Hai esaminato attentamente come si è sviluppata in diverse parti del
mondo la crisi finanziaria scoppiata nel 2008. Che cosa ha in comune la
crisi finanziaria in Europa con quella negli Stati Uniti?
Un fattore comune negli Stati Uniti e in Europa è stato il capitale finanziario non regolato, non disciplinato. All’inizio le banche europee, tra cui le banche tedesche, hanno acquistato enormi quantità di titoli tossici subprime e in conseguenza hanno visto gravemente compromessi i propri bilanci e, nel caso di molte, hanno dovuto essere salvate dai loro governi.
Secondo, le banche europee si sono date agli stessi incontrollati finanziamenti a imprese immobiliari, creando così una grande bolla in luoghi come il Regno Unito, l’Irlanda e la Spagna.
Un altro fattore comune è stato che i paesi europei avevano anche adottato una normativa della “mano leggera”, sotto l’influenza di Wall Street e di teorie neoliberiste come la cosiddetta “ipotesi del Mercato Efficiente”, che affermava che i mercati finanziari, lasciati a sé stessi, avrebbero condotto all’allocazione più efficiente del capitale. Persino le autorità tedesche sono state sotto l’incantesimo di tali dottrine cosicché sono state colte di sorpresa dalla grande esposizione delle loro banche a titoli tossici subprime e ad alti rischi di credito come la Grecia.
E che cosa è stato unico o particolare nella crisi europea che l’ha distinta da quella degli Stati Uniti?
La cosa principale che ha distinto la crisi in Europa da quella negli USA è stata la complicazione introdotta da 19 stati con una moneta comune senza un’unione fiscale o politica. D’altro canto l’euro ha dato ai prestatori l’illusione che il rischio di credito delle economie più deboli fosse praticamente lo stesso di quello delle economie più forti, incoraggiandoli a prestare alle prime senza la dovuta diligenza. D’altro canto essere nell’eurozona ha gravemente limitato le scelte di un paese di riprendersi poiché ha eliminato la svalutazione come mezzo per muovere un’economia da un deficit a un surplus commerciale. L’euro è diventato una gabbia dorata in cui le economie più deboli sono state condannate a una stagnazione a lungo termine.
Quale è stato il ruolo della Germania nella crisi finanziaria? Come hanno influenzato le politiche tedesche ciò che è accaduto, ad esempio, in Grecia?
La Germania ha avuto un ruolo centrale nella generazione della crisi. Innanzitutto le riforme neoliberiste chiamate Riforme Hartz, attuate dal governo socialdemocratico agli inizi del nuovo millennio, hanno reso il lavoro tedesco relativamente a basso costo rispetto ai vicini. Ciò ha trasformato molte altre nazioni europee in paesi a deficit nel loro rapporto commerciale con la Germania. Per coprire i loro deficit, così come per sostenere misure di sicurezza sociale per i rimossi dalle esportazioni tedesche, i governi di tali paesi, come la Grecia, si sono indebitati pesantemente con banche tedesche.
Secondo, non trattenute da istituzioni presunte serie del governo tedesco come la Bundesbank, le banche tedesche non si sono comportate con la dovuta diligenza nei confronti di debitori come la Grecia e hanno prestato avventatamente somme enormi. L’esposizione tedesca nei confronti della Grecia è arrivata a circa 25 miliardi di euro, inducendo Barry Eichengreen, un esperto finanziario di spicco, a commentare che ciò che era in gioco “non era solo la solvibilità del governo greco, bensì la stabilità del sistema finanziario tedesco”.
Terzo, rifiutando di riconoscere la responsabilità delle proprie banche e scaricando la colpa interamente sulla Grecia e su altri paesi debitori, la Germania ha ostinatamente dettato le politiche di austerità che la Grecia e altri paesi sono stati costretti ad adottare. Tali politiche sono intese a recuperare il grosso dei prestiti fatti da banche tedesche. Persino il FMI riconosce che queste politiche di austerità semplicemente condannano la Grecia e i paesi dell’Europa meridionale a una stagnazione a lungo termine, ma la Germania insiste per avere la sua libbra di carne e questo può solo finire col promuovere la diffusione di movimenti populisti di destra antieuropei.
