Questo
studio è volto a confrontare in alcuni paesi del mondo i risultati
delle politiche di contenimento e l’adeguatezza dei sistemi sanitari
tramite indicatori facilmente reperibili dai dati ufficiali pubblicati
in rete, con particolare attenzione alla situazione in Italia e nelle
sue Regioni.
I risultati mostrano che le misure di contenimento finora attuate non sono state efficaci così come lo sono state in altri Paesi. Inoltre in Italia, anche in regioni dove l’incidenza del COVID-19 è bassa, il sistema sanitario non consente di raggiungere i bassi livelli di letalità riscontrati negli altri paesi.
Vista la discrepanza tra la narrazione mediatica sull’andamento dell’epidemia da COVID-19 e i risultati che emergono da questo studio la decisa attuazione della fase 2 ha tutte le caratteristiche di un salto nel buio.
Politiche di contenimento
Per vedere quanto le misure di contenimento dell’epidemia siano state efficaci basta guardare la figura 1 in cui è riportato l’andamento del numero di giorni di raddoppiamento del numero di contagi per diversi paesi in funzione del tempo (a partire dal 1 gennaio 2020).
All’inizio tutte le epidemie avvengono con contagi sporadici e casuali, ma dopo poco tempo la crescita dei contagi segue un andamento ti tipo esponenziale. Senza le misure di contenimento il tempo di raddoppiamento del numero di contagi è di pochi giorni e rimane costante. Una crescita del tempo di raddoppiamento denota perciò un miglioramento nelle politiche di contenimento.
Guardando la figura a sinistra si trova una crescita rapida del tempo di raddoppiamento in Cina (punti blu) e in Corea del Sud (triangoli arancioni). In termini quantitativi la pendenza della curva, identificata dal parametro “s”, dà la misura della qualità di queste politiche. Più basso è “s” meglio funzionano le misure. La linea tratteggiata (s=100) corrisponde alla crescita epidemica prima dell’attuazione delle misure.
Sia in Cina che in Corea del Sud l’efficacia della pianificazione delle politiche di contenimento è stata nettamente superiore rispetto a quella di tutti gli altri paesi presi in considerazione, Italia compresa (triangoli azzurri).
E’ anche importante il valore assoluto dei giorni di raddoppiamento. Se prendiamo come riferimento il valore 100 (i casi si raddoppiano in 100 giorni) troviamo che la Cina e la Corea del Sud hanno raggiunto questo valore rispettivamente in 30 e 20 giorni a partire dall’inizio dell’epidemia. All’incirca il giorno stesso che Cina e Corea del Sud hanno raggiunto questo traguardo è iniziata la discesa dei casi attivi (persone che risultano infette in un determinato momento togliendo dal numero totale dei contagiati il numero dei guariti e dei morti).
Nel momento in cui scrivo nessun altro paese tra cui l’Italia ha ancora raggiunto il valore 100, neanche dopo più del doppio del tempo rispetto a Cina e Corea del Sud, ma l’Italia si sta lentamente avvicinando.
E’ inoltre importante rimarcare che la Cina ha iniziato gradualmente la fase 2 solo 45 giorni (più di 6 settimane) dopo il raggiungimento del valore 100.
Dalla figura a destra osserviamo che il tempo di raddoppiamento cresce più velocemente in Germania (s=9.5) e in Spagna (s=10). Italia, Francia, Gran Bretagna e USA hanno tempi confrontabili e più corti (s=15). In Germania e Spagna l’epidemia è iniziata con un ritardo di circa 1 settimana rispetto all’Italia, ma ciò nonostante ha raggiunto in meno tempo valori del tempo di raddoppiamento più alti dell’Italia.
Complessivamente possiamo fare le seguenti deduzioni:
Perché tanti morti? Questa è la domanda che ciascuno di noi si è fatto e per la quale continuiamo a non ottenere risposte. Eppure a cominciare dalle istituzioni dovrebbero spiegarci perché in Italia e soprattutto in Lombardia a cavallo tra marzo e aprile si sono verificati tanti morti (in Italia i morti finora sono stati 4 ogni 10000 abitanti mentre in Lombardia con 10.6 milioni di abitanti i morti ufficiali sono stati circa 13 ogni 10000 abitanti, circa il 50% del totale dei morti in Italia -fonte Dipartimento Protezione Civile).
