Non solo per le donne, ma per tutti i generi vogliono che prevalga la
volontà del curatore su quella curato, dello specialista sul cittadino:
come per l'interruzione di gravidanza così per il diritto a lasciare la
vita secondo la natura e la volontà della persona. la Repubblica, 26
febbraio 2016Questa legislatura ha tolto l’Imu, forse aggiungerà le Dat.
Un altro acronimo, figlio di una politica che ormai s’esprime soltanto a
monosillabi. Significa “Disposizioni anticipate di trattamento”;
significa perciò testamento biologico, per usare l’espressione che ci
era divenuta familiare. Troppo semplice, meglio complicarne il suono. Ma
in ultimo ci ronza in capo un dubbio: queste Dat saranno un diritto o
un desiderio?
Dipende dalle attese, dalle pretese. Sta di fatto che il testamento biologico fu la promessa mancata della XVI legislatura; e meno male, perché il ddl Calabrò (approvato dal Senato il 26 marzo 2009) in realtà recava un elenco di divieti. Con le elezioni del 2013, ricomincia il tira e molla. Finché, nei giorni scorsi, la commissione Affari sociali della Camera molla: dopo 16 progetti di legge l’un contro l’altro armati, dopo 3200 emendamenti, approva un testo unificato. Con una maggioranza trasversale, che viaggia dal Pd ai Cinque Stelle.
Con l’ira funesta dei cattolici, che denunciano un voto frettoloso (in effetti, il Parlamento ne discute soltanto da 8 anni); ma infine con 5 articoli e con 28 commi che ci accordano il diritto di respingere le cure, incluse la nutrizione e l’idratazione artificiali, oggetto del contendere nel caso di Eluana Englaro. E quindi, se adesso l’aula della Camera non ne stravolgerà il dettato, anche l’Italia potrà dotarsi d’uno strumento che in alcuni Stati americani funziona dagli anni Novanta, in Olanda dal 2001, in Spagna dal 2002, in Francia dal 2005, nel Regno Unito dal 2007, in Germania dal 2009.
Meglio tardi che mai, disse quello studente novantenne mettendosi una laurea in tasca. Sennonché in questa circostanza l’università parlamentare ha inventato una nuova fonte del diritto, superiore alla legge, alla Costituzione, alla Dichiarazione dei diritti siglata dall’Onu: il codice deontologico. Portentosa innovazione, scaturita da un emendamento congiunto di un forzista (Palmieri) e una piddina (Carnevali), per comprimere l’efficacia vincolante delle Dat; hai visto mai, qualcuno potrebbe disporne in modo indisponente. Di conseguenza il medico (articolo 1, comma 8) rispetterà «ove possibile» le direttive del paziente; potrà disattenderle (articolo 3, comma 4) quando sopraggiungano «terapie non prevedibili» nel momento in cui quest’ultimo le aveva sottoscritte (un nuovo tipo di aspirina?); ne verrà infine affrancato (articolo 1, comma 7) se le disposizioni anticipate di trattamento contrastino con la «deontologia professionale».
Durante l’Ottocento veniva celebrata l’onnipotenza delle assemblee legislative. Ora ci tocca invece registrarne l’impotenza, anche davanti a regole private, quelle stabilite dall’Ordine dei medici. Che in primo luogo dettano norme volubili come ballerine: difatti il loro codice deontologico fu varato nel 1954, poi riscritto interamente nel 1978, nel 1989, nel 1995, nel 1998, nel 2006, nel 2014, fino alle due modifiche parziali approvate a maggio e a novembre del 2016. E in secondo luogo quelle norme suonano spesso ermetiche come una Sibilla. Così, l’articolo 17 vieta al medico, «anche su richiesta del paziente», d’effettuare atti intesi a «provocarne la morte». L’articolo 38, proprio in relazione alle dichiarazioni anticipate di trattamento, precisa che il medico dovrà verificarne la «congruenza logica», come un professore che ha il potere di promuoverti o bocciarti. Un altro paio d’articoli (16 e 39, oltre allo stesso articolo 38) dichiarano che il medico «tiene conto» delle volontà del paziente (cioè le conta, dopo di che fa un po’ come gli pare). Infine l’articolo 22 sancisce espressamente il diritto dei medici all’obiezione di coscienza, ultimo baluardo contro la coscienza dei loro pazienti.
