La società contemporanea sta vivendo un’epoca del
frammento la cui complessità è determinata da una serie di fattori che
hanno definitivamente mutato l’ordine della società moderna:
l’innovazione tecnologica, la globalizzazione, la crisi delle ideologie e
Internet, sono solo alcuni degli elementi che hanno contribuito a
ridefinire la nostra epoca come postmoderna, attributo che non indica
una fase tardiva della modernità, ma un periodo storico segnato da una
discontinuità netta con il passato. È stato Lyotard il primo ad inaugurare il termine postmodernità. Nel 1979, in La condition postmoderne,
sottolinea infatti come l’ingresso nell’epoca postmoderna sia stato
determinato dalla fine delle grandi narrazioni e delle interpretazioni
totalizzanti della realtà – come il marxismo, il fascismo,
l’illuminismo, l’idealismo – a cui è conseguito un indebolimento dei
modelli, delle forme e dei valori universali che in passato erano
prodotti proprio da questo tipo di narrazioni.
Sarà questa fine, causata dai processi storici del Novecento, a produrre una discontinuità con la modernità: se il paradigma moderno era caratterizzato da una visione della realtà razionale, governata da leggi inviolabili e il cui funzionamento risultava essere sistematico, ordinato e prevedibile; la società postmoderna invece è governata dal caos, dal flusso e dall’indeterminatezza. Bauman la definisce modernità liquida, poiché nessuna delle forme di vita sociale è in grado di mantenere a lungo la propria forma (Bauman, Per tutti i gusti): siamo insomma entrati nell’era del post-paradigma, in cui la cultura si contrappone ad ogni tipo di meccanismo omeostatico in grado di dettare norme e doveri e consolidare la società attraverso forme solide e conformistiche. La liquidità impone un tipo di meccanismo votato al cambiamento costante e alla flessibilità, il quale genera individui dal forte senso di smarrimento e frustrazione generale, causati dall’inconsistenza della propria identità liquida.
La flessibilità della cultura liquida è perfettamente aderente e funzionale ad una società fondata sul consumo come valore di vita, nella cui dimensione l’individuo può esprimersi costruendo, cambiando o sostituendo con frequenza e rapidità la propria identità con i pezzi di ricambio che il mercato propone. Il consumismo – vero e proprio attributo della società postmoderna – acquisisce infatti il ruolo cardine che nell’epoca moderna era riservato al lavoro. In questa prospettiva, la felicità è associata alla crescita quantitativa e intensiva di desideri, i quali producono un meccanismo di facile sostituzione degli oggetti, incaricati di soddisfare il desiderio fugace e transitorio solo per un breve lasso di tempo. Il meccanismo infatti deve garantire la rapida sostituzione delle merci per alimentare l’economia consumistica: un circuito edonista composto dalla mancata soddisfazione del desiderio e dalla ricerca di una felicità effimera per mezzo di altri e sempre nuovi oggetti, i quali seducono e producono il nuovo desiderio da soddisfare.
Questa centralità del consumo come valore fondante della società, che determina e influenza l’esistenza e le prospettive degli individui che la abitano, ci obbliga a rivalutare il concetto di crisi delle ideologie espresso da Lyotard. Esiste ancora un’unica Grande Narrazione: il consumismo, che si serve delle marche per poter propagare il suo meta-racconto. La marca come entità narratrice molteplice rappresenta la versione frammentata delle grandi narrazioni tradizionali. Ogni marca racconta e costruisce un proprio mondo possibile fatto di valori e di significati precisi, finalizzati ad intercettare determinate sacche di consumatori e determinati trend di consumo. Sono in definitiva dei simulacri di mondi possibili, poiché il vero obiettivo per ogni marca – o meglio, per ogni azienda – è la massimizzazione del profitto, ottenuta attraverso la diffusione di un’unica narrazione che le accomuna tutte, ovvero lo stimolo al consumo e l’esaltazione della ricchezza come strumento per sopperire all’urgenza del soddisfacimento di repentini, instabili, inconsistenti e mutevoli desideri. Il potere dei consumi quindi si è dotato di un nuovo dispositivo che, attraverso tutta una serie di tecniche semiotiche relative alla gestione della marca e al funzionamento della pubblicità, assume il ruolo di costruttore di racconti e di significati. Un dispositivo semiotico che ha lo scopo di far prevalere egemonicamente la Grande Narrazione del consumismo, ma anche capace di normalizzare gli individui attraverso l’assorbimento delle anomalie al sistema.