La letalità (che tutti abbiamo imparato essere il numero di morti su numero di casi riscontrati) è cresciuta a dismisura a mano a mano che i giorni passavano senza che nessuno ci abbia spiegato cosa stava succedendo.
Una risposta seppur parziale può provenire se confrontiamo i dati della letalità con un qualche possibile indicatore sanitario. Scegliamo ad esempio il rapporto tra il numero di casi di Covid-19 riscontrati e il numero dei posti letto negli ospedali pubblici.
Questo indicatore, ad eccezione degli USA, ha il vantaggio di essere facile da reperire dai dati open source che viaggiano in internet. I dati sulla letalità a livello mondiale e per le regioni italiane risultano fortemente correlati con questo indicatore.
La figura 2 ci mostra a sinistra che la letalità mondiale è sempre superiore al valore 1-2% stimato dai virologi. Inoltre fino ad un valore dell’indicatore, cioè del rapporto malati/letti, pari a 0.25 la letalità si attesta intorno al 3%. Questo è il caso dei paesi in cui l’incidenza dei casi di contagio non mette in sofferenza il sistema. Infatti in questo caso i malati per Covid-19 occuperanno un numero nettamente inferiore a 0.25 perché stiamo considerando l’insieme degli ospedalizzati, domiciliarizzati e già guariti.
In questo caso le cure per COVID-19 non portano il sistema a saturazione ed inoltre la maggior parte dei letti rimane a disposizione dei malati per altre patologie. Oltre 0.25 la situazione si fa via via sempre più critica richiedendo più attenzione dal personale medico-infermieristico dell’ospedale e quindi la letalità aumenta. Questo è il caso dell’Italia che si avvicina al valore 1 dell’indicatore.
La letalità schizza a quasi il 14%. Anche Francia, Paesi Bassi, UK, Belgio, Svezia si trovano in questa situazione. In Spagna si riscontra un indicatore di oltre 2 ma la letalità rimane entro i valori di letalità degli altri paesi in condizioni di criticità (10.5%).
L’analisi dei dati per le regioni italiane nella figura 2 a destra e nella tabella 1 fornita dal Ministero della Salute ci mostra una letalità alta anche dove i valori dell’indicatore sono inferiori a 0.25. Questa bassa incidenza si trova nelle regioni del centro-sud meno colpite dall’epidemia. Questi livelli di letalità, difformi dalla situazione nel resto del mondo, ci indicano un problema aggiuntivo. In Italia si guarisce di meno da COVID-19, anche in situazioni di relativa poca incidenza dei casi di contagio. Perché?
Letalità elevate si evidenziano in generale nelle regioni del centro nord, ad eccezione del Veneto. La Lombardia si distingue con un indicatore attorno al valore 2.5 e una conseguente letalità del 18%.
Nel momento in cui scrivo siamo bombardati da messaggi ottimistici sul raggiungimento di un fantomatico traguardo, dunque verso l’inizio della discesa dei casi attivi.
Però il nostro sistema sanitario è in sofferenza acuta. Pure in zone con poca incidenza è estremamente pericoloso contrarre la malattia perché le letalità effettive sono molto più alte della letalità stimata dai virologi. Come abbiamo visto l’Italia non ha ancora raggiunto il valore 100 per i giorni in cui si raddoppiano i contagi, ma sembra che sia arrivata quasi al culmine dei casi attivi. Va ricordato che la Cina dopo quel traguardo è ancora rimasta in lockdown per altri 45 giorni.
Se guardiamo il sistema unicamente dal punto di vista della salute umana la scelta di riaprire il Paese seppur gradualmente risulta molto prematura. Non ci possiamo permettere di rivedere per la seconda volta lo stesso film, anche perché non si tratta di un film.
I risultati mostrano che le misure di contenimento finora attuate non sono state efficaci così come lo sono state in altri Paesi. Inoltre in Italia, anche in regioni dove l’incidenza del COVID-19 è bassa, il sistema sanitario non consente di raggiungere i bassi livelli di letalità riscontrati negli altri paesi.