Ecco, è esattamente questo il tarlo che divora le buone intenzioni, lasciandole in balia dei malintenzionati. Perché il rinvio al codice deontologico trasformerà ogni nostra decisione in una supplica al sovrano, dove il sovrano è l’Ordine dei medici. E perché l’obiezione di coscienza permetterà la fuga dai diritti sanciti dalla legge, ammesso che questa legge veda mai la luce. Non a caso la Costituzione italiana non le dedica un rigo, a differenza della Carta tedesca o spagnola. Si riferisce invece, in molti luoghi, al primato della legge. Ma ormai la legge non è più una cosa seria
Dipende dalle attese, dalle pretese. Sta di fatto che il testamento biologico fu la promessa mancata della XVI legislatura; e meno male, perché il ddl Calabrò (approvato dal Senato il 26 marzo 2009) in realtà recava un elenco di divieti. Con le elezioni del 2013, ricomincia il tira e molla. Finché, nei giorni scorsi, la commissione Affari sociali della Camera molla: dopo 16 progetti di legge l’un contro l’altro armati, dopo 3200 emendamenti, approva un testo unificato. Con una maggioranza trasversale, che viaggia dal Pd ai Cinque Stelle.
Con l’ira funesta dei cattolici, che denunciano un voto frettoloso (in effetti, il Parlamento ne discute soltanto da 8 anni); ma infine con 5 articoli e con 28 commi che ci accordano il diritto di respingere le cure, incluse la nutrizione e l’idratazione artificiali, oggetto del contendere nel caso di Eluana Englaro. E quindi, se adesso l’aula della Camera non ne stravolgerà il dettato, anche l’Italia potrà dotarsi d’uno strumento che in alcuni Stati americani funziona dagli anni Novanta, in Olanda dal 2001, in Spagna dal 2002, in Francia dal 2005, nel Regno Unito dal 2007, in Germania dal 2009.
Meglio tardi che mai, disse quello studente novantenne mettendosi una laurea in tasca. Sennonché in questa circostanza l’università parlamentare ha inventato una nuova fonte del diritto, superiore alla legge, alla Costituzione, alla Dichiarazione dei diritti siglata dall’Onu: il codice deontologico. Portentosa innovazione, scaturita da un emendamento congiunto di un forzista (Palmieri) e una piddina (Carnevali), per comprimere l’efficacia vincolante delle Dat; hai visto mai, qualcuno potrebbe disporne in modo indisponente. Di conseguenza il medico (articolo 1, comma 8) rispetterà «ove possibile» le direttive del paziente; potrà disattenderle (articolo 3, comma 4) quando sopraggiungano «terapie non prevedibili» nel momento in cui quest’ultimo le aveva sottoscritte (un nuovo tipo di aspirina?); ne verrà infine affrancato (articolo 1, comma 7) se le disposizioni anticipate di trattamento contrastino con la «deontologia professionale».
Durante l’Ottocento veniva celebrata l’onnipotenza delle assemblee legislative. Ora ci tocca invece registrarne l’impotenza, anche davanti a regole private, quelle stabilite dall’Ordine dei medici. Che in primo luogo dettano norme volubili come ballerine: difatti il loro codice deontologico fu varato nel 1954, poi riscritto interamente nel 1978, nel 1989, nel 1995, nel 1998, nel 2006, nel 2014, fino alle due modifiche parziali approvate a maggio e a novembre del 2016. E in secondo luogo quelle norme suonano spesso ermetiche come una Sibilla. Così, l’articolo 17 vieta al medico, «anche su richiesta del paziente», d’effettuare atti intesi a «provocarne la morte». L’articolo 38, proprio in relazione alle dichiarazioni anticipate di trattamento, precisa che il medico dovrà verificarne la «congruenza logica», come un professore che ha il potere di promuoverti o bocciarti. Un altro paio d’articoli (16 e 39, oltre allo stesso articolo 38) dichiarano che il medico «tiene conto» delle volontà del paziente (cioè le conta, dopo di che fa un po’ come gli pare). Infine l’articolo 22 sancisce espressamente il diritto dei medici all’obiezione di coscienza, ultimo baluardo contro la coscienza dei loro pazienti.
Ecco, è esattamente questo il tarlo che divora le buone intenzioni, lasciandole in balia dei malintenzionati. Perché il rinvio al codice deontologico trasformerà ogni nostra decisione in una supplica al sovrano, dove il sovrano è l’Ordine dei medici. E perché l’obiezione di coscienza permetterà la fuga dai diritti sanciti dalla legge, ammesso che questa legge veda mai la luce. Non a caso la Costituzione italiana non le dedica un rigo, a differenza della Carta tedesca o spagnola. Si riferisce invece, in molti luoghi, al primato della legge. Ma ormai la legge non è più una cosa seria
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