Dunque che dire della narrazione convenzionale che afferma che la crisi greca è stata innescata dalla rivelazione nel 2009 che il governo aveva manipolato i conti?
Beh, va considerato che nel 2007, due anni prima dello scandalo delle statistiche, il tango dei frenetici prestiti di banche tedesche e francesi di indebitamento da tossicodipendenza da parte del governo e delle banche private greche aveva già spinto il debito greco a 290 miliardi di euro, che era il 107 per cento del PIL. Tuttavia la Grecia era ancora considerata un buon rischio creditizio.
Ciò che ha reso diversa la situazione nel 2009 è stata la diffusione della crisi finanziaria globale arrivata da Wall Street in Europa, con banche al collasso o salvate dai governi. La ricaduta di Wall Street ha fatto preoccupare i paesi creditori che i prenditori privati nei paesi debitori non fossero in grado di rimborsare i loro prestiti. Così hanno premuto su governi come la Grecia, il cui governo era già fortemente indebitato, perché assumessero anche la responsabilità del debito del settore privato o lo nazionalizzassero. Questa conversione del debito privato in un passivo statale ha trasformato la crisi finanziaria in Europa in una crisi del debito sovrano. La manipolazione statistica ha operato principalmente come scusa per i governi creditori per un giro di vite sugli stati debitori.
Tu citi l’affermazione di Joseph Stiglitz che l’euro è solo un esperimento durato diciassette anni, mal progettato e destinato a non funzionare. Significa che ritieni che l’euro non sopravvivrà?
Come ho detto in precedenza, il problema dell’eurozona è che è un’unione monetaria che non ha i requisiti necessari di un’unione fiscale e politica che fisserebbe le regole e i meccanismi per consentire alle autorità centrali di trasferire capitale da regioni in surplus a regioni in deficit. Oggi ci sono solo due modi per risolvere gli squilibri commerciali all’interno dell’eurozona. Uno è la svalutazione interna, cioè l’adozione di dure politiche di austerità che ridurrebbero il costo del lavoro e renderebbero competitive le esportazioni di un paese in deficit; questo comporta il rischio di sottoporre un paese a una stagnazione a lungo termine a causa della forte riduzione della domanda effettiva. L’altro modo consiste semplicemente nel prendersi su e andarsene, lasciare l’eurozona e adottare una nuova moneta il valore della quale sarebbe basso rispetto all’euro, rendendo così “competitive” le esportazioni di un paese. Non sorprendentemente questo comporterebbe anche il rischio di comprimere la domanda effettiva nell’economia debitrice. Tuttavia la seconda opzione consentirebbe molto maggiore spazio di manovra che l’essere intrappolati in un matrimonio senza amore, depresso, come l’eurozona.
Così, secondo me, i paesi dell’eurozona hanno di fronte la scelta o di passare a un’unione fiscale e politica completa, il che renderebbe i trasferimenti finanziari in larga misura una questione di fondi attivati automaticamente per fluire da aree in surplus ad aree in deficit in un’economia pienamente unificata, come negli Stati Uniti, oppure chiudere l’unione monetaria. La mia sensazione è che non esiste una via di mezzo.
Quale diresti sia stato il ruolo della socialdemocrazia nella crisi?
La socialdemocrazia è profondamente implicata nella crisi. Mentre Margaret Thatcher è divenuta il volto del neoliberismo, i socialdemocratici hanno avuto un ruolo molto centrale nel premere misure neoliberiste in tutta Europa. Il New Labour ha promosso la liberalizzazione della finanza e la mano leggera con le regole nel Regno Unito con Gordon Brown, dapprima come cancelliere e poi come primo ministro diventando in conseguenza, come ha scritto un giornalista, “mitizzato” dalla City.
Francois Mitterand e i socialisti francesi sono stati i principali campioni dell’euro, in quello che l’ex ministro greco delle finanze [ ‘degli esteri’ nell’originale – n.d.t.] Yanis Varoufakis descrive come un progetto francese per imbrigliare la potenza economica tedesca nell’integrazione europea sotto la guida politica e amministrativa francese.