La marca è il principale costrutto semiotico che dà vita al dispositivo: riveste una centralità importante nella società postmoderna e nell’economia di mercato. Innanzitutto bisogna osservare come essa, oggi appartenente all’universo della comunicazione, abbia acquisito un peso sempre più crescente nel momento in cui si è passati dalla commercializzazione di un prodotto alla sua messa in discorso, a cui è conseguito un passaggio dagli aspetti materiali del prodotto ai suoi aspetti immateriali: nel contesto del mercato contemporaneo un prodotto, per esistere, deve necessariamente essere presentato attraverso una narrazione. Una messa in discorso che si focalizza sugli aspetti immateriali del prodotto, elementi quindi legati all’immaginario o al simbolismo che una merce può evocare. Questa trasformazione è avvenuta per mezzo di due processi legati l’uno con l’altro. In primo luogo, si può rilevare una tendenza di tipo sociologico, relativa all’ingresso della società occidentale nell’epoca postmoderna, di cui abbiamo già accennato nell’introduzione di questo saggio: la crisi delle ideologie e il declino dei sistemi di valori improntati sulla fiducia in utopie a carattere collettivo, spinge la società allo sviluppo dell’individualismo. Questo non solo comporta una rottura dei sistemi dei codici comportamenti e regolati da norme esterne rispetto all’individuo, ma anche l’attribuzione al consumo di un ruolo importante: quello di generatore di significati; ruolo che le tradizionali forme sociali non erano più in grado di produrre. È così che le pratiche di consumo degli individui diventano sempre più indipendenti, complesse, meno prevedibili e sempre più contraddittorie proprio a causa della liquefazione dei codici comportamentali socialmente già classificati. Al contempo, il consumo acquista una centralità inedita tanto che le pratiche di consumo si diluiscono nelle pratiche di vita: da questo momento gli oggetti cessano semplicemente di essere utili a qualcosa e cominciano ad avere un significato.
La seconda tendenza osservabile è invece di carattere economico. La moltiplicazione quantitativa e qualitativa dei prodotti immessi nel mercato di massa produce una saturazione dei mercati, causando la morte dei produttori che non riescono a sopravvivere alla concorrenza. Per porre rimedio a questa saturazione, le aziende si affidano a sistemi e strategie di comunicazione in grado di far conoscere ai consumatori le proprie idee e i propri valori. Ma anche questa soluzione ha condotto inevitabilmente verso un eccesso di emittenti e di messaggi emessi. Un inquinamento mediatico che consuma i messaggi: i discorsi insomma cessano di produrre significazione e vengono banalizzati, facendo sopravvivere solo quelli più credibili, gradevoli e potenti. Le conseguenze di questo processo sono due: la dematerializzazione, che trasforma le merci in fenomeni comunicativi e discorsivi e ne cancella l’esistenza reale; e la desemantizzazione, che consiste nella perdita di senso del prodotto stesso. Venendo meno la loro significazione intrinseca, occorre rivitalizzare il prodotto conferendogli un nuovo peso simbolico, che consenta di differenziarlo e riconoscerlo nella massa di prodotti che il mercato offre. Questo ruolo verrà attribuito alla marca, che costruirà artificialmente i discorsi e la significazione ad hoc per ogni prodotto. Il risultato di questi due processi è il mercato della marca, un mercato in cui il mondo della produzione e il mondo dei consumatori-ricettori non si scambiano esclusivamente prodotti, ma i discorsi che generano il loro senso. Il compito della marca è quello di costruire attorno al prodotto un mondo che lo renda comprensibile, coerente e interpretabile.
