La società contemporanea sta vivendo un’epoca del
frammento la cui complessità è determinata da una serie di fattori che
hanno definitivamente mutato l’ordine della società moderna:
l’innovazione tecnologica, la globalizzazione, la crisi delle ideologie e
Internet, sono solo alcuni degli elementi che hanno contribuito a
ridefinire la nostra epoca come postmoderna, attributo che non indica
una fase tardiva della modernità, ma un periodo storico segnato da una
discontinuità netta con il passato. È stato
Lyotard il primo ad inaugurare il termine postmodernità. Nel 1979, in
La condition postmoderne,
sottolinea infatti come l’ingresso nell’epoca postmoderna sia stato
determinato dalla fine delle grandi narrazioni e delle interpretazioni
totalizzanti della realtà – come il marxismo, il fascismo,
l’illuminismo, l’idealismo – a cui è conseguito un indebolimento dei
modelli, delle forme e dei valori universali che in passato erano
prodotti proprio da questo tipo di narrazioni.
Sarà questa fine, causata dai processi storici del Novecento, a
produrre una discontinuità con la modernità: se il paradigma moderno era
caratterizzato da una visione della realtà razionale, governata da
leggi inviolabili e il cui funzionamento risultava essere sistematico,
ordinato e prevedibile; la società postmoderna invece è governata dal
caos, dal flusso e dall’indeterminatezza.
Bauman la definisce modernità liquida, poiché
nessuna delle forme di vita sociale è in grado di mantenere a lungo la propria forma (Bauman,
Per tutti i gusti):
siamo insomma entrati nell’era del post-paradigma, in cui la cultura si
contrappone ad ogni tipo di meccanismo omeostatico in grado di dettare
norme e doveri e consolidare la società attraverso forme solide e
conformistiche.
La liquidità impone un tipo di meccanismo votato al cambiamento costante
e alla flessibilità, il quale genera individui dal forte senso di
smarrimento e frustrazione generale, causati dall’inconsistenza della
propria identità liquida.
La flessibilità della cultura liquida è perfettamente aderente e
funzionale ad una società fondata sul consumo come valore di vita, nella
cui dimensione l’individuo può esprimersi costruendo, cambiando o
sostituendo con frequenza e rapidità la propria identità con i pezzi di
ricambio che il mercato propone. Il consumismo – vero e proprio
attributo della società postmoderna – acquisisce infatti il ruolo
cardine che nell’epoca moderna era riservato al lavoro. In questa
prospettiva,
la felicità è associata alla crescita quantitativa e intensiva di desideri,
i quali producono un meccanismo di facile sostituzione degli oggetti,
incaricati di soddisfare il desiderio fugace e transitorio solo per un
breve lasso di tempo. Il meccanismo infatti deve garantire la rapida
sostituzione delle merci per alimentare l’economia consumistica: un
circuito edonista composto dalla mancata soddisfazione del desiderio e
dalla ricerca di una felicità effimera per mezzo di altri e sempre nuovi
oggetti, i quali seducono e producono il nuovo desiderio da soddisfare.
Questa centralità del consumo come valore fondante della società, che
determina e influenza l’esistenza e le prospettive degli individui che
la abitano, ci obbliga a rivalutare il concetto di crisi delle ideologie
espresso da Lyotard. Esiste ancora un’unica Grande Narrazione: il
consumismo, che si serve delle marche per poter propagare il suo
meta-racconto. La marca come entità narratrice molteplice rappresenta la
versione frammentata delle grandi narrazioni tradizionali.
Ogni marca racconta e costruisce un proprio mondo
possibile fatto di valori e di significati precisi, finalizzati ad
intercettare determinate sacche di consumatori e determinati trend di
consumo. Sono in definitiva dei simulacri di mondi possibili, poiché il
vero obiettivo per ogni marca – o meglio, per ogni azienda – è la
massimizzazione del profitto, ottenuta attraverso la diffusione di
un’unica narrazione che le accomuna tutte, ovvero lo stimolo al consumo e
l’esaltazione della ricchezza come strumento per sopperire all’urgenza
del soddisfacimento di repentini, instabili, inconsistenti e mutevoli
desideri. Il potere dei consumi quindi si è dotato di un nuovo
dispositivo che, attraverso tutta una serie di tecniche semiotiche
relative alla gestione della marca e al funzionamento della pubblicità,
assume il ruolo di costruttore di racconti e di significati. Un
dispositivo semiotico che ha lo scopo di far prevalere egemonicamente
la Grande Narrazione del consumismo, ma anche capace di normalizzare gli individui attraverso l’assorbimento delle anomalie al sistema.