E in Germania è stato sotto il governo socialdemocratico di Gerard Schroeder che sono state attuate le “riforme” del mercato del lavoro che hanno ridotto i salari e consolidato la posizione della Germania come paese in surplus e i suoi vicini come paesi in deficit, costringendoli a dipendere dalle banche tedesche per coprire i loro deficit commerciali. Il partito Cristiano Democratico non avrebbe potuto fare quello che hanno fatto i socialdemocratici, ma Angela Merkel e i conservatori hanno finito per mangiare quanto servito dal SPD.
La crisi finanziaria in Europa poteva essere evitata e, se sì, come?
Sì, avrebbe potuto essere evitata se ci fossero state regole stringenti di controllo della finanza poste in essere da governi che non considerassero il capitale finanziario come un partner, bensì come una forza da disciplinare. La finanza deve essere messa al proprio posto di meccanismo per ottenere capitale da quelli che lo detengono per quelli che possono applicarlo a un uso produttivo. Sempre più sembra come se solo un sistema bancario nazionalizzato possa adempiere appropriatamente questa funzione. Detto questo, io condiviso l’apprensione dell’economista statunitense Hyman Minsky che fintanto che regna il capitalismo il capitale finanziario troverà modi per adeguarsi a regole governative per darsi nuovamente a prestiti spericolati.
Siamo fuori pericolo ora oppure c’è una possibilità che possa accadere di nuovo?
No, non siamo fuori pericolo, perché la riforma del settore finanziario, spinta nel seguito immediato della crisi finanziaria, è stata inefficace o non attuate a causa dei riusciti sforzi di lobby delle imprese finanziarie.
Il capitale finanziario resta non disciplinato. Nel frattempo, a causa delle politiche di austerità, la maggior parte dell’economia reale dell’Europa è nella morsa di una stagnazione permanente. Ciò determina la tentazione per il capitale finanziario non regolato di dedicarsi nuovamente ad avventure speculative, in cui si spreme valore da valore già creato mediante la creazione di bolle che sono destinate a scoppiare, portando di nuovo caos nella loro scia.
Un fattore comune negli Stati Uniti e in Europa è stato il capitale finanziario non regolato, non disciplinato. All’inizio le banche europee, tra cui le banche tedesche, hanno acquistato enormi quantità di titoli tossici subprime e in conseguenza hanno visto gravemente compromessi i propri bilanci e, nel caso di molte, hanno dovuto essere salvate dai loro governi.
Secondo, le banche europee si sono date agli stessi incontrollati finanziamenti a imprese immobiliari, creando così una grande bolla in luoghi come il Regno Unito, l’Irlanda e la Spagna.
Un altro fattore comune è stato che i paesi europei avevano anche adottato una normativa della “mano leggera”, sotto l’influenza di Wall Street e di teorie neoliberiste come la cosiddetta “ipotesi del Mercato Efficiente”, che affermava che i mercati finanziari, lasciati a sé stessi, avrebbero condotto all’allocazione più efficiente del capitale. Persino le autorità tedesche sono state sotto l’incantesimo di tali dottrine cosicché sono state colte di sorpresa dalla grande esposizione delle loro banche a titoli tossici subprime e ad alti rischi di credito come la Grecia.
E che cosa è stato unico o particolare nella crisi europea che l’ha distinta da quella degli Stati Uniti?
La cosa principale che ha distinto la crisi in Europa da quella negli USA è stata la complicazione introdotta da 19 stati con una moneta comune senza un’unione fiscale o politica. D’altro canto l’euro ha dato ai prestatori l’illusione che il rischio di credito delle economie più deboli fosse praticamente lo stesso di quello delle economie più forti, incoraggiandoli a prestare alle prime senza la dovuta diligenza. D’altro canto essere nell’eurozona ha gravemente limitato le scelte di un paese di riprendersi poiché ha eliminato la svalutazione come mezzo per muovere un’economia da un deficit a un surplus commerciale. L’euro è diventato una gabbia dorata in cui le economie più deboli sono state condannate a una stagnazione a lungo termine.
