Il mondo è cambiato e nessuno in occidente l’ha notato. India e Pakistan
aderivano alla Shanghai Cooperation Organization. L’ente, a 17 anni
dalla fondazione il 15 giugno 2001 si è tranquillamente affermato come
principale alleanza e raggruppamento di nazioni d’Eurasia. Ora si
allarga da sei ad otto, e i due nuovi aderenti sono le gigantesche
potenze regionali nucleari dell’Asia meridionale, l’India, con una
popolazione di 1324 milioni di abitanti, e il Pakistan con 193,2 milioni
(entrambe nel 2016). In altre parole, la popolazione combinata delle
potenze della SCO di già oltre 1,5 miliardi è praticamente raddoppiata
in un colpo solo. Le conseguenze globali a lungo termine di questo
sviluppo sono enormi. È probabile che si dimostrerà il singolo fattore
più importante ad assicurare la pace e a rimuovere la minaccia della
guerra nucleare dall’Asia meridionale e dal 20% della razza umana. Ora
porta la popolazione totale mondiale nelle otto nazioni della SCO al
40%, inclusa una delle due più potenti nazioni con armi termonucleari
(Russia) e altre tre potenze nucleari (Cina, India e Pakistan). Questo
sviluppo è un trionfo diplomatico soprattutto per Mosca. La Russia ha
cercato per decenni di portare lo stretto e vecchio alleato strategico,
l’India, nell’ombrello della SCO. Questa visione fu chiaramente
articolata da una delle più grandi menti strategiche della Russia del
20° secolo, l’ex-Premier e Ministro degli Esteri Evgenij Primakov, morto
nel 2015. In passato la Cina bloccò, con fermezza, l’adesione
dell’India, ma col Pakistan, alleato cinese, aderiva allo stesso tempo,
armonizzando l’influenza di Pechino e Mosca. La mossa non può che
rafforzare il ruolo già dominante della Russia nella diplomazia e
sicurezza del continente asiatico. Per Pechino e per Delhi, la strada
per le buone relazioni e la risoluzione di questioni come condivisione
delle risorse idriche dell’Himalaya ed investimenti nello sviluppo
economico dell’Africa passa ora da Mosca. Il Presidente Vladimir Putin è
nella posizione ideale d’interlocutore regolare tra le due gigantesche
nazioni dell’Asia. La mossa va anche essere vista come reazione
significativa dell’India alla crescente volatilità ed imprevedibilità
degli Stati Uniti nell’arena globale. A Washington e nell’Europa
occidentale, è di moda e di fatto inevitabilmente riflesso, che ciò sia
interamente attribuito al presidente Donald Trump. Ma in realtà questa
allarmante tendenza risale almeno al bombardamento del Kosovo da parte
di Stati Uniti ed alleati della NATO nel 1998, sfidando l’assenza di
sanzioni nel diritto internazionale a qualsiasi azione del genere al
momento, perché gli altri membri chiave del Consiglio della Sicurezza
delle Nazioni Unite si oppose. Da allora, sotto quattro presidenti,
l’appetito degli Stati Uniti per gli imprevedibili interventi militari
in tutto il mondo, solitamente pasticciati e senza limiti, inflisse
sofferenza ed instabilità a molte nazioni, principalmente del Medio
Oriente (Iraq, Siria, Libia e Yemen) ma anche d’Eurasia (Ucraina) e Asia
meridionale (Afghanistan).