Vista la discrepanza tra la narrazione mediatica sull’andamento dell’epidemia da COVID-19 e i risultati che emergono da questo studio la decisa attuazione della fase 2 ha tutte le caratteristiche di un salto nel buio.
Politiche di contenimento
Per vedere quanto le misure di contenimento dell’epidemia siano state efficaci basta guardare la figura 1 in cui è riportato l’andamento del numero di giorni di raddoppiamento del numero di contagi per diversi paesi in funzione del tempo (a partire dal 1 gennaio 2020).
All’inizio tutte le epidemie avvengono con contagi sporadici e casuali, ma dopo poco tempo la crescita dei contagi segue un andamento ti tipo esponenziale. Senza le misure di contenimento il tempo di raddoppiamento del numero di contagi è di pochi giorni e rimane costante. Una crescita del tempo di raddoppiamento denota perciò un miglioramento nelle politiche di contenimento.
Guardando la figura a sinistra si trova una crescita rapida del tempo di raddoppiamento in Cina (punti blu) e in Corea del Sud (triangoli arancioni). In termini quantitativi la pendenza della curva, identificata dal parametro “s”, dà la misura della qualità di queste politiche. Più basso è “s” meglio funzionano le misure. La linea tratteggiata (s=100) corrisponde alla crescita epidemica prima dell’attuazione delle misure.
Sia in Cina che in Corea del Sud l’efficacia della pianificazione delle politiche di contenimento è stata nettamente superiore rispetto a quella di tutti gli altri paesi presi in considerazione, Italia compresa (triangoli azzurri).
E’ anche importante il valore assoluto dei giorni di raddoppiamento. Se prendiamo come riferimento il valore 100 (i casi si raddoppiano in 100 giorni) troviamo che la Cina e la Corea del Sud hanno raggiunto questo valore rispettivamente in 30 e 20 giorni a partire dall’inizio dell’epidemia. All’incirca il giorno stesso che Cina e Corea del Sud hanno raggiunto questo traguardo è iniziata la discesa dei casi attivi (persone che risultano infette in un determinato momento togliendo dal numero totale dei contagiati il numero dei guariti e dei morti).
Nel momento in cui scrivo nessun altro paese tra cui l’Italia ha ancora raggiunto il valore 100, neanche dopo più del doppio del tempo rispetto a Cina e Corea del Sud, ma l’Italia si sta lentamente avvicinando.
E’ inoltre importante rimarcare che la Cina ha iniziato gradualmente la fase 2 solo 45 giorni (più di 6 settimane) dopo il raggiungimento del valore 100.
Dalla figura a destra osserviamo che il tempo di raddoppiamento cresce più velocemente in Germania (s=9.5) e in Spagna (s=10). Italia, Francia, Gran Bretagna e USA hanno tempi confrontabili e più corti (s=15). In Germania e Spagna l’epidemia è iniziata con un ritardo di circa 1 settimana rispetto all’Italia, ma ciò nonostante ha raggiunto in meno tempo valori del tempo di raddoppiamento più alti dell’Italia.
Complessivamente possiamo fare le seguenti deduzioni:
- Il modello cinese e quello coreano che hanno attuato il protocollo delle 3 T (Testing-Tracking-Tracing) sono i migliori nel panorama mondiale. Dunque emerge l’importanza di una pianificazione collettiva che comporti oltre al fermo delle attività produttive non essenziali la diffusione a livello capillare di test diagnostici e di sistemi per l’identificazione e il tracciamento dei malati e dei contatti che hanno avuto.
- Sul versante opposto, il nostro è stato un contenimento per modo di dire. Se consideriamo solo il settore privato, l’Istat ci dice che in Italia solo il 49% delle imprese che danno lavoro a 7.4 milioni di persone sono rimaste ferme. Per quel che riguarda l’altra metà i dati presentati in Commissione Bilancio del Senato mostrano che 9,3 milioni di persone hanno continuato a lavorare normalmente.
- Paesi come Germania e Spagna sembrano essere stati più rigorosi, contrariamente a quanto viene detto dagli organi d’informazione.