Quale è stato il ruolo della Germania nella crisi finanziaria? Come hanno influenzato le politiche tedesche ciò che è accaduto, ad esempio, in Grecia?
La Germania ha avuto un ruolo centrale nella generazione della crisi. Innanzitutto le riforme neoliberiste chiamate Riforme Hartz, attuate dal governo socialdemocratico agli inizi del nuovo millennio, hanno reso il lavoro tedesco relativamente a basso costo rispetto ai vicini. Ciò ha trasformato molte altre nazioni europee in paesi a deficit nel loro rapporto commerciale con la Germania. Per coprire i loro deficit, così come per sostenere misure di sicurezza sociale per i rimossi dalle esportazioni tedesche, i governi di tali paesi, come la Grecia, si sono indebitati pesantemente con banche tedesche.
Secondo, non trattenute da istituzioni presunte serie del governo tedesco come la Bundesbank, le banche tedesche non si sono comportate con la dovuta diligenza nei confronti di debitori come la Grecia e hanno prestato avventatamente somme enormi. L’esposizione tedesca nei confronti della Grecia è arrivata a circa 25 miliardi di euro, inducendo Barry Eichengreen, un esperto finanziario di spicco, a commentare che ciò che era in gioco “non era solo la solvibilità del governo greco, bensì la stabilità del sistema finanziario tedesco”.
Terzo, rifiutando di riconoscere la responsabilità delle proprie banche e scaricando la colpa interamente sulla Grecia e su altri paesi debitori, la Germania ha ostinatamente dettato le politiche di austerità che la Grecia e altri paesi sono stati costretti ad adottare. Tali politiche sono intese a recuperare il grosso dei prestiti fatti da banche tedesche. Persino il FMI riconosce che queste politiche di austerità semplicemente condannano la Grecia e i paesi dell’Europa meridionale a una stagnazione a lungo termine, ma la Germania insiste per avere la sua libbra di carne e questo può solo finire col promuovere la diffusione di movimenti populisti di destra antieuropei.
Dunque che dire della narrazione convenzionale che afferma che la crisi greca è stata innescata dalla rivelazione nel 2009 che il governo aveva manipolato i conti?
Beh, va considerato che nel 2007, due anni prima dello scandalo delle statistiche, il tango dei frenetici prestiti di banche tedesche e francesi di indebitamento da tossicodipendenza da parte del governo e delle banche private greche aveva già spinto il debito greco a 290 miliardi di euro, che era il 107 per cento del PIL. Tuttavia la Grecia era ancora considerata un buon rischio creditizio.
Ciò che ha reso diversa la situazione nel 2009 è stata la diffusione della crisi finanziaria globale arrivata da Wall Street in Europa, con banche al collasso o salvate dai governi. La ricaduta di Wall Street ha fatto preoccupare i paesi creditori che i prenditori privati nei paesi debitori non fossero in grado di rimborsare i loro prestiti. Così hanno premuto su governi come la Grecia, il cui governo era già fortemente indebitato, perché assumessero anche la responsabilità del debito del settore privato o lo nazionalizzassero. Questa conversione del debito privato in un passivo statale ha trasformato la crisi finanziaria in Europa in una crisi del debito sovrano. La manipolazione statistica ha operato principalmente come scusa per i governi creditori per un giro di vite sugli stati debitori.
Tu citi l’affermazione di Joseph Stiglitz che l’euro è solo un esperimento durato diciassette anni, mal progettato e destinato a non funzionare. Significa che ritieni che l’euro non sopravvivrà?
