La questione è un po’ più complicata di come l’ha voluta
rappresentare il numero uno della BCE: innanzitutto perché, come la
lettera di Draghi ammette, e come un attento articolo di
scenarieconomici.it fa subito notare, nel saldo Target 2 rientra anche
l’Assets Purchasing Program (APP), ovvero il programma di acquisto degli
assets finanziari rientranti nel Quantitative Easing.
In pratica, per acquistare i titoli di stato europei sul mercato secondario, la BCE si serve della liquidità proveniente dalle banche centrali nazionali. In questo caso, con la liquidità proveniente da Banca d’Italia, Mario Draghi compra titoli di stato che per la maggior parte non sono italiani e questi rappresentano un nostro credito, non un debito.
Perché allora il saldo Target 2 risulta negativo? Semplicemente perché il sistema Target 2 non indica esclusivamente un rapporto di debiti e crediti dei vari stati europei, ma si limita a registrare contabilmente i movimenti di capitale tra le banche centrali nazionali e la BCE, che fa da intermediaria.
Come rivela la stessa lettera di Draghi, l’allargamento del saldo negativo italiano registrato dal Target 2 non è dovuto ad operazioni di natura commerciale che determinano uno spostamento di capitali dall’Italia verso la Germania, ma al programma di acquisto di assets finanziari APP. Pertanto, a fronte di una parte consistente di quei 358 miliardi di saldo negativo, con tutta probabilità ci sarebbe un credito del nostro Paese verso altri Stati dell’Eurozona.
E per la parte di saldo proveniente da transazioni commerciali? Costituiscono un debito? Per rispondere a questa domanda dobbiamo cercare di capire innanzitutto come lavora il sistema Target 2. Per farlo ci aiuteremo con un articolo del giugno 2012 scritto da Felix Salmon, giornalista esperto di economia e finanza, tradotto in italiano da Voci dall’Estero.
Salmon spiega: “Ciascuna banca dell’Eurosistema è titolare di un conto presso la rispettiva banca centrale nazionale — e se si somma tutto il denaro presente in tutti questi conti, il totale è il saldo Target2 presso la banca centrale in questione. Vale la pena qui ricordare l’unica cosa su cui tutti sono d’accordo riguardo i Target2: finché la zona euro resta in piedi, non sono affatto un problema. La somma della totalità di saldi Target2 nelle varie banche centrali è sempre zero, ed il sistema funziona efficientemente e perfettamente.
Se una signora spagnola fa un assegno al suo terapista, il denaro esce dal suo conto ed entra nel conto del terapista. Finché entrambi i conti sono presso banche spagnole, si tratta solo di un trasferimento da una banca all’altra, ed il il saldo Target2 presso il Banco de España rimane invariato. Supponiamo però che la nostra correntista spagnola decida di trasferire €1.000 da Banco Santander su un conto della Deutsche Bank. In questo caso, il saldo nel suo conto Santander andrà a sotto di €1.000, ed il Banco de España dovrà anch’esso dedurre €1.000 dal conto di Santander presso la Banca centrale. In Germania, €1,000 si materializzano sul conto Deutsche Bank, ed alla prima occasione Deutsche Bank depositerà questa somma nel suo conto presso la Bundesbank, cosicché la Bundesbank aggiungerà €1.000 al saldo di Deutsche Bank.
In pratica, il Banco de España avrebbe appena distrutto €1.000, e la Bundesbank avrebbe appena creato €1.000. Non è un problema — si tratta di banche centrali, e la funzione delle banche centrali è quella di creare e distruggere denaro. Ma per semplici ragioni di contabilità, i conti nell’Eurosistema devono essere pareggiati. Teniamo presente che quelli che per noi normalmente sono degli attivi, per le banche sono passività. Quindi Deutsche Bank deve €1.000 alla nostra signora spagnola — che è un altro modo per dire che lei deposita €1.000 presso Deutsche Bank. A sua volta, Deutsche Bank deposita €1.000 presso la Bundesbank, il che significa che la Bundesbank deve €1.000 alla Deutsche Bank. E la catena continua: la BCE deve €1.000 alla Bundesbank, il Banco de España deve €1.000 alla BCE, e Santander deve €1.000 al Banco de España, dal momento che Santander ha di fatto dovuto prendere in prestito il denaro dal Banco de España per poterlo trasferire alla Deutsche Bank.