Perché tanti morti? Questa è la domanda che ciascuno di noi si è fatto e per la quale continuiamo a non ottenere risposte. Eppure a cominciare dalle istituzioni dovrebbero spiegarci perché in Italia e soprattutto in Lombardia a cavallo tra marzo e aprile si sono verificati tanti morti (in Italia i morti finora sono stati 4 ogni 10000 abitanti mentre in Lombardia con 10.6 milioni di abitanti i morti ufficiali sono stati circa 13 ogni 10000 abitanti, circa il 50% del totale dei morti in Italia -fonte Dipartimento Protezione Civile).
La letalità (che tutti abbiamo imparato essere il numero di morti su numero di casi riscontrati) è cresciuta a dismisura a mano a mano che i giorni passavano senza che nessuno ci abbia spiegato cosa stava succedendo.
Una risposta seppur parziale può provenire se confrontiamo i dati della letalità con un qualche possibile indicatore sanitario. Scegliamo ad esempio il rapporto tra il numero di casi di Covid-19 riscontrati e il numero dei posti letto negli ospedali pubblici.
Questo indicatore, ad eccezione degli USA, ha il vantaggio di essere facile da reperire dai dati open source che viaggiano in internet. I dati sulla letalità a livello mondiale e per le regioni italiane risultano fortemente correlati con questo indicatore.
La figura 2 ci mostra a sinistra che la letalità mondiale è sempre superiore al valore 1-2% stimato dai virologi. Inoltre fino ad un valore dell’indicatore, cioè del rapporto malati/letti, pari a 0.25 la letalità si attesta intorno al 3%. Questo è il caso dei paesi in cui l’incidenza dei casi di contagio non mette in sofferenza il sistema. Infatti in questo caso i malati per Covid-19 occuperanno un numero nettamente inferiore a 0.25 perché stiamo considerando l’insieme degli ospedalizzati, domiciliarizzati e già guariti.
In questo caso le cure per COVID-19 non portano il sistema a saturazione ed inoltre la maggior parte dei letti rimane a disposizione dei malati per altre patologie. Oltre 0.25 la situazione si fa via via sempre più critica richiedendo più attenzione dal personale medico-infermieristico dell’ospedale e quindi la letalità aumenta. Questo è il caso dell’Italia che si avvicina al valore 1 dell’indicatore.
La letalità schizza a quasi il 14%. Anche Francia, Paesi Bassi, UK, Belgio, Svezia si trovano in questa situazione. In Spagna si riscontra un indicatore di oltre 2 ma la letalità rimane entro i valori di letalità degli altri paesi in condizioni di criticità (10.5%).
L’analisi dei dati per le regioni italiane nella figura 2 a destra e nella tabella 1 fornita dal Ministero della Salute ci mostra una letalità alta anche dove i valori dell’indicatore sono inferiori a 0.25. Questa bassa incidenza si trova nelle regioni del centro-sud meno colpite dall’epidemia. Questi livelli di letalità, difformi dalla situazione nel resto del mondo, ci indicano un problema aggiuntivo. In Italia si guarisce di meno da COVID-19, anche in situazioni di relativa poca incidenza dei casi di contagio. Perché?
Letalità elevate si evidenziano in generale nelle regioni del centro nord, ad eccezione del Veneto. La Lombardia si distingue con un indicatore attorno al valore 2.5 e una conseguente letalità del 18%.
Nel momento in cui scrivo siamo bombardati da messaggi ottimistici sul raggiungimento di un fantomatico traguardo, dunque verso l’inizio della discesa dei casi attivi.
Però il nostro sistema sanitario è in sofferenza acuta. Pure in zone con poca incidenza è estremamente pericoloso contrarre la malattia perché le letalità effettive sono molto più alte della letalità stimata dai virologi. Come abbiamo visto l’Italia non ha ancora raggiunto il valore 100 per i giorni in cui si raddoppiano i contagi, ma sembra che sia arrivata quasi al culmine dei casi attivi. Va ricordato che la Cina dopo quel traguardo è ancora rimasta in lockdown per altri 45 giorni.
Se guardiamo il sistema unicamente dal punto di vista della salute umana la scelta di riaprire il Paese seppur gradualmente risulta molto prematura. Non ci possiamo permettere di rivedere per la seconda volta lo stesso film, anche perché non si tratta di un film.
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