Delle due l’una: o dell’Utri si è voluto far rintracciare
nell’ambito di trattative segrete che non conosceremo mai, oppure il
potente braccio destro del Caimano si è dimostrato un cialtrone anche nella fuga. Come un qualsiasi
rubagaline confessa i suoi piani al telefonino, non usa mail criptate,
scappa nel luogo più ovvio per lui, ossia Beirut, senza nemmeno prendere
precauzioni, usa carte di credito dal nascondiglio e si fa per giunta
beccare con un sacco di soldi.
Entrambe le ipotesi che poi non si escludono l’un l’altra, portano
all’immagine di un Paese dove persone di straordinaria pochezza, rese
forti dall’assenza di inibizioni etiche, hanno fatto il bello e cattivo
tempo, sono state spacciate, viste e osannate come statisti, ministri,
uomini di cultura, sottili tessitori, onnipotenti santi in paradiso,
mentre erano solo modeste personcine non a modo. Il potere
dell’informazione è stato vitale in questa mitopoietica coi fichi secchi
e i Dell’Utri: ostentadoli ad ogni minuto, asseverandone le blasfemie
intellettuali, ovvero le cazzate, col solo riportarle senza mandarli al
diavolo, li hanno pantografati come i faccioni di cartapesta dei
carnevali. Hanno dato loro una vita che era pura aria compressa.
Solo una profonda corruzione dell’establishment, un’inveterata
abitudine alla subalternità e una disgregazione del senso di
cittadinanza hanno potuto e possono tuttora rivestire di un’aura ex
potenti gonfiati con gli ormoni del berlusconismo o cinici bambocci di
aria fritta. Gli stessi fattori che proprio in queste ore vengono
probabilmente mossi e tirati per trovare una soluzione al “caso
dell’Utri” che è pur sempre una mina vagante o meglio ancora una
castagnola in questa triste allegoria della politica.
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