In base agli ultimi dati elaborati dall’Ocse emerge che l’Italia,
insieme a Grecia e Estonia, è il Paese dell’Eurozona è dove si lavorano
più ore settimanali: 33. Si tratta di tre ore in più rispetto alla media
europea che è di di 30 ore, e addirittura di 7 ore in più rispetto alla
Germania. Come dire che rispetto ai lavoratori tedeschi, quelli
italiani, greci ed estoni lavorano un giorno in più alla settimana.
Sopra la media europea si collocano anche paesi Irlanda, Portogallo, Slovacchia, Lettonia, Spagna, Slovenia e Lituania (in pratica gli altri paesi Pigs e dell’Est), tutti sopra le 30 ore settimanali di lavoro.
Le ore di lavoro settimanali, sono invece ridotte nei paesi del “nucleo centrale e nordico” dell’Eurozona. Germania: 26 ore a settimana, Olanda 28 ore, Lussemburgo, Austria e Francia con 29 ore di lavoro settimanali, Allineati con la media europea – con 30 ore di lavoro settimanali – sono altri due paesi del nucleo centro-nordico come Finlandia e Belgio.
Contestualmente a questa disuguaglianza tra gli orari di lavoro nell’Eurozona, i salari reali in Italia sono più bassi rispetto a dieci anni fa, così come avvenuto in Spagna, Portogallo, Grecia, Ungheria, Cipro, Croazia e Gran Bretagna. I salari sono rimasti stabili in Finlandia e Belgio. C’è stato invece un exploit degli stipendi nei Paesi dell’Est. La fotografia è stata scattata dall’istituto dei sindacati europei Etuc (European Trade Union Confederation).
Nel periodo 2009-2019, gli stipendi aggiustati rispetto all’inflazione sono scesi del 23% in Grecia, dell’11% in Croazia, del 7% a Cipro, del 4% in Portogallo, del 3% in Spagna, del 2% in Italia e dell’1% in Gran Bretagna e Ungheria. In Germania invece gli stipendi sono aumentati dell’11% e in Francia del 7%. Dove sono cresciuti di più sono nei Paesi dell’Est, con il boom record della Bulgaria con +87%, seguita a distanza dalla Romania (+34%), dalla Polonia (+30%), e dai baltici (Lettonia, Lituania ed Estonia, tra il +21% e il +20%).
Infine, ma non per importanza, sia l’Ocse che altri apparati della borghesia lamentano che l’Italia è il fanalino di coda per la produttività. Ma se in Italia gli orari di lavoro sono tra i più lunghi e i salari tra i più bassi, questa “scarsa” produttività non può essere certo addossata al fattore lavoro, piuttosto emerge con evidenza come dipenda dal fattore capitale. Come sempre, da sempre. Va rovesciato il tavolo.
Sopra la media europea si collocano anche paesi Irlanda, Portogallo, Slovacchia, Lettonia, Spagna, Slovenia e Lituania (in pratica gli altri paesi Pigs e dell’Est), tutti sopra le 30 ore settimanali di lavoro.
Le ore di lavoro settimanali, sono invece ridotte nei paesi del “nucleo centrale e nordico” dell’Eurozona. Germania: 26 ore a settimana, Olanda 28 ore, Lussemburgo, Austria e Francia con 29 ore di lavoro settimanali, Allineati con la media europea – con 30 ore di lavoro settimanali – sono altri due paesi del nucleo centro-nordico come Finlandia e Belgio.
Contestualmente a questa disuguaglianza tra gli orari di lavoro nell’Eurozona, i salari reali in Italia sono più bassi rispetto a dieci anni fa, così come avvenuto in Spagna, Portogallo, Grecia, Ungheria, Cipro, Croazia e Gran Bretagna. I salari sono rimasti stabili in Finlandia e Belgio. C’è stato invece un exploit degli stipendi nei Paesi dell’Est. La fotografia è stata scattata dall’istituto dei sindacati europei Etuc (European Trade Union Confederation).
Nel periodo 2009-2019, gli stipendi aggiustati rispetto all’inflazione sono scesi del 23% in Grecia, dell’11% in Croazia, del 7% a Cipro, del 4% in Portogallo, del 3% in Spagna, del 2% in Italia e dell’1% in Gran Bretagna e Ungheria. In Germania invece gli stipendi sono aumentati dell’11% e in Francia del 7%. Dove sono cresciuti di più sono nei Paesi dell’Est, con il boom record della Bulgaria con +87%, seguita a distanza dalla Romania (+34%), dalla Polonia (+30%), e dai baltici (Lettonia, Lituania ed Estonia, tra il +21% e il +20%).
Infine, ma non per importanza, sia l’Ocse che altri apparati della borghesia lamentano che l’Italia è il fanalino di coda per la produttività. Ma se in Italia gli orari di lavoro sono tra i più lunghi e i salari tra i più bassi, questa “scarsa” produttività non può essere certo addossata al fattore lavoro, piuttosto emerge con evidenza come dipenda dal fattore capitale. Come sempre, da sempre. Va rovesciato il tavolo.
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