La marca è il principale costrutto semiotico che dà vita al dispositivo:
riveste una centralità importante nella società postmoderna e
nell’economia di mercato. Innanzitutto bisogna osservare come essa, oggi
appartenente all’universo della comunicazione, abbia acquisito un peso
sempre più crescente nel momento in cui si è passati dalla
commercializzazione di un prodotto alla sua messa in discorso, a cui è
conseguito un passaggio dagli aspetti materiali del prodotto ai suoi
aspetti immateriali: nel contesto del mercato contemporaneo un prodotto,
per esistere, deve necessariamente essere presentato attraverso una
narrazione. Una messa in discorso che si focalizza sugli aspetti
immateriali del prodotto, elementi quindi legati all’immaginario o al
simbolismo che una merce può evocare. Questa trasformazione è avvenuta
per mezzo di due processi legati l’uno con l’altro. In primo luogo, si
può rilevare una tendenza di tipo sociologico, relativa all’ingresso
della società occidentale nell’epoca postmoderna, di cui abbiamo già
accennato nell’introduzione di questo saggio: la crisi delle ideologie e
il declino dei sistemi di valori improntati sulla fiducia in utopie a
carattere collettivo, spinge la società allo sviluppo
dell’individualismo. Questo non solo comporta una rottura dei sistemi
dei codici comportamenti e regolati da norme esterne rispetto
all’individuo, ma anche
l’attribuzione al consumo di un ruolo importante:
quello di generatore di significati; ruolo che le tradizionali forme
sociali non erano più in grado di produrre. È così che le pratiche di
consumo degli individui diventano sempre più indipendenti, complesse,
meno prevedibili e sempre più contraddittorie proprio a causa della
liquefazione dei codici comportamentali socialmente già classificati. Al
contempo, il consumo acquista una centralità inedita tanto che le
pratiche di consumo si diluiscono nelle pratiche di vita: da questo
momento gli oggetti cessano semplicemente di essere utili a qualcosa e
cominciano ad avere un significato.
La seconda tendenza osservabile è invece di carattere economico. La
moltiplicazione quantitativa e qualitativa dei prodotti immessi nel
mercato di massa produce una saturazione dei mercati, causando la morte
dei produttori che non riescono a sopravvivere alla concorrenza. Per
porre rimedio a questa saturazione, le aziende si affidano a sistemi e
strategie di comunicazione in grado di far conoscere ai consumatori le
proprie idee e i propri valori. Ma anche questa soluzione ha condotto
inevitabilmente verso un eccesso di emittenti e di messaggi emessi. Un
inquinamento mediatico che consuma i messaggi: i discorsi insomma
cessano di produrre significazione e vengono banalizzati, facendo
sopravvivere solo quelli più credibili, gradevoli e potenti. Le
conseguenze di questo processo sono due: la
dematerializzazione, che trasforma le merci in fenomeni comunicativi e discorsivi e ne cancella l’esistenza reale; e la
desemantizzazione,
che consiste nella perdita di senso del prodotto stesso. Venendo meno
la loro significazione intrinseca, occorre rivitalizzare il prodotto
conferendogli un nuovo peso simbolico, che consenta di differenziarlo e
riconoscerlo nella massa di prodotti che il mercato offre. Questo ruolo
verrà attribuito alla marca, che costruirà artificialmente i discorsi e
la significazione
ad hoc per ogni prodotto. Il risultato di
questi due processi è il mercato della marca, un mercato in cui il mondo
della produzione e il mondo dei consumatori-ricettori non si scambiano
esclusivamente prodotti, ma i discorsi che generano il loro senso. Il
compito della marca è quello di costruire attorno al prodotto un mondo
che lo renda
comprensibile, coerente e interpretabile.
Qual è lo scopo della marca e del discorso pubblicitario, elementi
che compongono il dispositivo semiotico? Se ne possono delineare due. La
prima finalità è di ordine semiotico ed è perseguita dalle singole
marche e dai discorsi che ciascuna di esse mette in circolo: il loro
obiettivo è infatti quello di porre rimedio alla saturazione dei mercati
e all’inquinamento mediatico attraverso la diversificazione semiotica
delle merci. Si parta da un presupposto: è il valore oppositivo e
negativo del segno a determinare il suo funzionamento; ed è per questo
che le marche e i discorsi pubblicitari non mirano solamente a riempire
di senso le merci.