L’adesione di India e Pakistan alla SCO è un ripudio sbalorditivo degli Stati Uniti, principale alleato e protettore strategico del Pakistan negli ultimi 70 anni da quando raggiunse l’indipendenza (Dean Acheson, segretario di Stato dell’amministrazione Truman del 1949-53 era noto per il disprezzo razzista per tutti gli indiani, così come per l’antisemitismo e odio per gli irlandesi). Le relazioni USA-Pakistan si sono progressivamente deteriorate da quando gli Stati Uniti invasero l’Afghanistan nel novembre 2001, ma attraverso ciò, i politici statunitensi diedero sempre per scontato che Islamabad alla fine “restasse nella riserva” e danzasse alla loro musica. Gli Stati Uniti hanno corteggiato l’India per 17 anni, dalla visita del presidente Bill Clinton nel 2000, che seguì nella sue conferenze stampa. L’attuale Primo ministro indiano Narendra Modi affrontò la sessione congiunta del Congresso nel 2016, il massimo riconoscimento dalla dirigenza politica statunitense per qualsiasi leader straniero. Politici ed opinionisti statunitensi hanno continuamente pontificato sull’India che, in quanto democrazia anglofona, sarebbe diventata partner ideologico e strategico degli USA opponendosi all’inevitabile ascesa della Cina sulla scena mondiale. Si rivelò una fantasia. Durante la Guerra Fredda, la “perdita” di una qualsiasi nazione delle dimensioni e posizione dell’India o del Pakistan presso il campo ideologico e di sicurezza rivale, o la sola indipendenza, avrebbe scioccato, ferito, irritato e persino spaventato apertamente sui media statunitensi. Tuttavia, ciò che si è visto dopo questo sviluppo epocale è assai straordinario. Le decisioni di Delhi e Islamabad non sono state elogiate, condannate e neanche riconosciute nell’autale dibattito politico e strategico statunitense. Sono state completamente ignorate. Vedere capi e opinionisti di una grande superpotenza ancora immaginarsi l’iper-potenza dominante condurre gli affari così è preoccupante ed allarmante.
La realtà è che viviamo in un mondo multipolare, e ciò chiaramente almeno dal 2001. Tuttavia, questa ovvia verità continuerà ad essere negata a Washington, Londra e Parigi nella spregiudicata disputa di fatti nettamente chiari.
L’adesione di India e Pakistan alla SCO è un ripudio sbalorditivo degli Stati Uniti, principale alleato e protettore strategico del Pakistan negli ultimi 70 anni da quando raggiunse l’indipendenza (Dean Acheson, segretario di Stato dell’amministrazione Truman del 1949-53 era noto per il disprezzo razzista per tutti gli indiani, così come per l’antisemitismo e odio per gli irlandesi). Le relazioni USA-Pakistan si sono progressivamente deteriorate da quando gli Stati Uniti invasero l’Afghanistan nel novembre 2001, ma attraverso ciò, i politici statunitensi diedero sempre per scontato che Islamabad alla fine “restasse nella riserva” e danzasse alla loro musica. Gli Stati Uniti hanno corteggiato l’India per 17 anni, dalla visita del presidente Bill Clinton nel 2000, che seguì nella sue conferenze stampa. L’attuale Primo ministro indiano Narendra Modi affrontò la sessione congiunta del Congresso nel 2016, il massimo riconoscimento dalla dirigenza politica statunitense per qualsiasi leader straniero. Politici ed opinionisti statunitensi hanno continuamente pontificato sull’India che, in quanto democrazia anglofona, sarebbe diventata partner ideologico e strategico degli USA opponendosi all’inevitabile ascesa della Cina sulla scena mondiale. Si rivelò una fantasia. Durante la Guerra Fredda, la “perdita” di una qualsiasi nazione delle dimensioni e posizione dell’India o del Pakistan presso il campo ideologico e di sicurezza rivale, o la sola indipendenza, avrebbe scioccato, ferito, irritato e persino spaventato apertamente sui media statunitensi. Tuttavia, ciò che si è visto dopo questo sviluppo epocale è assai straordinario. Le decisioni di Delhi e Islamabad non sono state elogiate, condannate e neanche riconosciute nell’autale dibattito politico e strategico statunitense. Sono state completamente ignorate. Vedere capi e opinionisti di una grande superpotenza ancora immaginarsi l’iper-potenza dominante condurre gli affari così è preoccupante ed allarmante.
La realtà è che viviamo in un mondo multipolare, e ciò chiaramente almeno dal 2001. Tuttavia, questa ovvia verità continuerà ad essere negata a Washington, Londra e Parigi nella spregiudicata disputa di fatti nettamente chiari.
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