Chiudere i porti è un atto politico che mira a fermare questa orrenda tratta di essere umani,
ma soprattutto lancia un messaggio forte all’Europa che dal 2011 ad
oggi, oltre ad aver ordinato attraverso Francia e Inghilterra la destabilizzazione della Libia di Gheddafi, è rimasta a guardare la Guardia Costiera Italiana,
sola nel Mediterraneo, tirare fuori dall’acqua un’infinità di vite
umane. Il razzismo imputato al governo Conte è privo di senso, perché
paradossalmente a orientarlo è proprio un buon senso mescolato ad un sano pragmatismo. Il
portavoce della Guardia costiera libica Ayoub Qassem lo ha detto
chiaramente: “la chiusura dei porti farà diminuire partenze”. E’ pura
logica: se da un lato dunque si ostacolano i trafficanti, veri businessman della morte, dall’altro si lotta contro l’annegamento dei migranti.
Ma c’è chi non vuol vedere e continua ad attaccare sul piano ideologico-emotivo la decisione del ministro degli Interni Matteo Salvini – presa in accordo con il pentastellato Danilo Toninelli – che in realtà sta proseguendo la stessa “guerra asimmetrica” del suo precedessore Marco Minniti con altri mezzi (e toni). Perché di una “guerra asimmetrica” si tratta. A spiegare questa tesi è un libro dal titolo Armi di migrazione di massa. Deportazione, coercizione e politica estera (pagine 482, euro 20, LEG Edizioni, prefazione di Sergio Romano) scritto da Kelly M. Greenhill, studiosa e ricercatrice americana, in cui spiega perfettamente – con numeri, dati e fatti storici – come il fenomeno delle migrazioni si è trasformato in un’arma di coercizione per indebolire uno Stato o demonizzarne un governo. E che lo vogliano o meno, le ONG, dietro alle argomentazioni lacrimevoli, stanno combattendo in prima linea, anche loro, sulla pelle dei migranti. Il recente caso della nave Aquarius, rientra perfettamente nello schema tracciato dalla Greenhill che lei stessa definisce Coercive engineered migration (dall’inglese “migrazione coercitiva progettata”), proprio perché queste imbarcazioni private non svolgono solo attività di soccorso bensì si recano direttamente nelle acque libiche per prelevare i migranti e portarli in Europa. Nel libro questa sorta di organizzazioni non governative sembrano rientrare nella categoria degli “agenti provocatori” ovvero quei soggetti terzi rispetto agli Stati, che in qualche modo possono trasformare una crisi limitata in una crisi di ampie proporzioni, facendo pressione, orientando l’opinione pubblica e le azioni umanitarie, al punto di sovvertire un’intera struttura statuale.
La decisione del governo Conte di chiudere i porti dunque – che rafforza il Codice di Condotta sulle ONG approvato in passato – è l’atto politico più legittimo ed efficace per contrastare questa forma di coercizione asimmetrica. Oltre a mantenere questa linea di fronte alle critiche, occorre però andare fino in fondo e pronunciare la stessa identica fermezza quando i vertici della NATO chiederanno di utilizzare le nostre basi militari per bombardare Paesi sovrani e appoggiare nuove guerre “umanitarie” nel Mediterraneo che alimentano quella stessa orrenda tratta di essere umani. E a proposito di toni, lo slogan non deve essere “aiutiamoli a casa a loro” ma “aiutiamoli a casa loro, perché quella è casa loro”. Perché il futuro non è qui ma in quelle terre piene di fierezza, dignità, orgoglio, e con le quali è necessario avviare progetti di cooperazione – laddove i governi sono indesiderati o incapaci di agire – con rispetto, lealtà e profonda amicizia. Oltre ad essere giusta è l’unica via percorribile per resistere simbolicamente ai coercitori che ora sfruttano i migranti, una seconda volta, con fini politici. Sarà un’estate lunga, e non bisognerà fare nemmeno un passo indietro.
Ma c’è chi non vuol vedere e continua ad attaccare sul piano ideologico-emotivo la decisione del ministro degli Interni Matteo Salvini – presa in accordo con il pentastellato Danilo Toninelli – che in realtà sta proseguendo la stessa “guerra asimmetrica” del suo precedessore Marco Minniti con altri mezzi (e toni). Perché di una “guerra asimmetrica” si tratta. A spiegare questa tesi è un libro dal titolo Armi di migrazione di massa. Deportazione, coercizione e politica estera (pagine 482, euro 20, LEG Edizioni, prefazione di Sergio Romano) scritto da Kelly M. Greenhill, studiosa e ricercatrice americana, in cui spiega perfettamente – con numeri, dati e fatti storici – come il fenomeno delle migrazioni si è trasformato in un’arma di coercizione per indebolire uno Stato o demonizzarne un governo. E che lo vogliano o meno, le ONG, dietro alle argomentazioni lacrimevoli, stanno combattendo in prima linea, anche loro, sulla pelle dei migranti. Il recente caso della nave Aquarius, rientra perfettamente nello schema tracciato dalla Greenhill che lei stessa definisce Coercive engineered migration (dall’inglese “migrazione coercitiva progettata”), proprio perché queste imbarcazioni private non svolgono solo attività di soccorso bensì si recano direttamente nelle acque libiche per prelevare i migranti e portarli in Europa. Nel libro questa sorta di organizzazioni non governative sembrano rientrare nella categoria degli “agenti provocatori” ovvero quei soggetti terzi rispetto agli Stati, che in qualche modo possono trasformare una crisi limitata in una crisi di ampie proporzioni, facendo pressione, orientando l’opinione pubblica e le azioni umanitarie, al punto di sovvertire un’intera struttura statuale.
La decisione del governo Conte di chiudere i porti dunque – che rafforza il Codice di Condotta sulle ONG approvato in passato – è l’atto politico più legittimo ed efficace per contrastare questa forma di coercizione asimmetrica. Oltre a mantenere questa linea di fronte alle critiche, occorre però andare fino in fondo e pronunciare la stessa identica fermezza quando i vertici della NATO chiederanno di utilizzare le nostre basi militari per bombardare Paesi sovrani e appoggiare nuove guerre “umanitarie” nel Mediterraneo che alimentano quella stessa orrenda tratta di essere umani. E a proposito di toni, lo slogan non deve essere “aiutiamoli a casa a loro” ma “aiutiamoli a casa loro, perché quella è casa loro”. Perché il futuro non è qui ma in quelle terre piene di fierezza, dignità, orgoglio, e con le quali è necessario avviare progetti di cooperazione – laddove i governi sono indesiderati o incapaci di agire – con rispetto, lealtà e profonda amicizia. Oltre ad essere giusta è l’unica via percorribile per resistere simbolicamente ai coercitori che ora sfruttano i migranti, una seconda volta, con fini politici. Sarà un’estate lunga, e non bisognerà fare nemmeno un passo indietro.
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