Trattandosi di alta finanza, gli obblighi verso le banche centrali nazionali sono qui garantiti, sicché il Banco de España detiene garanzie da parte di Santander che coprono abbondantemente i €1.000 dovuti. Da parte sua, il Banco de España invece non è tenuto a fornire garanzie alla BCE. Le banche centrali non hanno bisogno di fare nulla del genere: le garanzie non sono necessarie poiché esse possono sempre stampare denaro in caso di bisogno.
Non è comunque difficile capire che il saldo Target2 della Bundesbank è ultimamente in crescita, mentre i saldi delle periferie sono in diminuzione: è in atto una corsa verso investimenti più sicuri, e le banche tedesche sono (giustamente) percepite come più sicure delle banche spagnole, greche e di quelle degli altri paesi della periferia. Analogamente, le banche tedesche che hanno prestato denaro a debitori spagnoli — ed in particolar modo alle banche spagnole — non rinnovano questi prestiti. Quando i prestiti sono ripagati, le banche tedesche depositano semplicemente il denaro presso la Bundesbank, invece di prestarli nuovamente a qualche paese in seria difficoltà. Questo fa aumentare ulteriormente i saldi Target2 della Bundesbank, ed ogni qualvolta ciò accade c’è una riduzione uguale e contraria dei saldi Target2 altrove.
Si nota dunque subito ad occhio nudo come stanno davvero le cose: il denaro affluisce verso la Germania. I risparmiatori dei PIIGS o rimborsano direttamente i loro debiti con le banche tedesche, oppure trasferiscono i loro fondi presso conti in banche tedesche. In tal senso, è un po’ strano che personaggi come Sinn e Soros descrivano queste transazioni come denaro prestato dalla Germania alla periferia — in realtà, i flussi sono nella direzione esattamente opposta. Ma per ragioni contabili, questi flussi generano obblighi di contabilizzazione interna fra le varie banche dell’Eurosistema, e a quanto pare sono proprio questi obblighi di contabilità interna a preoccupare così tanto Soros e Sinn.”
Abbiamo compreso in larga sostanza come funzionano i trasferimenti di denaro da un Paese ad un altro e come purtroppo si evince, il trasferimento parte quasi sempre dai Paesi periferici per giungere in Germania.
Comunque, finché resta in piedi l’Eurozona, anche con questi squilibri, il sistema contabile registrato dal Target 2 da sempre somma zero. Ma se un Paese volesse uscire, cosa accadrebbe? Continuiamo la lettura dell’articolo di Felix Salmon:
“Un’eventuale uscita della Grecia sarebbe troppo poco significativa per destare preoccupazioni. La Grecia ha un saldo negativo Target2 di circa €100 miliardi. Questo significa che le banche greche devono €100 miliardi alla Bank of Greece, che sono coperti da garanzia; e che a sua volta la Bank of Greece deve €100 miliardi alla BCE in titoli non garantiti. Se la Grecia dovesse svalutare in modo caotico ed andare in default, sarebbe perfettamente ragionevole pensare che la Bank of Greece non adempirebbe ai suoi obblighi verso la BCE, e tratterrebbe per sé le garanzie delle banche greche, per aiutare a finanziare il più possibile la nascente dracma.
Se dovesse succedere, il fondo dell’Eurosistema — le altre 16 banche centrali, più la BCE — subirebbe una perdita contabile di €100 miliardi. Ma esse dispongono di un capitale di €86 miliardi, e possono creare altri 400 miliardi di capitale in qualsiasi momento, semplicemente rivalutando le loro riserve auree. Quindi trovare €100 miliardi non sarebbe difficile — soprattutto perché lo stesso concetto di banca centrale insolvente è un tantino assurdo. Anche nel caso in cui il capitale di una banca centrale cessasse di essere positivo e diventasse negativo, all’atto pratico nulla cambierebbe. Le banche centrali non possono fallire, perché possono sempre stampare moneta.”
Ma guarda un po’ che dice questo populista: “Le banche centrali non possono fallire, perché possono sempre stampare moneta”. Dovremmo chiudere il nostro discorso già qui, perché se è vero che le banche centrali non possono fallire, vorrebbe dire che le loro passività sono mera scrittura contabile. Non si capisce perché allora Draghi si faccia forte nell’esigere crediti, quasi come se la BCE avesse a bilancio sofferenze di non performing loans e rischiasse di saltare come Banca Etruria o Monte dei Paschi.
