Agli inizi del ’900, Joseph Schumpeter asseriva che banchieri e
imprenditori da imponenti fatturati dovessero essere posti al timone
della classe dirigente a suo tempo contemporanea, affinché la
progettualità del loro operato, seppur esosa e non certo abbordabile per
le frange meno abbienti, ovviasse a sanare qualsiasi genere di involuzione all’interno del sistema economico di un Paese,
semmai contingenze estreme e poco placide si fossero presentate; John Keynes si conformava alla volontà di adottare impianti
economici e fiscali efficienti ma che non fossero matrice di costi
sociali sproporzionati e non gravassero pesantemente sulla quotidianità
del popolo.
Le cronache attuali e del passato recente, esattamente ad un secolo
di distanza dal concepimento di tali dottrine, ci insegnano che la
storia abbia convalidato la tesi dell’austriaco, derubricando forse con
esagerata superficialità quella del britannico, nonostante le
circostanze guerrafondaie di rilievo siano state al massimo due: la base
dell’apparato economico-finanziario dei giorni nostri è composta dalla
condizione che, nel mercato produttivo e lavorativo, la longa manus
della lobbies bancarie e d’azionariato riduca al lastrico le comunità e
sia la preminente ragione di immobilismo concorrenziale e per rendere
meno palese il suo ascendete si schermisce dietro la burocrazia
istituzionalizzata e consequenzialmente dietro la politica di Palazzo.
Solo pochissime ore ci separano dalle urne dirimenti il prossimo assetto
del Parlamento Europeo ed è orami chiaro che un’ampia fetta
dell’elettorato preferirà sottrarsi ai propri oneri costituzionali,
piuttosto che esprimere una preferenza che non sia indice di
rappresentanza e desumendo che astenersi sia la sola soluzione utile:
mai valutazione fu più erronea e sbilenca.
Da un lato, non è propedeutico ipotizzare che un’opinione sia
irrilevante o addirittura non determinante; dall’altro, per quelli che
davvero avesse intenzione di voltare pagina contro un’Europa dell’alta tecnocrazia e della burocratizzazione al
non plus ultra del suo legislativo ed esecutivo, è necessario che una
sommossa degli animi smuova i più onirici e incentivi negligenti,
esausti ed insoddisfatti da una politica continentale inetta e non
attenta. Ne va del progresso della civiltà e dell’amore per la verità:
che questa Unione così congegnata ci abbia fatto scudo da truculente ed
efferate guerre sanguinarie e abbia eluso l’eventualità che si
riproponessero, è vero soltanto in parte, dato che dalle trincee su
larga scala siamo passati alle ostilità tra poveri, ove la garanzia di
un lavoro stabile o al massimo flessibile ha lasciato spazio ad una
disoccupazione senza precedenti e ad un precariato assurdo. Adesso la
belligeranza è sottesa, sottaciuta, ma ugualmente devastante: la
finalità è la stessa di sempre, ossia distruggere e conquistare, nella
più pervicace delle logiche bismarckiane, stavolta senza missili, fucili
ed arsenali vari, ma con austerity, rating, spread, swap e derivati
similari. Gli ascari della finanza speculativa, usuraia e collusa coi
loschi affari, quella che ha mostrato il tetro e profondo baratro alla
Grecia, al Portogallo, all’Irlanda, ha impedito che venissero imbasti
piani per la riappropriazione della sovranità monetaria e stritola
l’identità nazionale per la macabra progettazione di un nuovo e
dispotico ordine mondiale.
Alla luce di ciò, è fondamentale che ognuno rispetti il suo ruolo
attivo, poiché è fin troppo evidente che stiano iniziando a spuntar
fuori gli altarini: il fedifrago Berlusconi apostrofava i suoi
detrattori con l’epiteto “sepolcri imbiancati” per ledere alla loro
etica ed onestà intellettuale, mentre ora, in virtù di alcune
rivelazioni su un plausibile complotto a lui avverso, è il caso di
ritenere che quanto istituzionalmente sopportato per anni sia stato
soltanto un simulacro del veridico, effettivo ed incisivo potere, il
quale ha inglobato la sfera legislativa, esecutiva, giudiziaria, mass
mediale e buona parte della società civile. Chi ad oggi dovesse
rivendicare il proprio nazionalismo e ripudiasse la formazione degli
Stati Uniti d’Europa, verrebbe evidentemente additato dai portaborse di
turno e dagli esegeti della morale politica come eversivo,
vacuo ed illogico, ma il suo voto avrebbe un peso specifico nettamente
superiore rispetto alle preferenze espresse dai pigiabottoni dei vertici
della partitocrazia e darebbe coscienza per sgominare i nefasti diktat
di Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo e la stritolante imposizione
fiscale dei vari Fiscal Compact (50 miliardi di tagli annui, che nei
confini nostrani equivarranno da consuetudine a lesinare sulla salute,
sulla ricerca e sull’istruzione), MES (80 miliardi di spending review,
non certo per andare incontro all’insolvenza dell’economia portoghese e
di quella irlandese, ma per enfatizzare gli affari azionari) ed
austerità cantando, volte solo alla tutela finanziaria degli interessi
delle banche commerciali e delle cosche giudaico-massoniche.
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