Come ho detto in precedenza, il problema dell’eurozona è che è un’unione monetaria che non ha i requisiti necessari di un’unione fiscale e politica che fisserebbe le regole e i meccanismi per consentire alle autorità centrali di trasferire capitale da regioni in surplus a regioni in deficit. Oggi ci sono solo due modi per risolvere gli squilibri commerciali all’interno dell’eurozona. Uno è la svalutazione interna, cioè l’adozione di dure politiche di austerità che ridurrebbero il costo del lavoro e renderebbero competitive le esportazioni di un paese in deficit; questo comporta il rischio di sottoporre un paese a una stagnazione a lungo termine a causa della forte riduzione della domanda effettiva. L’altro modo consiste semplicemente nel prendersi su e andarsene, lasciare l’eurozona e adottare una nuova moneta il valore della quale sarebbe basso rispetto all’euro, rendendo così “competitive” le esportazioni di un paese. Non sorprendentemente questo comporterebbe anche il rischio di comprimere la domanda effettiva nell’economia debitrice. Tuttavia la seconda opzione consentirebbe molto maggiore spazio di manovra che l’essere intrappolati in un matrimonio senza amore, depresso, come l’eurozona.
Così, secondo me, i paesi dell’eurozona hanno di fronte la scelta o di passare a un’unione fiscale e politica completa, il che renderebbe i trasferimenti finanziari in larga misura una questione di fondi attivati automaticamente per fluire da aree in surplus ad aree in deficit in un’economia pienamente unificata, come negli Stati Uniti, oppure chiudere l’unione monetaria. La mia sensazione è che non esiste una via di mezzo.
Quale diresti sia stato il ruolo della socialdemocrazia nella crisi?
La socialdemocrazia è profondamente implicata nella crisi. Mentre Margaret Thatcher è divenuta il volto del neoliberismo, i socialdemocratici hanno avuto un ruolo molto centrale nel premere misure neoliberiste in tutta Europa. Il New Labour ha promosso la liberalizzazione della finanza e la mano leggera con le regole nel Regno Unito con Gordon Brown, dapprima come cancelliere e poi come primo ministro diventando in conseguenza, come ha scritto un giornalista, “mitizzato” dalla City.
Francois Mitterand e i socialisti francesi sono stati i principali campioni dell’euro, in quello che l’ex ministro greco delle finanze [ ‘degli esteri’ nell’originale – n.d.t.] Yanis Varoufakis descrive come un progetto francese per imbrigliare la potenza economica tedesca nell’integrazione europea sotto la guida politica e amministrativa francese.
E in Germania è stato sotto il governo socialdemocratico di Gerard Schroeder che sono state attuate le “riforme” del mercato del lavoro che hanno ridotto i salari e consolidato la posizione della Germania come paese in surplus e i suoi vicini come paesi in deficit, costringendoli a dipendere dalle banche tedesche per coprire i loro deficit commerciali. Il partito Cristiano Democratico non avrebbe potuto fare quello che hanno fatto i socialdemocratici, ma Angela Merkel e i conservatori hanno finito per mangiare quanto servito dal SPD.
La crisi finanziaria in Europa poteva essere evitata e, se sì, come?
Sì, avrebbe potuto essere evitata se ci fossero state regole stringenti di controllo della finanza poste in essere da governi che non considerassero il capitale finanziario come un partner, bensì come una forza da disciplinare. La finanza deve essere messa al proprio posto di meccanismo per ottenere capitale da quelli che lo detengono per quelli che possono applicarlo a un uso produttivo. Sempre più sembra come se solo un sistema bancario nazionalizzato possa adempiere appropriatamente questa funzione. Detto questo, io condiviso l’apprensione dell’economista statunitense Hyman Minsky che fintanto che regna il capitalismo il capitale finanziario troverà modi per adeguarsi a regole governative per darsi nuovamente a prestiti spericolati.
Siamo fuori pericolo ora oppure c’è una possibilità che possa accadere di nuovo?
No, non siamo fuori pericolo, perché la riforma del settore finanziario, spinta nel seguito immediato della crisi finanziaria, è stata inefficace o non attuate a causa dei riusciti sforzi di lobby delle imprese finanziarie.
Il capitale finanziario resta non disciplinato. Nel frattempo, a causa delle politiche di austerità, la maggior parte dell’economia reale dell’Europa è nella morsa di una stagnazione permanente. Ciò determina la tentazione per il capitale finanziario non regolato di dedicarsi nuovamente ad avventure speculative, in cui si spreme valore da valore già creato mediante la creazione di bolle che sono destinate a scoppiare, portando di nuovo caos nella loro scia.
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