Qualcuno a questo punto potrebbe osservare che per la Germania il saldo Target 2 è in attivo di più di 700 miliardi e che la Bundesbank tiene depositato quel denaro alla BCE, la quale è debitrice della Banca Centrale tedesca per 700 e rotti miliardi di euro. Come avrete già compreso, però, quel denaro è già nel circolo dell’economia tedesca in mano a risparmiatori e famiglie tedesche.
Perciò quel “debito” è semplicemente un passaggio contabile tra banche centrali, le quali non possono fallire. Una volta che l’euro venisse smantellato, la Bundesbank non andrebbe di certo a bussare alla porta delle famiglie tedesche per farsi ridare i soldi. Semplicemente potrebbe ricreare riserve in nuova valuta stampando marchi. Sarebbe comunque un passaggio obbligato visto che la moneta nuova andrebbe per forza stampata.
Oltretutto, la fine dell’Euro significherebbe quasi certamente la fine della BCE, a meno che uno smantellamento controllato della moneta unica prevedesse il ritorno ad un sistema monetario fittizio tipo ECU che potrebbe necessitare, almeno temporaneamente, di una banca centrale europea ancora attiva. Nel primo caso verrebbe a mancare il soggetto determinante di tutte le transazioni finanziarie e commerciali, per cui non esisterebbero né più debiti e né più crediti, nel secondo caso la questione rimarrebbe probabilmente oggetto di negoziato e a quel punto, servirebbero semplicemente dei bravi negoziatori capaci di non farsi fregare. Giusto per dirne una, se di squilibri commerciali si tratta, presumibilmente una volta smantellato il cambio fisso tra Germania e PIIGS, ci sarà una inversione di rotta e quei “debiti” verranno pian piano ripagati.
Come abbiamo detto già diverse volte, il nuovo corso alla Casa Bianca è apparentemente anti-Euro. Non solo Donald Trump ha fatto precise dichiarazioni di non amare particolarmente la moneta unica europea e la svalutazione competitiva della Germania, ma gli hanno fatto eco alcuni suoi collaboratori: il primo, Ted Malloch, professore alla Henley Business School, consigliere del Presidente USA e papabile ambasciatore USA in UE, in una intervista rilasciata alla BBC ha detto testualmente che “l’Euro ha meno di 18 mesi di vita”.
Il secondo, Peter Navarro, capo del Consiglio per il Commercio di Donald Trump, ha attaccato la Germania, dichiarando: “Lo squilibrio strutturale degli scambi che la Germania ha con il resto dell’Ue e con gli Usa riflette l’eterogeneità economica dell’Ue. Quindi, questo è un accordo multilaterale mascherato da bilaterale. Un grande ostacolo rispetto al considerare il Ttip come multilaterale è la Germania, che continua a sfruttare altri Paesi con quello che è un marco tedesco implicito fortemente sottovalutato”.
A dar ragione a Peter Navarro non è il populista di turno, bensì Wolfgang Schäuble che attaccando Draghi ha detto che l’Euro “è troppo debole per la Germania” e che “la BCE deve attuare politiche che lavorano per l’Europa nel suo complesso”, aggiungendo: “Il tasso di cambio dell’Euro è troppo basso per la competitività della Germania. Quando il capo della BCE ha intrapreso la politica monetaria espansiva, gli dissi che avrebbe fatto salire il surplus di esportazione della Germania”.
In realtà, quel che interessa di più a Schäuble non è tanto il tasso di cambio che probabilmente continuerebbe volentieri a tenerlo basso, piuttosto è preoccupato, per la nota fobia che i tedeschi si portano dietro dall’esperienza di Weimar, dall’aumento dell’inflazione in Germania che a gennaio a segnato un +1,9%, cifra molto vicina a quel 2% considerato dalla BCE obiettivo fondamentale del suo Quantitative Easing.
In pratica Schäuble intima velatamente a Draghi di alzare i tassi e di ridurre, o magari interrompere, il programma di Quantitative Easing, perché l’obiettivo del 2% di inflazione, con la complicità della risalita del prezzo del petrolio, è prossimo a realizzarsi. Cosa importa a Schäuble se mentre in Germania l’inflazione risale, nel sud Europa invece l’Italia e gli altri arrancano tra deflazione e zero virgola? Assolutamente nulla.
Dopo Draghi, Trumpiani e Schäuble, è la volta di Angela Merkel: a Malta, la Cancelliera tedesca ha fatto delle dichiarazioni shock: “Abbiamo imparato dalla storia degli ultimi anni che ci potrebbe essere un’Europa a differenti velocità e che non tutti parteciperanno ai vari passi dell’integrazione europea. Ritengo che questo potrebbe essere incluso nella dichiarazione di Roma”, il prossimo 25 marzo quando i 27 Paesi UE decideranno come affrontare il post-Brexit.
