L’Italia è il paese con la popolazione più vecchia d’Europa – il
21,4 per cento è over sessantacinque – ma non è un paese per vecchi.
Perché, per la prima volta nella sua storia, la copertura dei servizi e
degli interventi per anziani presenta tutti segni negativi: la spesa di
comuni e regioni per i servizi sociosanitari diretti ai meno giovani è
diminuita così come le persone della terza età prese in carico.
Le casse vuote delle finanze pubbliche, che costringono le famiglie con un anziano caro (soprattutto non autosufficiente) a dare fondo alle risorse personali private, trascinano il Belpaese in un ritardo grave nel maturare un proprio sistema di assistenza a lungo termine. Sistema in cui domiciliarità e residenzialità, le due vie nostrane per sostenere gli anziani, presentano pesanti limiti ed enormi inadeguatezze, con una fisionomia, a livello nazionale, a macchia di leopardo.
L’assistenza domiciliare, a cui ricorrono due milioni e mezzo di anziani, infatti, scarseggia e diminuisce in tutte le aree geografiche del Paese, eccezion fatta per centro e isole, l’assegnazione di voucher, assegni di cura e buoni sociosanitari è stazionaria e calano, anche, i beneficiari delle indennità di accompagnamento. Per non parlare delle residenze, nelle quali diminuiscono - dal 2009 al 2013, si sono ridotti del 23,6 per cento - i posti letto, occupati da duecentosettantotto mila anziani, concentrati per lo più al Nord, e pure il personale impegnato.
Tempi di attesa lunghi, dai novanta ai centottanta giorni, e rette variabili e disomogenee (i dati al riguardo sono scarsi e poco aggiornati), con un range che va dagli ottanta ai centoquarantatre euro giornalieri, a seconda dell’intensità assistenziale.
“Lo scenario demografico che abbiamo di fronte non lascia spazio ai tentennamenti. L’Italia è già il paese più vecchio d’Europa con il 21,4% degli italiani over 65 e il progredire del livello di longevità, impone a tutti, soprattutto alle istituzioni ma anche a noi attori sociali, una risposta perché sta crescendo in modo esponenziale la domanda di assistenza”, fa sapere il presidente dell’Auser, Enzo Costa, che ha redatto il dossier “Domiciliarità e residenzialità per l’invecchiamento attivo”.
Anche perché, al già insufficiente numero di strutture sparse sul territorio nazionale - poco più di dodici mila - si aggiungono le centosettantasei sottoposte a sequestro o a chiusura e il malfunzionamento per comportamenti illeciti di quelle ancora attive.
Dal 2014 al 2016, i NAS hanno riscontrato più di mille e ottocento non conformità, circa tremila persone segnalate all’autorità giudiziaria o amministrativa, hanno effettuato sessantotto arresti, e attribuito oltre tremila sanzioni penali e più di duemila amministrative per oltre un milione e duecentomila euro.
Eppur qualcosa si muove, prova ne sia il disegno di legge approvato alla Camera ‘Misure per prevenire e contrastare condotte di maltrattamento o di abuso, anche di natura psicologica, in danno ai minori negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia e delle persone ospitate nelle strutture sociosanitarie e socioassistenziali per anziani e persone con disabilità’. Per porre fine a una violenza senza età.
Le casse vuote delle finanze pubbliche, che costringono le famiglie con un anziano caro (soprattutto non autosufficiente) a dare fondo alle risorse personali private, trascinano il Belpaese in un ritardo grave nel maturare un proprio sistema di assistenza a lungo termine. Sistema in cui domiciliarità e residenzialità, le due vie nostrane per sostenere gli anziani, presentano pesanti limiti ed enormi inadeguatezze, con una fisionomia, a livello nazionale, a macchia di leopardo.
L’assistenza domiciliare, a cui ricorrono due milioni e mezzo di anziani, infatti, scarseggia e diminuisce in tutte le aree geografiche del Paese, eccezion fatta per centro e isole, l’assegnazione di voucher, assegni di cura e buoni sociosanitari è stazionaria e calano, anche, i beneficiari delle indennità di accompagnamento. Per non parlare delle residenze, nelle quali diminuiscono - dal 2009 al 2013, si sono ridotti del 23,6 per cento - i posti letto, occupati da duecentosettantotto mila anziani, concentrati per lo più al Nord, e pure il personale impegnato.
Tempi di attesa lunghi, dai novanta ai centottanta giorni, e rette variabili e disomogenee (i dati al riguardo sono scarsi e poco aggiornati), con un range che va dagli ottanta ai centoquarantatre euro giornalieri, a seconda dell’intensità assistenziale.
“Lo scenario demografico che abbiamo di fronte non lascia spazio ai tentennamenti. L’Italia è già il paese più vecchio d’Europa con il 21,4% degli italiani over 65 e il progredire del livello di longevità, impone a tutti, soprattutto alle istituzioni ma anche a noi attori sociali, una risposta perché sta crescendo in modo esponenziale la domanda di assistenza”, fa sapere il presidente dell’Auser, Enzo Costa, che ha redatto il dossier “Domiciliarità e residenzialità per l’invecchiamento attivo”.
Anche perché, al già insufficiente numero di strutture sparse sul territorio nazionale - poco più di dodici mila - si aggiungono le centosettantasei sottoposte a sequestro o a chiusura e il malfunzionamento per comportamenti illeciti di quelle ancora attive.
Dal 2014 al 2016, i NAS hanno riscontrato più di mille e ottocento non conformità, circa tremila persone segnalate all’autorità giudiziaria o amministrativa, hanno effettuato sessantotto arresti, e attribuito oltre tremila sanzioni penali e più di duemila amministrative per oltre un milione e duecentomila euro.
Eppur qualcosa si muove, prova ne sia il disegno di legge approvato alla Camera ‘Misure per prevenire e contrastare condotte di maltrattamento o di abuso, anche di natura psicologica, in danno ai minori negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia e delle persone ospitate nelle strutture sociosanitarie e socioassistenziali per anziani e persone con disabilità’. Per porre fine a una violenza senza età.
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