lunedì 1 aprile 2019

La crisi sfascia il governo

Il governo soffre, la maggioranza scricchiola, Conte annuncia che non continuerà a far politica, Salvini minaccia-teme che “possa venir giù tutto”, Di Maio reagisce male alle iniziative fascio-integraliste come quella di Verona, Tria considera sconsiderato chi (Salvini e Di Maio) pensa di poter usare la Commissione parlamentare d’inchiesta sul credito come un tribunale per il comportamento delle banche o della Banca d’Italia (e Mattarella pone limiti invalidanti ai poteri della Commissione stessa)…
Che succede?
Quel che era abbastanza ovvio già al momento del varo di questo scombiccherato governo: la crisi economica ha ripreso a mordere, siamo in recessione da ormai nove mesi, in tutta Europa ma con più evidenza in Italia, l’Unione Europea non cambia registro nei confronti dei paesi non core (solo Francia e Germania, e magari l’Olanda, possono rivedere alcuni pilastri della governance), le misure “espansive” immaginate da questa maggioranza (quota 100 e reddito di cittadinanza, sostanzialmente) sono state sotto sferza ridotte a qualcosa di cosmetico senza effetti pratici (ma non sarebbero servite a molto neanche nella versione originale).
E dunque la manovra da disegnare per il prossimo anno diventa una via crucis. Ce ne sarebbe una da fare subito, secondo Bruxelles, per “correggere” la differenza attesa tra previsioni della legge di stabilità e realtà economica. Ma nessuno può chiedere ad un governo “succube” di varare misure lacrime e sangue in piena campagna elettorale; per le europee, oltretutto.
Dunque si aspetterà giugno per cominciare a mettere nero su bianco la legge di stabilità 2020, in cui il massacro sociale sarà così evidente da non poter essere nascosto sotto misure-bandiera a costo zero (blocco dei porti e dei migranti, libertà di sparare e di armarsi, campo libero ai fascio-integralisti, ecc).
A saltare per primo sarà il cosiddetto “disinnesco delle clausole di salvaguardia”. Un meccanismo automatico disegnato ai tempi del governo di Enrico Letta (sembra preistoria, vero?) per cui, se non si possono rispettare i limiti di deficit pre-stabiliti, vengono aumentate le aliquote Iva. Il che, detta così, sembra quasi nulla, ma sul piano economico generale diventa un disastro. Immaginate voi un aumento improvviso e generale dei prezzi del 3-4% (l’Iva è una tassa su ogni merce, sia pure con aliquote diverse) in piena recessione, tra licenziamenti e salari bloccati o in discesa…
Come gettare benzina sul fuoco della crisi, inasprendo una recessione con misure “pro-cicliche”, invece che cercare di circoscrivere l’incendio con misure di segno opposto (“anti-cicliche”). Ne deriverebbe un immediato e proporzionale calo dei consumi, specie quelli più popolari, con trasferimento del calo sui volumi di produzione delle imprese, altri licenziamenti, chiusure, decurtazione salariale, aumento degli orari di lavoro.. e dell’incazzatura di massa.
Sul piano strettamente economico vi consegniamo l’analisi di Guido Salerno Aletta, su Milano Finanza, come sempre dettagliata e precisa.
Sul piano politico, invece, due considerazioni sono persino facili da fare.
a) Questo governo chiude subito dopo le elezioni europee, quando – stando ai sondaggi – la Lega avrà ribaltato i rapporti di forza rispetto ai Cinque Stelle, rassegnandosi a una riedizione del “centrodestra unito” in versione ancor meno europeista recalcitrante.

b) Non ci sono però i numeri in questo Parlamento per un governo con Berlusconi, e i “renziani” del Pd – che prima delle primarie sembravano disponibili per un supporto almeno “esterno” – sono in calo di potere e consensi.
c) Difficile andare ad elezioni anticipate a settembre (unica data utile per avere poi il tempo di formare un governo in grado di scrivere la legge di stabilità sotto dettatura “europea”), anche se non impossibile (una campagna elettorale in pieno agosto darebbe però la misura del livello cui è arrivata la crisi di questa classe politica).
d) Complicato per chiunque – persino per gli europeisti appecoronati del presunto “centrosinistra” – fare una campagna elettorale che promettere di risanare i conti pubblici a botte di lacrime e sangue…
Insomma, ci sembra di vedere la faccia di un Cottarelli o consimile “Edward mani di forbice” scorrere tra i profili che il presidente della Repubblica sta già ora prendendo in esame come possibile guida di un “governo tecnico”, chiamato a fare la manovra socialmente più sanguinosa dai tempi di Giuliano Amato (compresa la riedizione del prelievo forzoso direttamente sui conti correnti), e poi lasciare la mano per indire elezioni all’inizio della prossima primavera.
Quando, insomma, i “grillini” saranno ridotti a una variabile eccentrica molto minore, non più in grado di infastidire il ritorno al bipolarismo obbligato tra “alternative” sostanzialmente identiche (un po’ più di finta “accoglienza” da una parte, un po’ più manganelli dall’altra).
Un quadro che dovrebbe scuotere le solite incertezze che affliggono anche la sinistra di classe in questo paese. Non si affronta uno scenario di questa complessità con idee approssimative su come sottrarre questo paese al suo destino di declino programmato. Perché questo è ancora un paese industriale, specializzato nella trasformazione (non avendo sufficienti risorse naturali proprie), e dunque il miglioramento delle condizioni di vita delle classi popolari passa obbligatoriamente per un progetto chiaro sulla posizione del paese nel mondo attuale.
Le vie d’uscita dall’austerità imposta dall’Unione Europea, i possibili “piani B”, ci sono nei fatti. Si tratta di passare dagli auspici alla progettazione del futuro.

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