Fate bene attenzione, però, Angela Merkel non ha parlato espressamente di “Euro a due velocità”, che potrebbe essere il passo iniziale di uno smantellamento controllato della moneta unica, ma ha parlato di “Europa a differenti velocità”, che potrebbe sottintendere un processo di maggior integrazione per i Paesi aderenti alla moneta unica.
Cosa che per noi potrebbe non essere molto positiva, perché l’integrazione si farebbe alle regole della Germania: quindi scordatevi trasferimenti nord-sud e politiche di bilancio espansive. E se anche Prodi commenta contento che “questa è la risposta che aspettavo. Finalmente la Germania sembra cominciare ad assumere quel ruolo di leadership che non aveva mai voluto esercitare”, allora è quasi certo che si tratti di fregatura.
Tuttavia, gli sviluppi degli ultimi giorni hanno dato il via a vari riposizionamenti. L’Uscita dall’Euro non è più un tabù, tanto che i media nazionali hanno dato particolarmente risalto alla conferenza “Oltre l’Euro” con Alberto Bagnai, Claudio Borghi, Marco Zanni e moderata da Mario Giordano (potete vedere il video integrale qui mentre potete scaricare il manuale “Oltre l’Euro” qui). Per La7, ad esempio, “l’uscita dall’euro ora non è più suggestione” tanto che “i benefici potrebbero arrivare a 56 miliardi di Euro”.
Ma è dal fronte banche, alle prese con ricapitalizzazioni e crediti deteriorati, che i malumori per la moneta unica si fanno sentire con più forza. Ancora abbastanza catastrofista, tuttavia possibilista, Unicredit, che ieri ha dato il via ad un massiccio aumento di capitale da 13 miliardi di Euro che si chiuderà il 10 marzo, inserisce tra i “fattori di rischio” del maxi aumento elencati dalla nota di sintesi approvata dalla Consob, vengono citate l’ipotesi di “uscita di uno stato membro dall’Euro”, le incognite su come potrebbero essere gestite in questo caso “le attività e passività correnti denominate in euro” del Paese, ma soprattutto la “disgregazione dell’area euro”.
Uno studio di Mediobanca riservato ai clienti più facoltosi rivela che se l’Italia uscisse ora dall’Euro “si risparmierebbero 8 miliardi”. Questo perché la ridenominazione del debito pubblico in lire (tramite lex monetae) e il conseguente deprezzamento della lira “possono supportare una sostanziale decurtazione del debito e, insieme a una politica monetaria ritornata sovrana, possono creare le condizioni per un genuino rilancio dell’economia italiana”.
Lo studio appare molto equilibrato (lo trovate completo in pdf qui) perché considera il debito pubblico anche a fronte dell’applicazione delle CACs, clause di azione collettiva, approvate dal governo Monti nel 2012 (ad ogni guaio c’è sempre lui di mezzo), le quali a partire dal 1 gennaio 2013, vincolano l’emissione dei titoli di Stato alla legislazione europea e pertanto una volta usciti dall’Euro, il debito pubblico di recente emissione rimarrà espresso in Euro e non verrà convertito. Appare evidente quindi che più si rimanderà l’uscita e più si ridurranno i benefici della conversione del debito pubblico.
Intanto continua il tira e molla tra Italia e Commissione UE sui conti pubblici. La lettera inviata dall’Eurogruppo all’Italia il 5 dicembre scorso parlava di un buco di 16 miliardi nel deficit strutturale, mentre la Commissione UE ne chiede per ora soltanto 3,4. Alle minacce di commissariamento, il governo italiano si è messo in ginocchio ed è pronto a mettere a posto i conti e a trovare i soldi per il terremoto, aumentando le accise sulla benzina. Siamo uno Stato fallito, questo è ormai evidente.
Torniamo ora a Mario Draghi. Accortosi del polverone e delle reazioni che le sue parole sull’Euro hanno provocato, ieri è tornato sui suoi passi. “L’Euro è irrevocabile” – ha detto, parlando prima in italiano, poi in inglese. Secondo lui i trattati non lo prevedono, ma forse dovrebbe lasciare che di questo se ne occupino i giuristi.
È notizia di queste ore, invece, che per paura di Marine Le Pen, lo spread è risalito sopra i 200 punti base.
