venerdì 20 febbraio 2015

La Guerra Italo-Turca

La Storia sembra, alcune volte, divertirsi a creare, come diceva Vico, corsi e ricorsi, in modo che talune vicende, ormai cadute nell’oblio del passato, riemergano e divengano nuovamente attuali nel breve volgere d’un mattino. E’ il caso, ad esempio, della recente attenzione che il Governo Italiano ha rivolto alla Libia, divenuta terra di conquista per le milizie dello Stato Islamico: si è paventato, da più parti, l’intervento armato italiano per eliminare la minaccia rappresentata dalle forze dell’ISIS, giunte pericolosamente a poche centinaia di kilometri dalla Sicilia. La presenza Italiana in Libia, d’altronde, non costituirebbe una novità: si riallaccerebbe quel rapporto vitale intrapreso nel 1911 ed interrotto, tragicamente, nel 1943, quando la Libia era Colonia del Regno d’Italia, la famosa quarta sponda del Mare Nostrum.
Agli albori del XX secolo, la corsa europea alle colonie africane poteva dirsi quasi definitivamente conclusa: Inghilterra e Francia detenevano la maggior parte del continente nero, mentre al giovane Regno d’Italia erano toccate le briciole di minor interesse, ossia la Somalia meridionale e l’Eritrea. Lo scenario mediterraneo, divenuto d’importanza primaria dopo l’apertura del Canale di Suez del 1869, era stato sottovalutato dai governi liberali, che s’erano fatti sfuggire di mano l’occasione di occupare la Tunisia, conquistata nel 1881 dalle armate francesi. Lo “schiaffo di Tunisi”, come definito dalla stampa dell’epoca, aveva impedito la creazione d’una colonia mediterranea, fondamentale per un paese che voleva avere ambizioni di Grande Potenza. Con l’Egitto in mano Inglese, rimaneva soltanto la Libia, nominalmente territorio Ottomano, alla portata delle forze armate sabaude: occorreva attendere lo scenario internazionale giusto per poter, con un colpo di mano, prendere la quarta sponda libica.
Mentre l’Italia godeva d’ottimi rapporti diplomatici con l’Inghilterra ed era formalmente alleata con Austria e Germania, l’Impero Ottomano versava in condizioni d’assoluta criticità, diplomaticamente posto a metà tra la Triplice Alleanza e l’Entente franco-inglese. Dopo la rivoluzione dei Giovani Turchi del 1908 e la fine del Sultanato, s’erano inoltre acuite le istanze indipendentistiche provenienti dai Balcani, dal Vicino Oriente, dall’Arabia, rendendo di fatto l’edificio statale ottomano fragilissimo ed instabile. Al contrario, l’Italia aveva cominciato il processo d’industrializzazione e d’ammodernamento, governata da un discusso ma brillante Presidente del Consiglio, Giovanni Giolitti, voglioso di coronare il 50esimo anniversario dell’Unità Nazionale, nel 1911, con un prestigioso successo politico. Successivamente alla crisi franco-tedesca del luglio 1911, Giolitti decise di risolvere, una volta per tutte, la questione Libica, forte dell’appoggio internazionale e della gran parte dell’opinione pubblica nazionale. Il 19 settembre venne mobilitato l’esercito, ed il 28 dello stesso mese il Marchese di San Giuliano, Ministro degli Esteri e regista dell’operazione, presentò alla Sublime Porta un ultimatum che esigeva lo sgombero ottomano della Libia, “compilato in modo da non aprire strade a qualunque evasione e non dare appigli ad una lunga discussione che dovevamo ad ogni costo evitare”
Il Gran Visir non poté che rifiutare, e nella notte del 29 settembre si aprirono le ostilità tra Impero Ottomano e Regno d’Italia: il contingente italiano, forte di 35mila uomini, al comando del Generale Caneva, fu trasportato dalle navi della Regia Marina nella rada di Tripoli, ove sbarcò il 12 ottobre, dopo che la città era stata occupata dai marinai una settimana prima. I facili successi iniziali diffusero l’idea che la guerra si sarebbe conclusa quasi senza combattere; nei giorni d’ottobre furono occupate Homs, Derna, Bengasi, con pochissime perdite. In realtà, i giovani ufficiali turchi, decisi a resistere all’invasore italiano, scelesero di ritirarsi nel deserto per iniziare una lunga e sanguinosissima guerriglia, aiutati dalle popolazioni nomadi dell’interno, come i Senussiti. Giolitti, desideroso di chiudere la partita, decise di proclamare l’annessione della Libia alla Madrepatria il 5 novembre 1911, affinché si chiudesse la partita prima dell’inverno e si mettesse il mondo intero innanzi al fatto compiuto. In realtà, l’occupazione della Libia fu lenta e difficoltosa, limitata alle zone costiere, mentre l’interno desertico era completamente in mano ai turchi. Ancora all’inizio del 1912, l’occupazione italiana si limitava alle città principali, mentre la volontà turca d’evitare una battaglia campale comportava il prolungamento estenuante delle ostilità. Lo Stato Maggiore del Regio Esercito decise allora di portare il conflitto nel cuore dell’Impero Ottomano: nel maggio 1912 furono occupate le Sporadi Meridionali, arcipelago prospiciente allo Stretto dei Dardanelli. Il dominio Italiano nei mari, l’occupazione di Rodi e delle altre isole, il diffuso scontento tra le truppe e l’inizio delle ribellioni nei Balcani portarono la Sublime Porta alla decisione di chiedere l’armistizio; le trattative andarono avanti tutta l’estate e si conclusero, dopo innumerevoli ripensamenti, il 18 Ottobre del 1912. L’Italia, tramite la Pace di Losanna, ottiene la Tripolitania e la Cirenaica; in realtà ci vorranno quasi vent’anni affinché le truppe Italiane pacifichino la colonia, che diverrà, nel 1934 Governatorato Generale della Libia.
La nuova colonia, sprezzantemente definita da Salvemini “un’inutile scatolone di sabbia”, conoscerà un notevole sviluppo durante gli anni Trenta, grazie a Italo Balbo, quadrumviro della Marcia su Roma, fascista della prima ora, divenuto governatore nel 1934. In sei anni la Libia fu popolata da oltre trentamila coloni ferraresi, arricchita di notevoli infrastrutture, fiore all’occhiello della politica imperiale di Mussolini, lo stesso che, nel 1911, aveva trascorso mesi di carcere in compagnia d’un giovane Pietro Nenni, proprio per essersi opposto all’impresa africana di Giolitti. Corsi e ricorsi, appunto.

Nessun commento:

Posta un commento