sabato 24 maggio 2014

SIAMO IN GUERRA MA NON CE NE ACCORGIAMO

Agli inizi del ’900, Joseph Schumpeter asseriva che banchieri e imprenditori da imponenti fatturati dovessero essere posti al timone della classe dirigente a suo tempo contemporanea, affinché la progettualità del loro operato, seppur esosa e non certo abbordabile per le frange meno abbienti, ovviasse a sanare qualsiasi genere di involuzione all’interno del sistema economico di un Paese, semmai contingenze estreme e poco placide si fossero presentate; John Keynes si conformava alla volontà di adottare impianti economici e fiscali efficienti ma che non fossero matrice di costi sociali sproporzionati e non gravassero pesantemente sulla quotidianità del popolo.
Le cronache attuali e del passato recente, esattamente ad un secolo di distanza dal concepimento di tali dottrine, ci insegnano che la storia abbia convalidato la tesi dell’austriaco, derubricando forse con esagerata superficialità quella del britannico, nonostante le circostanze guerrafondaie di rilievo siano state al massimo due: la base dell’apparato economico-finanziario dei giorni nostri è composta dalla condizione che, nel mercato produttivo e lavorativo, la longa manus della lobbies bancarie e d’azionariato riduca al lastrico le comunità e sia la preminente ragione di immobilismo concorrenziale e per rendere meno palese il suo ascendete si schermisce dietro la burocrazia istituzionalizzata e consequenzialmente dietro la politica di Palazzo. Solo pochissime ore ci separano dalle urne dirimenti il prossimo assetto del Parlamento Europeo ed è orami chiaro che un’ampia fetta dell’elettorato preferirà sottrarsi ai propri oneri costituzionali, piuttosto che esprimere una preferenza che non sia indice di rappresentanza e desumendo che astenersi sia la sola soluzione utile: mai valutazione fu più erronea e sbilenca.
Da un lato, non è propedeutico ipotizzare che un’opinione sia irrilevante o addirittura non determinante; dall’altro, per quelli che davvero avesse intenzione di voltare pagina contro un’Europa dell’alta tecnocrazia e della burocratizzazione al non plus ultra del suo legislativo ed esecutivo, è necessario che una sommossa degli animi smuova i più onirici e incentivi negligenti, esausti ed insoddisfatti da una politica continentale inetta e non attenta. Ne va del progresso della civiltà e dell’amore per la verità: che questa Unione così congegnata ci abbia fatto scudo da truculente ed efferate guerre sanguinarie e abbia eluso l’eventualità che si riproponessero, è vero soltanto in parte, dato che dalle trincee su larga scala siamo passati alle ostilità tra poveri, ove la garanzia di un lavoro stabile o al massimo flessibile ha lasciato spazio ad una disoccupazione senza precedenti e ad un precariato assurdo. Adesso la belligeranza è sottesa, sottaciuta, ma ugualmente devastante: la finalità è la stessa di sempre, ossia distruggere e conquistare, nella più pervicace delle logiche bismarckiane, stavolta senza missili, fucili ed arsenali vari, ma con austerity, rating, spread, swap e derivati similari. Gli ascari della finanza speculativa, usuraia e collusa coi loschi affari, quella che ha mostrato il tetro e profondo baratro alla Grecia, al Portogallo, all’Irlanda, ha impedito che venissero imbasti piani per la riappropriazione della sovranità monetaria e stritola l’identità nazionale per la macabra progettazione di un nuovo e dispotico ordine mondiale.
Alla luce di ciò, è fondamentale che ognuno rispetti il suo ruolo attivo, poiché è fin troppo evidente che stiano iniziando a spuntar fuori gli altarini: il fedifrago Berlusconi apostrofava i suoi detrattori con l’epiteto “sepolcri imbiancati” per ledere alla loro etica ed onestà intellettuale, mentre ora, in virtù di alcune rivelazioni su un plausibile complotto a lui avverso, è il caso di ritenere che quanto istituzionalmente sopportato per anni sia stato soltanto un simulacro del veridico, effettivo ed incisivo potere, il quale ha inglobato la sfera legislativa, esecutiva, giudiziaria, mass mediale e buona parte della società civile. Chi ad oggi dovesse rivendicare il proprio nazionalismo e ripudiasse la formazione degli Stati Uniti d’Europa, verrebbe evidentemente additato dai portaborse di turno e dagli esegeti della morale politica come eversivo, vacuo ed illogico, ma il suo voto avrebbe un peso specifico nettamente superiore rispetto alle preferenze espresse dai pigiabottoni dei vertici della partitocrazia e darebbe coscienza per sgominare i nefasti diktat di Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo e la stritolante imposizione fiscale dei vari Fiscal Compact (50 miliardi di tagli annui, che nei confini nostrani equivarranno da consuetudine a lesinare sulla salute, sulla ricerca e sull’istruzione), MES (80 miliardi di spending review, non certo per andare incontro all’insolvenza dell’economia portoghese e di quella irlandese, ma per enfatizzare gli affari azionari) ed austerità cantando, volte solo alla tutela finanziaria degli interessi delle banche commerciali e delle cosche giudaico-massoniche.

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