Ma noi sappiamo che lo spread sale e costituisce un problema solo se la Banca Centrale lo permette, perciò sarebbe meglio per Draghi pensare esclusivamente al suo lavoro.
In pratica, per acquistare i titoli di stato europei sul mercato secondario, la BCE si serve della liquidità proveniente dalle banche centrali nazionali. In questo caso, con la liquidità proveniente da Banca d’Italia, Mario Draghi compra titoli di stato che per la maggior parte non sono italiani e questi rappresentano un nostro credito, non un debito.
Perché allora il saldo Target 2 risulta negativo? Semplicemente perché il sistema Target 2 non indica esclusivamente un rapporto di debiti e crediti dei vari stati europei, ma si limita a registrare contabilmente i movimenti di capitale tra le banche centrali nazionali e la BCE, che fa da intermediaria.
Come rivela la stessa lettera di Draghi, l’allargamento del saldo negativo italiano registrato dal Target 2 non è dovuto ad operazioni di natura commerciale che determinano uno spostamento di capitali dall’Italia verso la Germania, ma al programma di acquisto di assets finanziari APP. Pertanto, a fronte di una parte consistente di quei 358 miliardi di saldo negativo, con tutta probabilità ci sarebbe un credito del nostro Paese verso altri Stati dell’Eurozona.
E per la parte di saldo proveniente da transazioni commerciali? Costituiscono un debito? Per rispondere a questa domanda dobbiamo cercare di capire innanzitutto come lavora il sistema Target 2. Per farlo ci aiuteremo con un articolo del giugno 2012 scritto da Felix Salmon, giornalista esperto di economia e finanza, tradotto in italiano da Voci dall’Estero.
Salmon spiega: “Ciascuna banca dell’Eurosistema è titolare di un conto presso la rispettiva banca centrale nazionale — e se si somma tutto il denaro presente in tutti questi conti, il totale è il saldo Target2 presso la banca centrale in questione. Vale la pena qui ricordare l’unica cosa su cui tutti sono d’accordo riguardo i Target2: finché la zona euro resta in piedi, non sono affatto un problema. La somma della totalità di saldi Target2 nelle varie banche centrali è sempre zero, ed il sistema funziona efficientemente e perfettamente.
Se una signora spagnola fa un assegno al suo terapista, il denaro esce dal suo conto ed entra nel conto del terapista. Finché entrambi i conti sono presso banche spagnole, si tratta solo di un trasferimento da una banca all’altra, ed il il saldo Target2 presso il Banco de España rimane invariato. Supponiamo però che la nostra correntista spagnola decida di trasferire €1.000 da Banco Santander su un conto della Deutsche Bank. In questo caso, il saldo nel suo conto Santander andrà a sotto di €1.000, ed il Banco de España dovrà anch’esso dedurre €1.000 dal conto di Santander presso la Banca centrale. In Germania, €1,000 si materializzano sul conto Deutsche Bank, ed alla prima occasione Deutsche Bank depositerà questa somma nel suo conto presso la Bundesbank, cosicché la Bundesbank aggiungerà €1.000 al saldo di Deutsche Bank.
In pratica, il Banco de España avrebbe appena distrutto €1.000, e la Bundesbank avrebbe appena creato €1.000. Non è un problema — si tratta di banche centrali, e la funzione delle banche centrali è quella di creare e distruggere denaro. Ma per semplici ragioni di contabilità, i conti nell’Eurosistema devono essere pareggiati. Teniamo presente che quelli che per noi normalmente sono degli attivi, per le banche sono passività. Quindi Deutsche Bank deve €1.000 alla nostra signora spagnola — che è un altro modo per dire che lei deposita €1.000 presso Deutsche Bank. A sua volta, Deutsche Bank deposita €1.000 presso la Bundesbank, il che significa che la Bundesbank deve €1.000 alla Deutsche Bank. E la catena continua: la BCE deve €1.000 alla Bundesbank, il Banco de España deve €1.000 alla BCE, e Santander deve €1.000 al Banco de España, dal momento che Santander ha di fatto dovuto prendere in prestito il denaro dal Banco de España per poterlo trasferire alla Deutsche Bank.
Trattandosi di alta finanza, gli obblighi verso le banche centrali nazionali sono qui garantiti, sicché il Banco de España detiene garanzie da parte di Santander che coprono abbondantemente i €1.000 dovuti. Da parte sua, il Banco de España invece non è tenuto a fornire garanzie alla BCE. Le banche centrali non hanno bisogno di fare nulla del genere: le garanzie non sono necessarie poiché esse possono sempre stampare denaro in caso di bisogno.