Qual è lo scopo della marca e del discorso pubblicitario, elementi che compongono il dispositivo semiotico? Se ne possono delineare due. La prima finalità è di ordine semiotico ed è perseguita dalle singole marche e dai discorsi che ciascuna di esse mette in circolo: il loro obiettivo è infatti quello di porre rimedio alla saturazione dei mercati e all’inquinamento mediatico attraverso la diversificazione semiotica delle merci. Si parta da un presupposto: è il valore oppositivo e negativo del segno a determinare il suo funzionamento; ed è per questo che le marche e i discorsi pubblicitari non mirano solamente a riempire di senso le merci. L’intervento è soprattutto finalizzato ad opporre tra di loro marche e prodotti simili; creare differenze immateriali ove non sono presenti differenze materiali. Ma la diversificazione e l’instaurazione di opposizioni fra marche non basta: per mantenere attivo il mercato, si ricorre ad un altro tipo di pratica. Il discorso pubblicitario collega la narrazione alla marca o all’oggetto, creando valore semiotico che nel momento dell’acquisto viene scambiato con il valore economico. Ciò che si compra sono discorsi; ciò che si consuma sono simboli. E nel sistema economico contemporaneo, c’è sempre la necessità di produrre nuovi discorsi sugli oggetti, perché la loro obsolescenza fisica viene anticipata dalla loro obsolescenza semiotica: la merce viene consumata sul piano della valorizzazione. Quest’usura semiotica delle merci già acquistate viene provocata artificialmente dalla pratica pubblicitaria: per mantenersi in vita, le aziende innestano sul mercato nuovi simboli e nuovi discorsi, in modo tale da rendere obsoleti e usurati quelli che caratterizzano i vecchi oggetti.
Il tema dell’obsolescenza semiotica controllata si collega perfettamente alla seconda finalità che s’intende evidenziare: questa è di ordine meta-politico e riguarda non le singole marche, bensì il sistema-marca in generale. Ogni azienda costruisce il proprio piccolo mondo di valori tramite il discorso pubblicitario: un discorso che, se preso singolarmente, risulta essere coinciso ma debole, confuso e mirato ad intercettare il proprio target di consumatori nel momento della diffusione del messaggio pubblicitario. In realtà, non c’è nessuno che vive veramente all’interno del piccolo mondo creato da una marca, anche se acquista i suoi prodotti. Ogni singola marca costruisce certamente il proprio mondo possibile tramite il discorso pubblicitario; un racconto però che, essendo breve e sommario, non è capace di costruire un vero mondo in cui credere. Ma se si prende in considerazione il sistema-marca, ossia ciò che tutte le marche e i loro discorsi dicono, la valutazione sulla pervasività ideologica effettiva cambia radicalmente. Il sistema-marca propaga e diffonde l’unica Grande Narrazione che nei processi storici ha prevalso sulle altre: la Grande Narrazione del consumismo e dell’ideologia capitalista, che per reggersi su sé stessa ha dovuto necessariamente reinterpretarsi, assumendo una forma liquida e frammentata. Il contenuto di questa Grande Narrazione sta tutto nell’incentivo al consumo; messaggio ideologico a cui conseguono prescrizioni e modelli che impone ai consumatori e alla società. A questo proposito, il dispositivo semiotico porta a compimento in maniera egregia il suo scopo: se infatti le singole marche risultano essere in competizione fra loro; ognuna di esse al contempo, consciamente o inconsciamente, lavora anche nella prospettiva di mantenere in funzione il sistema economico che la ospita. Il potere dei consumi è così composto da “un’arcipelago di poteri differenti” – come lo definirebbe Foucault – la cui specificità forma però un unico, grande e flessibile flusso di valori, garanzia della conservazione del consumismo e del capitalismo.
L’aspetto da sottolineare è però il modo in cui questo sistema riesce a conservarsi nella mutevolezza di una società composta in prima istanza da esseri umani. La liquidità e la frammentazione della Grande Narrazione consumistica ha il preciso scopo di assorbire all’interno dei flussi consumistici il dissenso e le anomalie sistemiche, controllando fin dalla loro generazione le nuove, autentiche, inizialmente ingovernate e potenzialmente ingovernabili pratiche di vita. Il dispositivo semiotico riesce a integrarle nella forma di vita consumistica e a normalizzarle: in primo luogo, le riconosce come tendenze innovative e originali da poter sfruttare; successivamente riesce a tradurle generando nuovi simboli che, pur mantenendo la loro costruzione estetica (il significante), trovano mutati i loro valori originariamente anti-sistemici (il loro significato autentico); infine, questi nuovi simboli vengono immessi sul mercato, sostituendo le merci usurate semioticamente e alimentando così il circuito edonista.
