La condanna della violenza è, sotto il profilo squisitamente
politico, l’attività per la quale molti personaggi sgomitano ambendo a
un posto in prima fila: in fondo fa “figo” e impegna “poco”, come si
diceva una volta.
Siamo circondati dalla violenza comunicata dai media al punto da stupirci se non riceviamo una dose quotidiana di drammaticità che susciti in noi disgusto, paura e rassegnazione verso un mondo sempre più incomprensibile e feroce.
Alcune testate giornalistiche sono specializzate nella ricerca ed elencazione di fatti drammatici di cronaca e non parlano d’altro, confondendo l’informazione con il voyerismo macabro. Non ci facciamo mancare più nulla in termini di tragedie, senza però mai avere un’analisi ragionata e utile sulle origini di queste violenze.
La violenza sulle donne, che esalta un distorto concetto d’amore che implica possesso assoluto e rivendica un “diritto naturale” sulla cosa posseduta.
La violenza della guerra, lontana, vista con le immagini filtrate per non urtare la nostra “sensibilità” mentre infiliamo la forchetta dentro il piatto di fettuccine e guardiamo immagini dove i cadaveri e le sofferenze reali sono soffuse; un eco vago, un racconto noir dell’inviato.
La violenza del Terrorismo dentro i nostri confini, figlia della nostra indifferenza per i problemi generati dalla guerra; parto spontaneo dell’ipocrisia con cui deleghiamo incondizionatamente ai “nostri” politici di entrare a “gamba tesa” nella storia e nella evoluzione di altri popoli per piegare i loro interessi ai nostri.
La violenza di chi contesta rabbiosamente, stanco di non essere ascoltato, che si mescola inopportunamente con quella delle Forze dell’Ordine che dovrebbero tutelare il popolo ma troppo spesso diventano arma impropria di interessi politici e criminali del potere che li comanda.
La violenza della pazzia di personaggi frustrati, ai margini della società, esclusi dal sistema che gettano la propria vita e quella altrui per vendetta, condita da un attimo di notorietà concessa loro dal circo mediatico della televisione.
La “condanna” non serve a niente, i proclami delle buone intenzioni ancora meno. È necessario capire i motivi che alimentano la violenza. Il terreno di coltura su cui germoglia e prospera.
L’occhio, e il cuore, devono puntare alle menzogne, alle ipocrisie della politica, dell’economia e dei pregiudizi che fertilizzano la terra.
La democrazia si svuota dal di dentro armeggiando con la violenza per creare, opportunamente, ora un sentimento di paura, ora lo sdegno, ora una necessità di maggior “severità” e controllo, limitando le nostre libertà.
In un modello di società globale dove il 10% della popolazione detiene il 90% delle ricchezze del pianeta (più o meno, poco importa) e dove una parte altamente minoritaria consuma la maggior parte delle risorse, l’esclusione dei molti dal “benessere” regna sovrana e genera sentimenti di rivalsa e di vendetta.
Non è la violenza in sé a doverci far paura, ma l’uso strumentale che ne viene fatto per renderci insicuri e impauriti; diffidenti e sospettosi; intolleranti e aggressivi verso tutti i nostri simili.
Siamo circondati dalla violenza comunicata dai media al punto da stupirci se non riceviamo una dose quotidiana di drammaticità che susciti in noi disgusto, paura e rassegnazione verso un mondo sempre più incomprensibile e feroce.
Alcune testate giornalistiche sono specializzate nella ricerca ed elencazione di fatti drammatici di cronaca e non parlano d’altro, confondendo l’informazione con il voyerismo macabro. Non ci facciamo mancare più nulla in termini di tragedie, senza però mai avere un’analisi ragionata e utile sulle origini di queste violenze.
La violenza sulle donne, che esalta un distorto concetto d’amore che implica possesso assoluto e rivendica un “diritto naturale” sulla cosa posseduta.
La violenza della guerra, lontana, vista con le immagini filtrate per non urtare la nostra “sensibilità” mentre infiliamo la forchetta dentro il piatto di fettuccine e guardiamo immagini dove i cadaveri e le sofferenze reali sono soffuse; un eco vago, un racconto noir dell’inviato.
La violenza del Terrorismo dentro i nostri confini, figlia della nostra indifferenza per i problemi generati dalla guerra; parto spontaneo dell’ipocrisia con cui deleghiamo incondizionatamente ai “nostri” politici di entrare a “gamba tesa” nella storia e nella evoluzione di altri popoli per piegare i loro interessi ai nostri.
La violenza di chi contesta rabbiosamente, stanco di non essere ascoltato, che si mescola inopportunamente con quella delle Forze dell’Ordine che dovrebbero tutelare il popolo ma troppo spesso diventano arma impropria di interessi politici e criminali del potere che li comanda.
La violenza della pazzia di personaggi frustrati, ai margini della società, esclusi dal sistema che gettano la propria vita e quella altrui per vendetta, condita da un attimo di notorietà concessa loro dal circo mediatico della televisione.
La “condanna” non serve a niente, i proclami delle buone intenzioni ancora meno. È necessario capire i motivi che alimentano la violenza. Il terreno di coltura su cui germoglia e prospera.
L’occhio, e il cuore, devono puntare alle menzogne, alle ipocrisie della politica, dell’economia e dei pregiudizi che fertilizzano la terra.
La democrazia si svuota dal di dentro armeggiando con la violenza per creare, opportunamente, ora un sentimento di paura, ora lo sdegno, ora una necessità di maggior “severità” e controllo, limitando le nostre libertà.
In un modello di società globale dove il 10% della popolazione detiene il 90% delle ricchezze del pianeta (più o meno, poco importa) e dove una parte altamente minoritaria consuma la maggior parte delle risorse, l’esclusione dei molti dal “benessere” regna sovrana e genera sentimenti di rivalsa e di vendetta.
Non è la violenza in sé a doverci far paura, ma l’uso strumentale che ne viene fatto per renderci insicuri e impauriti; diffidenti e sospettosi; intolleranti e aggressivi verso tutti i nostri simili.
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