Non è comunque difficile capire che il saldo Target2 della Bundesbank è ultimamente in crescita, mentre i saldi delle periferie sono in diminuzione: è in atto una corsa verso investimenti più sicuri, e le banche tedesche sono (giustamente) percepite come più sicure delle banche spagnole, greche e di quelle degli altri paesi della periferia. Analogamente, le banche tedesche che hanno prestato denaro a debitori spagnoli — ed in particolar modo alle banche spagnole — non rinnovano questi prestiti. Quando i prestiti sono ripagati, le banche tedesche depositano semplicemente il denaro presso la Bundesbank, invece di prestarli nuovamente a qualche paese in seria difficoltà. Questo fa aumentare ulteriormente i saldi Target2 della Bundesbank, ed ogni qualvolta ciò accade c’è una riduzione uguale e contraria dei saldi Target2 altrove.
Si nota dunque subito ad occhio nudo come stanno davvero le cose: il denaro affluisce verso la Germania. I risparmiatori dei PIIGS o rimborsano direttamente i loro debiti con le banche tedesche, oppure trasferiscono i loro fondi presso conti in banche tedesche. In tal senso, è un po’ strano che personaggi come Sinn e Soros descrivano queste transazioni come denaro prestato dalla Germania alla periferia — in realtà, i flussi sono nella direzione esattamente opposta. Ma per ragioni contabili, questi flussi generano obblighi di contabilizzazione interna fra le varie banche dell’Eurosistema, e a quanto pare sono proprio questi obblighi di contabilità interna a preoccupare così tanto Soros e Sinn.”
Abbiamo compreso in larga sostanza come funzionano i trasferimenti di denaro da un Paese ad un altro e come purtroppo si evince, il trasferimento parte quasi sempre dai Paesi periferici per giungere in Germania.
Comunque, finché resta in piedi l’Eurozona, anche con questi squilibri, il sistema contabile registrato dal Target 2 da sempre somma zero. Ma se un Paese volesse uscire, cosa accadrebbe? Continuiamo la lettura dell’articolo di Felix Salmon:
“Un’eventuale uscita della Grecia sarebbe troppo poco significativa per destare preoccupazioni. La Grecia ha un saldo negativo Target2 di circa €100 miliardi. Questo significa che le banche greche devono €100 miliardi alla Bank of Greece, che sono coperti da garanzia; e che a sua volta la Bank of Greece deve €100 miliardi alla BCE in titoli non garantiti. Se la Grecia dovesse svalutare in modo caotico ed andare in default, sarebbe perfettamente ragionevole pensare che la Bank of Greece non adempirebbe ai suoi obblighi verso la BCE, e tratterrebbe per sé le garanzie delle banche greche, per aiutare a finanziare il più possibile la nascente dracma.
Se dovesse succedere, il fondo dell’Eurosistema — le altre 16 banche centrali, più la BCE — subirebbe una perdita contabile di €100 miliardi. Ma esse dispongono di un capitale di €86 miliardi, e possono creare altri 400 miliardi di capitale in qualsiasi momento, semplicemente rivalutando le loro riserve auree. Quindi trovare €100 miliardi non sarebbe difficile — soprattutto perché lo stesso concetto di banca centrale insolvente è un tantino assurdo. Anche nel caso in cui il capitale di una banca centrale cessasse di essere positivo e diventasse negativo, all’atto pratico nulla cambierebbe. Le banche centrali non possono fallire, perché possono sempre stampare moneta.”
Ma guarda un po’ che dice questo populista: “Le banche centrali non possono fallire, perché possono sempre stampare moneta”. Dovremmo chiudere il nostro discorso già qui, perché se è vero che le banche centrali non possono fallire, vorrebbe dire che le loro passività sono mera scrittura contabile. Non si capisce perché allora Draghi si faccia forte nell’esigere crediti, quasi come se la BCE avesse a bilancio sofferenze di non performing loans e rischiasse di saltare come Banca Etruria o Monte dei Paschi.
Qualcuno a questo punto potrebbe osservare che per la Germania il saldo Target 2 è in attivo di più di 700 miliardi e che la Bundesbank tiene depositato quel denaro alla BCE, la quale è debitrice della Banca Centrale tedesca per 700 e rotti miliardi di euro. Come avrete già compreso, però, quel denaro è già nel circolo dell’economia tedesca in mano a risparmiatori e famiglie tedesche.
