Per un governo e un'ideologia che ha fatto del “merito” una bandiera da
sventolare non ci dovrebbe essere nulla di peggio che ospitare ben tre
ministri senza laurea (Poletti, Lorenzin e addirittura il ministrao
dell'istruzione, Fedeli). Si può benissimo dire che per anche senza un
titolo di studio elevato si possa comunque esser molto competenti nel
compito assegnato, ossia individuare i problemi del paese e dar loro
soluzione efficace. L'esperienza può fare miracoli, in un cervello
creativo.
Guardando però ai risultati del part time agevolato per avvicinare gli ultrasessantenni alla pensione c'è da dubitare che il ministro del lavoro – Giuliano Poletti, ex presidente della Coop, grande beneficiaria delle leggi che hanno legalizzato precarietà e lavoretti sottopagati – sia in grado di trovare soluzioni minimamente efficaci.
La pensata del part time sembrava una genialata all'italiana: i lavoratori anziani che avrebbero maturato il requisito di vecchiaia (66 anni e 7 mesi) entro il 31 dicembre 2018 potevano scegliere (dal 2 giugno 2016) di ridurre l'orario di lavoro, perdendo poco in termini salariali perché lo Stato avrebbe garantito i contributi previdenziali risparmiati dall'azienda e anche una parte della differenza salariale.
Perché la riduzione d'orario potesse avvenire serviva solo l'accordo tra lavoratore e impresa, senza tanta burocrazia. E Poletti aveva stimato il 30.000 le domande che sarebbero arrivate.
Sono state solo 200. Lo zero virgola sei per mille. Praticamente nulla. Chiunque si fosse esercitato nel banale calcolo costi benefici (sia dal lato aziendale che da quello del lavoratore) poteva vedere che il gioco non valeva la candela; mentre dal lato dei conti pubblici – avvertiva Tito Boeri, liberistissimo presidente dell'Inps – ci sarebbe stato un aggravio dei costi amministrativi.
E dire che la campagna di comunicazione istituzionale era stata potente, con spot pubblicitari ben recitati e ben girati (anche questo è un costo, ovviamente che non viene compreso tra quelli per l'attuazione della misura snobbata).
Lo stesso insuccesso, forse ancora più clamoroso, è stato registrato da un'altra "pensata" del prolifico Poletti con l'entusiastico appoggio di Renzi: mettere – a richiesta – il tfr in busta paga, per avere l'imrpessione di guadagnare di più subito, al prezzo ovviamente di andare in pensione con un assegno miserabile.
Mancano ancora i dati, ma probabilmente anche l'ultimissima invenzione Poletti-Renzi (andare in pensione fino a tre anni prima, ma chiedendo un mutuo in banca) darà gli stessi miserabili risultati.
Il ministro si è difeso parlando della necessità di “sperimentare”. Ma proprio per poter immaginare e realizzare degli esperimenti, in genere, occorre aver studiato…
Sembra eccessivo chiedere a un ministro che non ne ha mai imbroccata una di dimettersi e andare felicemente in pensione subito?
Guardando però ai risultati del part time agevolato per avvicinare gli ultrasessantenni alla pensione c'è da dubitare che il ministro del lavoro – Giuliano Poletti, ex presidente della Coop, grande beneficiaria delle leggi che hanno legalizzato precarietà e lavoretti sottopagati – sia in grado di trovare soluzioni minimamente efficaci.
La pensata del part time sembrava una genialata all'italiana: i lavoratori anziani che avrebbero maturato il requisito di vecchiaia (66 anni e 7 mesi) entro il 31 dicembre 2018 potevano scegliere (dal 2 giugno 2016) di ridurre l'orario di lavoro, perdendo poco in termini salariali perché lo Stato avrebbe garantito i contributi previdenziali risparmiati dall'azienda e anche una parte della differenza salariale.
Perché la riduzione d'orario potesse avvenire serviva solo l'accordo tra lavoratore e impresa, senza tanta burocrazia. E Poletti aveva stimato il 30.000 le domande che sarebbero arrivate.
Sono state solo 200. Lo zero virgola sei per mille. Praticamente nulla. Chiunque si fosse esercitato nel banale calcolo costi benefici (sia dal lato aziendale che da quello del lavoratore) poteva vedere che il gioco non valeva la candela; mentre dal lato dei conti pubblici – avvertiva Tito Boeri, liberistissimo presidente dell'Inps – ci sarebbe stato un aggravio dei costi amministrativi.
E dire che la campagna di comunicazione istituzionale era stata potente, con spot pubblicitari ben recitati e ben girati (anche questo è un costo, ovviamente che non viene compreso tra quelli per l'attuazione della misura snobbata).
Lo stesso insuccesso, forse ancora più clamoroso, è stato registrato da un'altra "pensata" del prolifico Poletti con l'entusiastico appoggio di Renzi: mettere – a richiesta – il tfr in busta paga, per avere l'imrpessione di guadagnare di più subito, al prezzo ovviamente di andare in pensione con un assegno miserabile.
Mancano ancora i dati, ma probabilmente anche l'ultimissima invenzione Poletti-Renzi (andare in pensione fino a tre anni prima, ma chiedendo un mutuo in banca) darà gli stessi miserabili risultati.
Il ministro si è difeso parlando della necessità di “sperimentare”. Ma proprio per poter immaginare e realizzare degli esperimenti, in genere, occorre aver studiato…
Sembra eccessivo chiedere a un ministro che non ne ha mai imbroccata una di dimettersi e andare felicemente in pensione subito?
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