Negli ultimi anni le banche centrali si sono sostituite al mercato,
ai governi e a tutti gli altri attori economici nel definire le
strategie monetarie, finanziarie e anche economiche dei Paesi cosiddetti
industrializzati. I loro bilanci sono cresciuti a dismisura tanto che
la Fed attualmente ha attivi pari a 4.160 miliardi di dollari, di cui
1.570 sono mbs, i derivati su ipoteche, mentre la Bce, con le banche
centrali della zona euro, ha attivi pari a circa 2.200 miliardi di euro.
Eppure prima si credeva che il mercato avesse leggi proprie, forti,
sicure e capaci di regolare l’economia e la finanza. Anzi si sosteneva
che meno fossero coinvolti gli Stati e gli enti di controllo e meglio
era per il sistema. Poi venne la crisi globale. Tutti, a cominciare
dalla banche, quali le “too big too fail”, corsero a piangere miseria e a
chiedere aiuti presso i governi.
Allora c’era la “magia del mercato” ed ora quindi c’è un’altra
formula magica, quella della cosiddetta “forward guidance”. Dal 2008 è
diventata il fulcro della politica monetaria. La Fed, la Bce, la Bank of
Japan e la Bank of England forniscono, in varie forme quantitative e
qualitative, appunto la loro “guida” nella politica monetaria, dei tassi
di interesse e di fatto determinano l’intera politica economica..
Questa nuova situazione è oggetto di dibattito, di perplessità e di
riflessione. Recentemente anche la Banca dei Regolamenti Internazionali
di Basilea ha messo in guardia che la politica della “foward guidance”
potrebbe generare ripercussioni negative e veri e propri choc nei
mercati e nelle economie internazionali. Gli economisti della Bri
sostengono che nel breve periodo le banche centrali sembrano dare più
certezze politiche e meno volatilità nei comportanti monetari. I
possibili cambiamenti e finanche le loro percezioni, nella politica
monetaria, basata sul tasso di interesse zero, potrebbero però mettere a
rischio la stabilità finanziaria e colpire la reputazione e la
credibilità delle stesse banche centrali.
Infatti, quando esse comunicano che i tassi di interesse rimarranno
fermi per un certo lasso di tempo o fino al persistere di certe
condizioni economiche, gli operatori finanziari si sentono sicuri e
perciò investono, muovono capitali e purtroppo speculano con più
tranquillità. Ma non è detto che ciò accada sempre, che le banche
centrali siano fisse nei loro impegni, che comunichino chiaramente le
loro decisioni e che i mercati interpretino correttamente i loro
“segnali di fumo”.
Già nel maggio 2013 le poche parole dette dall’allora governatore
della Fed, Ben Bernanke, su una possibile riduzione del quantitativo di
nuova liquidità, mandarono in tilt il sistema. Da quel momento nei Paesi
emergenti si verificano fughe di capitali, disinvestimenti dai bond,
crolli di borsa e massicce svalutazioni valutarie. Bernanke, nel
tentativo di tranquillizzare i mercati, lamentò di essere stato
frainteso.
Se il semplice fraintendimento di una frase può determinare nuove crisi sistemiche, allora il mondo è veramente messo male.
I mercati quindi, secondo noi, più che concentrarsi sulle
dichiarazioni dei governatori centrali, diventati i novelli dei
dell’Olimpo finanziario ed economico, analizzino con maggiore
obiettività gli andamenti e i parametri dell’economia reale.
Anche per gli economisti della Bri, se i mercati si basano
esclusivamente sulla “forward guidance”, un qualsiasi cambiamento
significativo nella “guida” potrebbe portare a delle “reazioni
distruttive dei mercati”. Per altro verso, il timore di forti reazioni
da parte dei mercati potrebbe bloccare le banche centrali dall’adozione
di politiche monetarie richieste da nuove situazioni e nuovi andamenti.
Da ultimo, non si può ignorare che la politica del tasso di interesse
zero, prolungata nel tempo, incoraggi operazioni finanziarie in cerca di
profitti più alti anche se con alto rischio, generando nuovi squilibri e
vulnerabilità.
Tutto ciò preoccupa e spinge gli organismi internazionali più
responsabili come la Bri a riconoscere che non si può continuare
indefinitamente con le politiche monetarie accomodanti e non
convenzionali. A nostro avviso occorre innanzitutto riportare la
politica finanziaria e monetaria al suo ruolo naturale di ancella
dell’economia reale.
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