Perciò quel “debito” è semplicemente un passaggio contabile tra banche centrali, le quali non possono fallire. Una volta che l’euro venisse smantellato, la Bundesbank non andrebbe di certo a bussare alla porta delle famiglie tedesche per farsi ridare i soldi. Semplicemente potrebbe ricreare riserve in nuova valuta stampando marchi. Sarebbe comunque un passaggio obbligato visto che la moneta nuova andrebbe per forza stampata.
Oltretutto, la fine dell’Euro significherebbe quasi certamente la fine della BCE, a meno che uno smantellamento controllato della moneta unica prevedesse il ritorno ad un sistema monetario fittizio tipo ECU che potrebbe necessitare, almeno temporaneamente, di una banca centrale europea ancora attiva. Nel primo caso verrebbe a mancare il soggetto determinante di tutte le transazioni finanziarie e commerciali, per cui non esisterebbero né più debiti e né più crediti, nel secondo caso la questione rimarrebbe probabilmente oggetto di negoziato e a quel punto, servirebbero semplicemente dei bravi negoziatori capaci di non farsi fregare. Giusto per dirne una, se di squilibri commerciali si tratta, presumibilmente una volta smantellato il cambio fisso tra Germania e PIIGS, ci sarà una inversione di rotta e quei “debiti” verranno pian piano ripagati.
Come abbiamo detto già diverse volte, il nuovo corso alla Casa Bianca è apparentemente anti-Euro. Non solo Donald Trump ha fatto precise dichiarazioni di non amare particolarmente la moneta unica europea e la svalutazione competitiva della Germania, ma gli hanno fatto eco alcuni suoi collaboratori: il primo, Ted Malloch, professore alla Henley Business School, consigliere del Presidente USA e papabile ambasciatore USA in UE, in una intervista rilasciata alla BBC ha detto testualmente che “l’Euro ha meno di 18 mesi di vita”.
Il secondo, Peter Navarro, capo del Consiglio per il Commercio di Donald Trump, ha attaccato la Germania, dichiarando: “Lo squilibrio strutturale degli scambi che la Germania ha con il resto dell’Ue e con gli Usa riflette l’eterogeneità economica dell’Ue. Quindi, questo è un accordo multilaterale mascherato da bilaterale. Un grande ostacolo rispetto al considerare il Ttip come multilaterale è la Germania, che continua a sfruttare altri Paesi con quello che è un marco tedesco implicito fortemente sottovalutato”.
A dar ragione a Peter Navarro non è il populista di turno, bensì Wolfgang Schäuble che attaccando Draghi ha detto che l’Euro “è troppo debole per la Germania” e che “la BCE deve attuare politiche che lavorano per l’Europa nel suo complesso”, aggiungendo: “Il tasso di cambio dell’Euro è troppo basso per la competitività della Germania. Quando il capo della BCE ha intrapreso la politica monetaria espansiva, gli dissi che avrebbe fatto salire il surplus di esportazione della Germania”.
In realtà, quel che interessa di più a Schäuble non è tanto il tasso di cambio che probabilmente continuerebbe volentieri a tenerlo basso, piuttosto è preoccupato, per la nota fobia che i tedeschi si portano dietro dall’esperienza di Weimar, dall’aumento dell’inflazione in Germania che a gennaio a segnato un +1,9%, cifra molto vicina a quel 2% considerato dalla BCE obiettivo fondamentale del suo Quantitative Easing.
In pratica Schäuble intima velatamente a Draghi di alzare i tassi e di ridurre, o magari interrompere, il programma di Quantitative Easing, perché l’obiettivo del 2% di inflazione, con la complicità della risalita del prezzo del petrolio, è prossimo a realizzarsi. Cosa importa a Schäuble se mentre in Germania l’inflazione risale, nel sud Europa invece l’Italia e gli altri arrancano tra deflazione e zero virgola? Assolutamente nulla.
Dopo Draghi, Trumpiani e Schäuble, è la volta di Angela Merkel: a Malta, la Cancelliera tedesca ha fatto delle dichiarazioni shock: “Abbiamo imparato dalla storia degli ultimi anni che ci potrebbe essere un’Europa a differenti velocità e che non tutti parteciperanno ai vari passi dell’integrazione europea. Ritengo che questo potrebbe essere incluso nella dichiarazione di Roma”, il prossimo 25 marzo quando i 27 Paesi UE decideranno come affrontare il post-Brexit.