Attraverso il processo di normalizzazione, il consumatore non solo viene usato per allineare al sistema consumistico le nuove forme culturali potenzialmente incontrollate; ma viene anche investito dalla responsabilità di produrre nuovi oggetti del consumo che lo possano sedurre: suscitare i desideri non rientra più nelle competenze del marketing, depennando questa strategia e addossandola agli stessi consumatori. La sorveglianza e la pratica del marketing diventano sempre più delle attività fai-da-te: la strategia di marketing ingloba la libertà di scelta. In questo modo, la servitù volontaria dei nuovi prosumer viene percepita come avanzamento di libertà e prova dell’autonomia di chi sceglie.
Sarà questa fine, causata dai processi storici del Novecento, a produrre una discontinuità con la modernità: se il paradigma moderno era caratterizzato da una visione della realtà razionale, governata da leggi inviolabili e il cui funzionamento risultava essere sistematico, ordinato e prevedibile; la società postmoderna invece è governata dal caos, dal flusso e dall’indeterminatezza. Bauman la definisce modernità liquida, poiché nessuna delle forme di vita sociale è in grado di mantenere a lungo la propria forma (Bauman, Per tutti i gusti): siamo insomma entrati nell’era del post-paradigma, in cui la cultura si contrappone ad ogni tipo di meccanismo omeostatico in grado di dettare norme e doveri e consolidare la società attraverso forme solide e conformistiche. La liquidità impone un tipo di meccanismo votato al cambiamento costante e alla flessibilità, il quale genera individui dal forte senso di smarrimento e frustrazione generale, causati dall’inconsistenza della propria identità liquida.
La flessibilità della cultura liquida è perfettamente aderente e funzionale ad una società fondata sul consumo come valore di vita, nella cui dimensione l’individuo può esprimersi costruendo, cambiando o sostituendo con frequenza e rapidità la propria identità con i pezzi di ricambio che il mercato propone. Il consumismo – vero e proprio attributo della società postmoderna – acquisisce infatti il ruolo cardine che nell’epoca moderna era riservato al lavoro. In questa prospettiva, la felicità è associata alla crescita quantitativa e intensiva di desideri, i quali producono un meccanismo di facile sostituzione degli oggetti, incaricati di soddisfare il desiderio fugace e transitorio solo per un breve lasso di tempo. Il meccanismo infatti deve garantire la rapida sostituzione delle merci per alimentare l’economia consumistica: un circuito edonista composto dalla mancata soddisfazione del desiderio e dalla ricerca di una felicità effimera per mezzo di altri e sempre nuovi oggetti, i quali seducono e producono il nuovo desiderio da soddisfare.
Questa centralità del consumo come valore fondante della società, che determina e influenza l’esistenza e le prospettive degli individui che la abitano, ci obbliga a rivalutare il concetto di crisi delle ideologie espresso da Lyotard. Esiste ancora un’unica Grande Narrazione: il consumismo, che si serve delle marche per poter propagare il suo meta-racconto. La marca come entità narratrice molteplice rappresenta la versione frammentata delle grandi narrazioni tradizionali. Ogni marca racconta e costruisce un proprio mondo possibile fatto di valori e di significati precisi, finalizzati ad intercettare determinate sacche di consumatori e determinati trend di consumo. Sono in definitiva dei simulacri di mondi possibili, poiché il vero obiettivo per ogni marca – o meglio, per ogni azienda – è la massimizzazione del profitto, ottenuta attraverso la diffusione di un’unica narrazione che le accomuna tutte, ovvero lo stimolo al consumo e l’esaltazione della ricchezza come strumento per sopperire all’urgenza del soddisfacimento di repentini, instabili, inconsistenti e mutevoli desideri. Il potere dei consumi quindi si è dotato di un nuovo dispositivo che, attraverso tutta una serie di tecniche semiotiche relative alla gestione della marca e al funzionamento della pubblicità, assume il ruolo di costruttore di racconti e di significati. Un dispositivo semiotico che ha lo scopo di far prevalere egemonicamente la Grande Narrazione del consumismo, ma anche capace di normalizzare gli individui attraverso l’assorbimento delle anomalie al sistema.
