I giovani sono serviti: non avranno mai più un lavoro decente,
sicuro, dignitoso. La soddisfazione con cui i partiti hanno salutato l’ultima versione del decreto su contratti a termine e
apprendistato è «la miglior certificazione non solo degli ulteriori e
quasi incredibili peggioramenti di una legge già pessima, ma della vera e
propria bancarotta – non c’è altra parola – della rappresentanza
parlamentare del Partito Democratico». I parlamentari del Pd «si sono
lasciati soggiogare da alcuni notissimi nemici storici dei lavoratori e
dei sindacati», a cominciare dall’ex ministro Maurizio Sacconi,
accettando un testo normativo «che mai i governi Berlusconi sarebbero
riusciti ad ottenere a scapito dei lavoratori, e di cui invece il
“democratico” Renzi e il “comunista” Poletti vanno invece addirittura
fieri». Sono loro, i portabandiera della sinistra ufficiale, a
seppellire lo Statuto dei Lavoratori su cui si sono basati decenni di
sviluppo sociale nell’Italia del benessere.
Col decreto Poletti, i contratti a termine diventano “acausali”: possono essere conclusi
senza una motivazione specifica. Unico obiettivo: «Tenere il lavoratore
sotto il perpetuo ricatto del mancato rinnovo», senza più neppure
sperare in una conferma a tempo indeterminato dopo 36 mesi, perché per
questo occorrerebbe un ulteriore contratto: perché mai concederlo, visto
che sarebbe più conveniente assumere un nuovo precario? Certo,
ricorrere al turn-over dei precari non favorisce certo la competitività
dell’azienda sul piano della qualità: ma è appunto questa, come
denunciano molti osservatori, la tendenza a cui l’impresa italiana si è
andata rassegnando. Meglio produzioni di bassa qualità, ovviamente a
basso costo, per tentare di competere sul mercato mondiale globalizzato.
Problemi che non esisterebbero se invece si puntasse sul mercato
interno dei consumi, sulle filiere corte.
Soffermiamoci sull’ipocrisia del Pd, che ha «trangugiato con la
massima indifferenza la “acausalità” e fissato, in cambio, un falso
obiettivo, onde poter poi vantare falsi successi». Il falso obiettivo:
«Ridurre le possibili proroghe di un contratto “acausale” da 8 a 5», il
che però «non sposta di un millimetro il problema
del potere ricattatorio consegnato al datore». Anche perché, «una cosa è la proroga di un contratto, altra cosa
è il suo rinnovo, ossia la stipula di un altro successivo contratto del
tutto analogo». In altre parole, «dopo avere prorogato per cinque volte
un contratto acausale a termine, niente impedisce di stipulare un altro
contratto simile con le sue cinque proroghe, e così via». Eppure il Pd ha avuto il coraggio di vantare
questo inganno, o autoinganno, come un successo politico».
Altro fronte di degradazione definitiva del mercato del lavoro,
l’argine del “contingentamento” dei precari, in percentuale ai
lavoratori a tempo indeterminato. Nella sua versione originaria, il
decreto Poletti prevedeva una percentuale massima del 20% di contratti a
termine per azienda, ma ora il limite è stato aggirato. Restava un
ultimo punto: l’obbligo di trasformare in lavoratori stabili i
dipendenti a termine, una volta superata la soglia del 20%. «Ebbene,
anche su questo i parlamentari del Pd sono stati pronti al grosso passo
indietro, a genuflettersi ai Poletti, ai Sacconi, agli Ichino ed ad
accettare che il testo normativo preveda, invece della trasformazione,
una semplice sanzione amministrativa per lo “sforamento”». E'
come se si concedesse a chi dà lavoro in nero di non essere più
obbligato a mettere in regola il lavoratore. «Si tratta di un assurdo
giuridico, oltre che di una vergogna politica, che l’ineffabile capo dei
deputati Pd ed ex ministro del lavoro Cesare Damiano ha avuto il coraggio di definire come “differenza minimale” rispetto al testo originario».
Ora, dopo lo scontato
voto di fiducia «che consentirà di consumare definitivamente questo
vero crimine sociale», la parola dovrà passare «a quanti, nei movimenti e
nella società civile, hanno davvero a cuore i diritti dei lavoratori,
cercando di rivendicarli anche nelle aule di giustizia italiane ed
europee». Sempre che parola “giustizia”, naturalmente, ridiventi
coniugabile – in un futuro indefinito – con la parola “Europa”, cioè con
la tecnocrazia neoliberista del Fiscal Compact del Trattato
Transatlantico che mira esattamente a ridurre a zero le protezioni dello
Stato verso i lavoratori, con l’unico obiettivo di far aumentare in
modo esplosivo i profitti dei vertici industriali e finanziari, a
scapito di milioni di nuovi schiavi sottopagati e precari. Operazione a
cui, in questi anni – a tappe forzate (trattati europei) – i partiti italiani hanno dato un contributo determinante. Buon ultimo Matteo
Renzi: sta servendo ai poteri forti, su un piatto d’argento, le atroci
“riforme strutturali” invocate da Mario Monti e Elsa Fornero.
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