L’intervento è soprattutto finalizzato ad opporre tra di loro marche e prodotti simili;
creare differenze immateriali ove non sono presenti differenze
materiali. Ma la diversificazione e l’instaurazione di opposizioni fra
marche non basta: per mantenere attivo il mercato, si ricorre ad un
altro tipo di pratica. Il discorso pubblicitario collega la narrazione
alla marca o all’oggetto, creando valore semiotico che nel momento
dell’acquisto viene scambiato con il valore economico. Ciò che si compra
sono discorsi; ciò che si consuma sono simboli. E nel sistema economico
contemporaneo, c’è sempre la necessità di produrre nuovi discorsi sugli
oggetti, perché la loro obsolescenza fisica viene anticipata dalla loro
obsolescenza semiotica: la merce viene consumata sul piano della
valorizzazione. Quest’usura semiotica delle merci già acquistate viene
provocata artificialmente dalla pratica pubblicitaria: per mantenersi in
vita, le aziende innestano sul mercato nuovi simboli e nuovi discorsi,
in modo tale da rendere obsoleti e usurati quelli che caratterizzano i
vecchi oggetti.
Il tema dell’
obsolescenza semiotica controllata si
collega perfettamente alla seconda finalità che s’intende evidenziare:
questa è di ordine meta-politico e riguarda non le singole marche, bensì
il sistema-marca in generale. Ogni azienda costruisce il proprio
piccolo mondo di valori tramite il discorso pubblicitario: un discorso
che, se preso singolarmente, risulta essere coinciso ma debole, confuso e
mirato ad intercettare il proprio target di consumatori nel momento
della diffusione del messaggio pubblicitario. In realtà, non c’è nessuno
che vive veramente all’interno del piccolo mondo creato da una marca,
anche se acquista i suoi prodotti. Ogni singola marca costruisce
certamente il proprio mondo possibile tramite il discorso pubblicitario;
un racconto però che, essendo breve e sommario, non è capace di
costruire un vero mondo in cui credere. Ma se si prende in
considerazione il sistema-marca, ossia ciò che tutte le marche e i loro
discorsi dicono, la valutazione sulla pervasività ideologica effettiva
cambia radicalmente. Il sistema-marca propaga e diffonde l’unica Grande
Narrazione che nei processi storici ha prevalso sulle altre: la Grande
Narrazione del consumismo e dell’ideologia capitalista, che per reggersi
su sé stessa ha dovuto necessariamente reinterpretarsi, assumendo una
forma liquida e frammentata. Il contenuto di questa Grande Narrazione
sta tutto nell’
incentivo al consumo; messaggio
ideologico a cui conseguono prescrizioni e modelli che impone ai
consumatori e alla società. A questo proposito, il dispositivo semiotico
porta a compimento in maniera egregia il suo scopo: se infatti le
singole marche risultano essere in competizione fra loro; ognuna di esse
al contempo, consciamente o inconsciamente, lavora anche nella
prospettiva di mantenere in funzione il sistema economico che la ospita.
Il potere dei consumi è così composto da “un’arcipelago di poteri
differenti” – come lo definirebbe Foucault – la cui specificità forma
però un unico, grande e flessibile flusso di valori, garanzia della
conservazione del consumismo e del capitalismo.
L’aspetto da sottolineare è però il modo in cui questo sistema riesce
a conservarsi nella mutevolezza di una società composta in prima
istanza da esseri umani. La liquidità e la frammentazione della Grande
Narrazione consumistica ha il preciso scopo di assorbire all’interno dei
flussi consumistici il dissenso e le anomalie sistemiche, controllando
fin dalla loro generazione le nuove, autentiche, inizialmente
ingovernate e potenzialmente ingovernabili pratiche di vita.
Il dispositivo semiotico riesce a integrarle nella forma di vita consumistica e a normalizzarle:
in primo luogo, le riconosce come tendenze innovative e originali da
poter sfruttare; successivamente riesce a tradurle generando nuovi
simboli che, pur mantenendo la loro costruzione estetica (il
significante), trovano mutati i loro valori originariamente
anti-sistemici (il loro significato autentico); infine, questi nuovi
simboli vengono immessi sul mercato, sostituendo le merci usurate
semioticamente e alimentando così il circuito edonista.
Attraverso il processo di normalizzazione, il consumatore non solo
viene usato per allineare al sistema consumistico le nuove forme
culturali potenzialmente incontrollate; ma viene anche investito dalla
responsabilità di
produrre nuovi oggetti del consumo che lo possano sedurre:
suscitare i desideri non rientra più nelle competenze del marketing,
depennando questa strategia e addossandola agli stessi consumatori. La
sorveglianza e la pratica del marketing diventano sempre più delle
attività fai-da-te: la strategia di marketing ingloba la libertà di
scelta. In questo modo, la servitù volontaria dei nuovi prosumer viene
percepita come avanzamento di libertà e prova dell’autonomia di chi
sceglie.