La marca è il principale costrutto semiotico che dà vita al dispositivo: riveste una centralità importante nella società postmoderna e nell’economia di mercato. Innanzitutto bisogna osservare come essa, oggi appartenente all’universo della comunicazione, abbia acquisito un peso sempre più crescente nel momento in cui si è passati dalla commercializzazione di un prodotto alla sua messa in discorso, a cui è conseguito un passaggio dagli aspetti materiali del prodotto ai suoi aspetti immateriali: nel contesto del mercato contemporaneo un prodotto, per esistere, deve necessariamente essere presentato attraverso una narrazione. Una messa in discorso che si focalizza sugli aspetti immateriali del prodotto, elementi quindi legati all’immaginario o al simbolismo che una merce può evocare. Questa trasformazione è avvenuta per mezzo di due processi legati l’uno con l’altro. In primo luogo, si può rilevare una tendenza di tipo sociologico, relativa all’ingresso della società occidentale nell’epoca postmoderna, di cui abbiamo già accennato nell’introduzione di questo saggio: la crisi delle ideologie e il declino dei sistemi di valori improntati sulla fiducia in utopie a carattere collettivo, spinge la società allo sviluppo dell’individualismo. Questo non solo comporta una rottura dei sistemi dei codici comportamenti e regolati da norme esterne rispetto all’individuo, ma anche l’attribuzione al consumo di un ruolo importante: quello di generatore di significati; ruolo che le tradizionali forme sociali non erano più in grado di produrre. È così che le pratiche di consumo degli individui diventano sempre più indipendenti, complesse, meno prevedibili e sempre più contraddittorie proprio a causa della liquefazione dei codici comportamentali socialmente già classificati. Al contempo, il consumo acquista una centralità inedita tanto che le pratiche di consumo si diluiscono nelle pratiche di vita: da questo momento gli oggetti cessano semplicemente di essere utili a qualcosa e cominciano ad avere un significato.
La seconda tendenza osservabile è invece di carattere economico. La moltiplicazione quantitativa e qualitativa dei prodotti immessi nel mercato di massa produce una saturazione dei mercati, causando la morte dei produttori che non riescono a sopravvivere alla concorrenza. Per porre rimedio a questa saturazione, le aziende si affidano a sistemi e strategie di comunicazione in grado di far conoscere ai consumatori le proprie idee e i propri valori. Ma anche questa soluzione ha condotto inevitabilmente verso un eccesso di emittenti e di messaggi emessi. Un inquinamento mediatico che consuma i messaggi: i discorsi insomma cessano di produrre significazione e vengono banalizzati, facendo sopravvivere solo quelli più credibili, gradevoli e potenti. Le conseguenze di questo processo sono due: la dematerializzazione, che trasforma le merci in fenomeni comunicativi e discorsivi e ne cancella l’esistenza reale; e la desemantizzazione, che consiste nella perdita di senso del prodotto stesso. Venendo meno la loro significazione intrinseca, occorre rivitalizzare il prodotto conferendogli un nuovo peso simbolico, che consenta di differenziarlo e riconoscerlo nella massa di prodotti che il mercato offre. Questo ruolo verrà attribuito alla marca, che costruirà artificialmente i discorsi e la significazione ad hoc per ogni prodotto. Il risultato di questi due processi è il mercato della marca, un mercato in cui il mondo della produzione e il mondo dei consumatori-ricettori non si scambiano esclusivamente prodotti, ma i discorsi che generano il loro senso. Il compito della marca è quello di costruire attorno al prodotto un mondo che lo renda comprensibile, coerente e interpretabile.
Qual è lo scopo della marca e del discorso pubblicitario, elementi che compongono il dispositivo semiotico? Se ne possono delineare due. La prima finalità è di ordine semiotico ed è perseguita dalle singole marche e dai discorsi che ciascuna di esse mette in circolo: il loro obiettivo è infatti quello di porre rimedio alla saturazione dei mercati e all’inquinamento mediatico attraverso la diversificazione semiotica delle merci. Si parta da un presupposto: è il valore oppositivo e negativo del segno a determinare il suo funzionamento; ed è per questo che le marche e i discorsi pubblicitari non mirano solamente a riempire di senso le merci. L’intervento è soprattutto finalizzato ad opporre tra di loro marche e prodotti simili; creare differenze immateriali ove non sono presenti differenze materiali. Ma la diversificazione e l’instaurazione di opposizioni fra marche non basta: per mantenere attivo il mercato, si ricorre ad un altro tipo di pratica. Il discorso pubblicitario collega la narrazione alla marca o all’oggetto, creando valore semiotico che nel momento dell’acquisto viene scambiato con il valore economico. Ciò che si compra sono discorsi; ciò che si consuma sono simboli. E nel sistema economico contemporaneo, c’è sempre la necessità di produrre nuovi discorsi sugli oggetti, perché la loro obsolescenza fisica viene anticipata dalla loro obsolescenza semiotica: la merce viene consumata sul piano della valorizzazione. Quest’usura semiotica delle merci già acquistate viene provocata artificialmente dalla pratica pubblicitaria: per mantenersi in vita, le aziende innestano sul mercato nuovi simboli e nuovi discorsi, in modo tale da rendere obsoleti e usurati quelli che caratterizzano i vecchi oggetti.