Fate bene attenzione, però, Angela Merkel non ha parlato espressamente di “Euro a due velocità”, che potrebbe essere il passo iniziale di uno smantellamento controllato della moneta unica, ma ha parlato di “Europa a differenti velocità”, che potrebbe sottintendere un processo di maggior integrazione per i Paesi aderenti alla moneta unica.
Cosa che per noi potrebbe non essere molto positiva, perché l’integrazione si farebbe alle regole della Germania: quindi scordatevi trasferimenti nord-sud e politiche di bilancio espansive. E se anche Prodi commenta contento che “questa è la risposta che aspettavo. Finalmente la Germania sembra cominciare ad assumere quel ruolo di leadership che non aveva mai voluto esercitare”, allora è quasi certo che si tratti di fregatura.
Tuttavia, gli sviluppi degli ultimi giorni hanno dato il via a vari riposizionamenti. L’Uscita dall’Euro non è più un tabù, tanto che i media nazionali hanno dato particolarmente risalto alla conferenza “Oltre l’Euro” con Alberto Bagnai, Claudio Borghi, Marco Zanni e moderata da Mario Giordano (potete vedere il video integrale qui mentre potete scaricare il manuale “Oltre l’Euro” qui). Per La7, ad esempio, “l’uscita dall’euro ora non è più suggestione” tanto che “i benefici potrebbero arrivare a 56 miliardi di Euro”.
Ma è dal fronte banche, alle prese con ricapitalizzazioni e crediti deteriorati, che i malumori per la moneta unica si fanno sentire con più forza. Ancora abbastanza catastrofista, tuttavia possibilista, Unicredit, che ieri ha dato il via ad un massiccio aumento di capitale da 13 miliardi di Euro che si chiuderà il 10 marzo, inserisce tra i “fattori di rischio” del maxi aumento elencati dalla nota di sintesi approvata dalla Consob, vengono citate l’ipotesi di “uscita di uno stato membro dall’Euro”, le incognite su come potrebbero essere gestite in questo caso “le attività e passività correnti denominate in euro” del Paese, ma soprattutto la “disgregazione dell’area euro”.
Uno studio di Mediobanca riservato ai clienti più facoltosi rivela che se l’Italia uscisse ora dall’Euro “si risparmierebbero 8 miliardi”. Questo perché la ridenominazione del debito pubblico in lire (tramite lex monetae) e il conseguente deprezzamento della lira “possono supportare una sostanziale decurtazione del debito e, insieme a una politica monetaria ritornata sovrana, possono creare le condizioni per un genuino rilancio dell’economia italiana”.
Lo studio appare molto equilibrato (lo trovate completo in pdf qui) perché considera il debito pubblico anche a fronte dell’applicazione delle CACs, clause di azione collettiva, approvate dal governo Monti nel 2012 (ad ogni guaio c’è sempre lui di mezzo), le quali a partire dal 1 gennaio 2013, vincolano l’emissione dei titoli di Stato alla legislazione europea e pertanto una volta usciti dall’Euro, il debito pubblico di recente emissione rimarrà espresso in Euro e non verrà convertito. Appare evidente quindi che più si rimanderà l’uscita e più si ridurranno i benefici della conversione del debito pubblico.
Intanto continua il tira e molla tra Italia e Commissione UE sui conti pubblici. La lettera inviata dall’Eurogruppo all’Italia il 5 dicembre scorso parlava di un buco di 16 miliardi nel deficit strutturale, mentre la Commissione UE ne chiede per ora soltanto 3,4. Alle minacce di commissariamento, il governo italiano si è messo in ginocchio ed è pronto a mettere a posto i conti e a trovare i soldi per il terremoto, aumentando le accise sulla benzina. Siamo uno Stato fallito, questo è ormai evidente.
Torniamo ora a Mario Draghi. Accortosi del polverone e delle reazioni che le sue parole sull’Euro hanno provocato, ieri è tornato sui suoi passi. “L’Euro è irrevocabile” – ha detto, parlando prima in italiano, poi in inglese. Secondo lui i trattati non lo prevedono, ma forse dovrebbe lasciare che di questo se ne occupino i giuristi.
È notizia di queste ore, invece, che per paura di Marine Le Pen, lo spread è risalito sopra i 200 punti base.
Ma noi sappiamo che lo spread sale e costituisce un problema solo se la Banca Centrale lo permette, perciò sarebbe meglio per Draghi pensare esclusivamente al suo lavoro.
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