avvenendo, ma nemmeno sembrano rendersi conto che il divorzio di fatto inglese aprirebbe la possibilità di ridiscutere i termini dei trattati visto che un membro importante e storico dell’Unione se la sta svignando all’Inglese. Invece parrebbe che prevalga la paura di disturbare i manovratori in un momento delicato.
In due parole la Gran Bretagna chiede di restare in Europa uscendo definitivamente dall’Europa, offre la possibilità di evitare una frattura formale purché sia garantita quella sostanziale. Non so in che misura tutto questo sarà accettato da Bruxelles, ma è probabile che vi sarà una quasi completa capitolazione di fronte alle richieste inglesi, vista la crisi politica che sta attraversando l’europeismo di marca franco – tedesca, assediato ad est dagli Usa e dalla loro colonizzazione in funzione antirussa, all’interno dalla reazione all’austerità e dai problemi della migrazione, a sud dal riesplodere del debito e delle resistenze popolari ai governi burattinati dal milieu finanziario. Del resto i trattati che hanno costituito la maggiore rapina di sovranità di bilancio e di autonomia politica sono legati alla moneta unica perciò non riguardano se non marginalmente la Gran Bretagna che ha conservato la sterlina: è facile che ci si accontenti di poter mantenere al laccio l’Italia, la penisola iberica e il fritto misto tra nordico, frisone e centro europa dei piccoli Paesi.
In ogni caso è evidente che il disegno europeo si sta clamorosamente sfilacciando visto che per tenerlo in piedi in qualche modo occorre negarne i presupposti, ovvero quell’insieme di aspirazioni via via sostituite da meccanismi di potere sempre più lontani dalla democrazia e dalla partecipazione. Dunque non importa se è necessario buttare a mare ciò che l’Europa ha rappresentato per salvare ciò che è diventata, la fisionomia, sociale, politica e di potere che ha acquisito: nel caso britannico sembra contare soprattutto che non siano i cittadini a decidere anche se poi, proprio per evitare questo esito infausto, nelle segrete stanze si fa esattamente e forse anche più di quanto essi chiederebbero. La questione vitale è che non ci sia una frattura formale e popolare, non che questa avvenga nella sostanza.
A un livello generale ci si dovrebbe chiedere come mai l’Europa venga vissuta in maniera così negativa, come una palla al piede piuttosto che come un’opportunità: ma chi si dovrebbe fare questa domanda sono proprio i colpevoli, quelli che le ragioni le conoscono a menadito. Però dal punto di vista operativo vedo che tutti i critici a parole delle politiche continentali non solo non parlano di ciò che sta avvenendo, ma nemmeno sembrano rendersi conto che il divorzio di fatto inglese aprirebbe la possibilità di ridiscutere i termini dei trattati visto che un membro importante e storico dell’Unione se la sta svignando all’Inglese. Invece parrebbe che prevalga la paura di disturbare i manovratori in un momento delicato.
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