Il tema dell’obsolescenza semiotica controllata si collega perfettamente alla seconda finalità che s’intende evidenziare: questa è di ordine meta-politico e riguarda non le singole marche, bensì il sistema-marca in generale. Ogni azienda costruisce il proprio piccolo mondo di valori tramite il discorso pubblicitario: un discorso che, se preso singolarmente, risulta essere coinciso ma debole, confuso e mirato ad intercettare il proprio target di consumatori nel momento della diffusione del messaggio pubblicitario. In realtà, non c’è nessuno che vive veramente all’interno del piccolo mondo creato da una marca, anche se acquista i suoi prodotti. Ogni singola marca costruisce certamente il proprio mondo possibile tramite il discorso pubblicitario; un racconto però che, essendo breve e sommario, non è capace di costruire un vero mondo in cui credere. Ma se si prende in considerazione il sistema-marca, ossia ciò che tutte le marche e i loro discorsi dicono, la valutazione sulla pervasività ideologica effettiva cambia radicalmente. Il sistema-marca propaga e diffonde l’unica Grande Narrazione che nei processi storici ha prevalso sulle altre: la Grande Narrazione del consumismo e dell’ideologia capitalista, che per reggersi su sé stessa ha dovuto necessariamente reinterpretarsi, assumendo una forma liquida e frammentata. Il contenuto di questa Grande Narrazione sta tutto nell’incentivo al consumo; messaggio ideologico a cui conseguono prescrizioni e modelli che impone ai consumatori e alla società. A questo proposito, il dispositivo semiotico porta a compimento in maniera egregia il suo scopo: se infatti le singole marche risultano essere in competizione fra loro; ognuna di esse al contempo, consciamente o inconsciamente, lavora anche nella prospettiva di mantenere in funzione il sistema economico che la ospita. Il potere dei consumi è così composto da “un’arcipelago di poteri differenti” – come lo definirebbe Foucault – la cui specificità forma però un unico, grande e flessibile flusso di valori, garanzia della conservazione del consumismo e del capitalismo.
L’aspetto da sottolineare è però il modo in cui questo sistema riesce a conservarsi nella mutevolezza di una società composta in prima istanza da esseri umani. La liquidità e la frammentazione della Grande Narrazione consumistica ha il preciso scopo di assorbire all’interno dei flussi consumistici il dissenso e le anomalie sistemiche, controllando fin dalla loro generazione le nuove, autentiche, inizialmente ingovernate e potenzialmente ingovernabili pratiche di vita. Il dispositivo semiotico riesce a integrarle nella forma di vita consumistica e a normalizzarle: in primo luogo, le riconosce come tendenze innovative e originali da poter sfruttare; successivamente riesce a tradurle generando nuovi simboli che, pur mantenendo la loro costruzione estetica (il significante), trovano mutati i loro valori originariamente anti-sistemici (il loro significato autentico); infine, questi nuovi simboli vengono immessi sul mercato, sostituendo le merci usurate semioticamente e alimentando così il circuito edonista.
Attraverso il processo di normalizzazione, il consumatore non solo viene usato per allineare al sistema consumistico le nuove forme culturali potenzialmente incontrollate; ma viene anche investito dalla responsabilità di produrre nuovi oggetti del consumo che lo possano sedurre: suscitare i desideri non rientra più nelle competenze del marketing, depennando questa strategia e addossandola agli stessi consumatori. La sorveglianza e la pratica del marketing diventano sempre più delle attività fai-da-te: la strategia di marketing ingloba la libertà di scelta. In questo modo, la servitù volontaria dei nuovi prosumer viene percepita come avanzamento di libertà e prova dell’autonomia di chi sceglie.
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