domenica 27 settembre 2015

Sanità, si gratta ancora dal fondo del barile

Diritto alla salute addio! Come dire: morite prima così risparmiamo anche sulle pensioni, e possiamo potenziare le spese militari per la guerra. Nella calura estiva una vera e propria mazzata si è abbattuta sulla sanità pubblica. Il Governo deve far quadrare i conti come richiede l'UE e le spese sanitarie sono tra i primi tagli della spending review.
Non tagli agli sprechi o razionalizzazione delle risorse, ma tagli lineari che colpiscono la salute. Il capolavoro del deputato Pd Gutgeld, fedele renziano, è una voragine di 10 miliardi che si aggiunge a quella degli ultimi anni e che attacca la prescrizione degli esami. Basta con analisi, tac e risonanze magnetiche, visite specialistiche, stop a quasi 200 prestazioni specialistiche e a oltre cento tipologie di ricoveri ritenuti uno spreco miliardario.
Strutture sanitarie e medici avranno un limite di prescrizione oltre al quale non potranno andare, vale a dire che i pazienti saranno privati di diagnosi accurate se non a proprie spese, come se già non bastasse il pagamento dei ticket. Introdotti con la giustificazione del ripiano del deficit della spesa sanitaria accumulato in seguito a gestioni clientelari, di corruzione, di tangenti, ruberie varie ecc. Un balzello per la spesa sanitaria che si paga già attraverso il prelievo fiscale generale, l'Irpef e le assicurazioni auto.
Il Sistema sanitario nazionale, nato nel 1978 forte di una mobilitazione che si richiamava all'art. 31 della Costituzione, è un vago ricordo. Dal 1992 con De Lorenzo, allora ministro della sanità, ad oggi una serie di controriforme, la riforma del titolo V, le politiche della Commissione europea, hanno cambiato completamente i principi ispiratori e la sanità è diventata un'azienda che deve produrre profitto. Anche con il governo Prodi e Rosi Bindi ministro, nel 1999, si è confermata l'aziendalizzazione e la regionalizzazione, inoltre sono stati introdotti i LEA, i livelli essenziali di assistenza.
L'attuale attacco durissimo alla sanità, con differenze tra Regione e Regione per via del Patto Stato-Regioni, mette a serio rischio il diritto alla salute. La riduzione di personale – sottoposto a turni e orari massacranti per contratti firmati da quei sindacati che dovrebbero difendere i lavoratori - mette in pericolo la salute stessa dei dipendenti e abbassa il livello di qualità del servizio. E a sopperire vuoti e posti vacanti sono chiamati a lavorare, gratis, i volontari (speranzosi in una futura assunzione), perché l'Italia per numero di infermieri è sotto la media OCSE: 6,4 per mille abitanti contro media Ocse a 8,8 mancano quindi 60 mila infermieri.
Cosa sta accadendo nella sanità pubblica? Depotenziamento, ridimensionamento e declassamento di interi ospedali obbligano pazienti e parenti a scomodi e costosi spostamenti. Per evitare lunghe liste d'attesa si dirigono i pazienti verso il cosiddetto volontariato, cioè verso il terzo settore che alle Regioni costa più del servizio interno, si riducono i posti letto (la media Ocse è 4,8 per mille abitanti mentre in Italia è a 3,4 mille e 12 anni fa era a 4,7), si limitano i giorni di degenza, si è introdotta l'intramoenia - il sistema che permette agli specialisti l'uso privato della struttura pubblica a pagamento -. Si chiudono i reparti maternità là dove si registrano meno di 1000 parti all'anno costringendo le donne - stressate dal travaglio - a lunghi percorsi su strade spesso dissestate, impervie, piene di curve e l'uso dell'elicottero dalle isole, tempo permettendo.
