La politica italiana prosegue nella più abbietta strada delle privatizzazioni selvagge senza
calcolare le conseguenze nulle sull’economia e nefaste per la
popolazione che tali manovre possono causare. In particolare dalla fine degli anni ’80 si è scelto di intraprendere la strada del capitalismo selvaggio, quella visione del mondo,in cui chi è più ricco arraffa anche a discapito degli individui più indigenti.
Renzi e il suo fido Pier Carlo Padoan intendono seguire le orme del passato volendo rientrare ad ogni costo negli assurdi
parametri europei, secondo i quali il debito pubblico è visto come una
sorta di “patata bollente” pronta ad esplodere. In realtà, ahinoi, di
debito si vive purtroppo in un siffatto sistema: se anche l’ultimo dei
cittadini è dotato di carta di credito per comprare un lusso che non
potrebbe permettersi, figuriamoci lo Stato quanto debito sarà costretto a
contrarre con le banche, le uniche vere responsabili di questa
carneficina.
Così il nostro debito è lanciato ormai al 127% e sembra non fermarsi mai, eppure Padoan e Renzi vogliono
interrompere questa corsa con una manovra che ha del ridicolo: la
svendita del 10% di quote di Eni e Enel. Anche l’economista più
inesperto saprebbe dire che una tale operazione è senza dubbio a
perdere, perché il misero guadagno di 10 miliardi di euro a
seguito della svendita non andrebbero a intaccare se non di qualche
zero virgola l’indice del debito, cui però si devono aggiungere gli
interessi. Insomma lo Stato avrebbe solo da perdere il guadagno su
entrambe le aziende, oltre alla perdita di peso all’interno del
consiglio di amministrazione.
Oltre all’evidenza di queste previsioni esistono infiniti esempi
storici che smentiscono qualsiasi beneficio ricavabile da una svendita
di settori strategici del pubblico per combattere il debito, perché
dunque questa ostinazione?Chi lo capisce è bravo.
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