martedì 14 aprile 2020

Fontana e il virus dei libri

Si sa dell’odio che i bigotti e i fascisti (che almeno un po’ s’accompagnano) hanno sempre avuto per i libri. Quella carta stampata, portatrice d’idee e di possibili ribellioni, a loro proprio non va.
Ce lo racconta Cervantes, nella sua ironica cronaca di quando il barbiere e il curato gettano nel fuoco i libri della biblioteca di Don Chisciotte, causa probabile delle sue insensate gesta.
Assai più tragica la storia dei roghi di libri da parte dei nazisti.
Comunque, la paura delle idee.
Così, quando nell’ultimo decreto, il governo ha deciso di riaprire le librerie il 14 aprile, il presidente della Lombardia Fontana si è opposto e ha confermato, con atto d’imperio, che questi esercizi dovranno rimanere chiusi in tutta la regione. Sembra che questa disposizione sarà condivisa anche dal Piemonte a presidenza Cirio.
Si tratta di una decisione singolare, per un presidente regionale che non ha lesinato la sua condiscendenza alla Confindustria e che non voleva e non vuole chiudere nulla.
Fontana non ha voluto dichiarare zone rosse le valli bergamasche dove si diffondeva il contagio per non disturbare la produzione e altrettanto ha fatto nel bresciano.
E preme sul governo per una riapertura rapida di tutte le attività, in spregio alla salute dei lavoratori. Più della metà dei lavoratori lombardi è stata costretta a presentarsi ogni giorno nella sua impresa.
Tuttavia, Fontana si accanisce sulle librerie. La carta stampata proprio non gli piace. Forse perché teme che possa far riflettere i lombardi sulle giunte corrotte e miserabili di Formigoni, Maroni e sulla sua; o, più dignitosamente, a parte tali miserie, sulle sorti del capitalismo. Oppure per semplice indifferenza alla cultura delle pagine scritte.
Ma quanti libri avrà letto Fontana nei quasi settant’anni della sua vita? O forse teme che dopo lo spettro, si aggiri per l’Europa il virus del comunismo?

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