Con l'imposizione del DRG (diagnostic related group), una sorta di prezzario delle prestazioni in uso negli Stati Uniti ai pazienti non è garantita la necessaria assistenza e vengono dismessi non completamente guariti. E mentre si eliminano i presidi di quartiere e gli ospedali, se ne costruiscono altri con il sistema economico del project financing per assicurare ulteriori profitti e speculazioni finanziarie ai privati e per loro la sanità diventa un vero e proprio affare. Lo scopo del Governo nazionale e regionale tra chiacchiere e slogan smentite dalla realtà è chiaro: smantellare il servizio pubblico sanitario - che è un diritto costituzionale - per orientarlo verso la totale liberalizzazione e privatizzazione, con grande vantaggio dei pazienti ricchi, delle cliniche private, delle compagnie assicurative (Unipol sta spopolando), del terzo settore cosiddetto volontariato.
In piena sintonia con quanto richiesto dall'imperialismo Usa attraverso il TTIP, il trattato che l'UE sta firmando, e con il Tisa, "Trade in services agreement", altro accordo che l'Italia sta negoziando su pressione di grandi lobby e multinazionali attraverso la Commissione europea e che riguarda la privatizzazione di tutti i servizi fondamentali ancora oggi pubblici (istruzione, trasporti) compresa la sanità. Sebbene in Italia ci siano 10 milioni di cittadini che rinunciano alle cure mediche per le loro cattive condizioni economiche e altri milioni si sacrificano per pagare i ticket, si ha la percezione che l'antipopolare attacco al diritto alla salute e il futuro "americanizzato" che ci aspetta, non sia recepito dai cittadini.
Forse la comunicazione del Governo, seppure parziale e non veritiera è così convincente? La salute non è un tema che interessa parlamentari e politicanti che sanno bene come stanno le cose, ma hanno l'interesse di procedere verso una società sempre più elitaria eliminando il welfare. Liberalizzazione e privatizzazione sono termini cari anche alle forze di destra che difendono i servizi pubblici, ma solo a parole e strumentalmente.
Tutti sanno che la spesa militare continua ad aumentare, sanno che l'Italia spende 70 milioni al giorno per la "difesa", che il governo Renzi (scavalcando il Parlamento) si è impegnato a mantenere forze militari in Afghanistan e fornire a Kabul un aiuto economico di 4 miliardi di dollari annui. Si è impegnato a sostenere lo speciale fondo al governo di Kiev, candidato a entrare nella Nato ed allargare ulteriormente l'Alleanza atlantica ad est. Sanno quanto costa mantenere lo staff dei quartieri generali attraverso i ministeri degli esteri per coprire i costi operativi e di mantenimento della struttura militare internazionale (circa il 9% per "operazioni e missioni a guida Nato"). E quanto si spende per le Basi Usa e Nato sul nostro territorio? E per le esercitazioni militari? È di questi mesi una delle più grandi esercitazioni Nato la TJ15 che vede impegnate soprattutto in Italia, Spagna e Portogallo oltre 230 unità terrestri, aeree e navali e forze per le operazioni speciali di oltre 30 paesi alleati (36 mila uomini, oltre 60 navi e 140 aerei da guerra).
Tutti impegni che non solo inquinano, non solo trascinano l'Italia in nuove guerre, ma sottraggono enormi risorse alla spesa sanitaria, alle pensioni, all'occupazione e alla solidarietà verso gli immigrati. Tutti tacciono sullo spreco di denaro e sulle grandi spese (comprese quelle per governo e parlamentari) e accettano i tagli della sanità. Quindi per tornare all'argomento iniziale non ci sono scorciatoie. La lotta e l'organizzazione, anche su argomenti parziali come il rifiuto della speculazione sulla salute, su quel diritto che è la condizione di benessere psico fisico come il diritto a rimanere sani con la garanzia della prevenzione, oltre che dal non essere avvelenati dall'inquinamento generale, compreso quello delle manovre militari e della guerra, sono fondamentali. Senza dimenticare che il problema di tutti i nostri mali si chiama capitalismo, il sistema basato sulla ricerca del massimo profitto, che calpesta pure la salute. Ed è questo sistema che va abbattuto per costruirne uno che abbia al centro i lavoratori, le masse popolari e le loro esigenze.

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