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venerdì 24 aprile 2020
Covid-19. Ma l’Italia ha le carte in regola per entrare nella “fase 2”?
Questo
studio è volto a confrontare in alcuni paesi del mondo i risultati
delle politiche di contenimento e l’adeguatezza dei sistemi sanitari
tramite indicatori facilmente reperibili dai dati ufficiali pubblicati
in rete, con particolare attenzione alla situazione in Italia e nelle
sue Regioni. I
risultati mostrano che le misure di contenimento finora attuate non
sono state efficaci così come lo sono state in altri Paesi. Inoltre in
Italia, anche in regioni dove l’incidenza del COVID-19 è bassa, il
sistema sanitario non consente di raggiungere i bassi livelli di
letalità riscontrati negli altri paesi. Vista
la discrepanza tra la narrazione mediatica sull’andamento dell’epidemia
da COVID-19 e i risultati che emergono da questo studio la decisa
attuazione della fase 2 ha tutte le caratteristiche di un salto nel
buio. Politiche di contenimento Per
vedere quanto le misure di contenimento dell’epidemia siano state
efficaci basta guardare la figura 1 in cui è riportato l’andamento del
numero di giorni di raddoppiamento del numero di contagi per diversi
paesi in funzione del tempo (a partire dal 1 gennaio 2020). All’inizio
tutte le epidemie avvengono con contagi sporadici e casuali, ma dopo
poco tempo la crescita dei contagi segue un andamento ti tipo
esponenziale. Senza le misure di contenimento il tempo di raddoppiamento
del numero di contagi è di pochi giorni e rimane costante. Una crescita
del tempo di raddoppiamento denota perciò un miglioramento nelle
politiche di contenimento. Guardando
la figura a sinistra si trova una crescita rapida del tempo di
raddoppiamento in Cina (punti blu) e in Corea del Sud (triangoli
arancioni). In termini quantitativi la pendenza della curva,
identificata dal parametro “s”, dà la misura della qualità di queste
politiche. Più basso è “s” meglio funzionano le misure. La linea
tratteggiata (s=100) corrisponde alla crescita epidemica prima
dell’attuazione delle misure. Figura
1: Numero di giorni in cui il numero dei casi di contagio si raddoppia
(in scala logaritmica) in funzione dei giorni trascorsi a partire dal 1
gennaio. I dati sono aggiornati al 21 aprile (dati da
https://www.worldometers.info/coronavirus );Sia
in Cina che in Corea del Sud l’efficacia della pianificazione delle
politiche di contenimento è stata nettamente superiore rispetto a quella
di tutti gli altri paesi presi in considerazione, Italia compresa
(triangoli azzurri). E’
anche importante il valore assoluto dei giorni di raddoppiamento. Se
prendiamo come riferimento il valore 100 (i casi si raddoppiano in 100
giorni) troviamo che la Cina e la Corea del Sud hanno raggiunto questo
valore rispettivamente in 30 e 20 giorni a partire dall’inizio
dell’epidemia. All’incirca il giorno stesso che Cina e Corea del Sud
hanno raggiunto questo traguardo è iniziata la discesa dei casi attivi
(persone che risultano infette in un determinato momento togliendo dal
numero totale dei contagiati il numero dei guariti e dei morti). Nel
momento in cui scrivo nessun altro paese tra cui l’Italia ha ancora
raggiunto il valore 100, neanche dopo più del doppio del tempo rispetto a
Cina e Corea del Sud, ma l’Italia si sta lentamente avvicinando. E’
inoltre importante rimarcare che la Cina ha iniziato gradualmente la
fase 2 solo 45 giorni (più di 6 settimane) dopo il raggiungimento del
valore 100. Dalla
figura a destra osserviamo che il tempo di raddoppiamento cresce più
velocemente in Germania (s=9.5) e in Spagna (s=10). Italia, Francia,
Gran Bretagna e USA hanno tempi confrontabili e più corti (s=15). In
Germania e Spagna l’epidemia è iniziata con un ritardo di circa 1
settimana rispetto all’Italia, ma ciò nonostante ha raggiunto in meno
tempo valori del tempo di raddoppiamento più alti dell’Italia. Complessivamente possiamo fare le seguenti deduzioni:
Il
modello cinese e quello coreano che hanno attuato il protocollo delle 3
T (Testing-Tracking-Tracing) sono i migliori nel panorama mondiale.
Dunque emerge l’importanza di una pianificazione collettiva che comporti
oltre al fermo delle attività produttive non essenziali la diffusione a
livello capillare di test diagnostici e di sistemi per
l’identificazione e il tracciamento dei malati e dei contatti che hanno
avuto.
Sul
versante opposto, il nostro è stato un contenimento per modo di dire.
Se consideriamo solo il settore privato, l’Istat ci dice che in Italia
solo il 49% delle imprese che danno lavoro a 7.4 milioni di persone sono
rimaste ferme. Per quel che riguarda l’altra metà i dati presentati in
Commissione Bilancio del Senato mostrano che 9,3 milioni di persone hanno continuato a lavorare normalmente.
Paesi
come Germania e Spagna sembrano essere stati più rigorosi,
contrariamente a quanto viene detto dagli organi d’informazione.
Politiche sanitarie Perché
tanti morti? Questa è la domanda che ciascuno di noi si è fatto e per
la quale continuiamo a non ottenere risposte. Eppure a cominciare dalle
istituzioni dovrebbero spiegarci perché in Italia e soprattutto in
Lombardia a cavallo tra marzo e aprile si sono verificati tanti morti
(in Italia i morti finora sono stati 4 ogni 10000 abitanti mentre in
Lombardia con 10.6 milioni di abitanti i morti ufficiali sono stati
circa 13 ogni 10000 abitanti, circa il 50% del totale dei morti in
Italia -fonte Dipartimento Protezione Civile). La
letalità (che tutti abbiamo imparato essere il numero di morti su
numero di casi riscontrati) è cresciuta a dismisura a mano a mano che i
giorni passavano senza che nessuno ci abbia spiegato cosa stava
succedendo. Una
risposta seppur parziale può provenire se confrontiamo i dati della
letalità con un qualche possibile indicatore sanitario. Scegliamo ad
esempio il rapporto tra il numero di casi di Covid-19 riscontrati e il
numero dei posti letto negli ospedali pubblici. Questo
indicatore, ad eccezione degli USA, ha il vantaggio di essere facile da
reperire dai dati open source che viaggiano in internet. I dati sulla
letalità a livello mondiale e per le regioni italiane risultano
fortemente correlati con questo indicatore. La
figura 2 ci mostra a sinistra che la letalità mondiale è sempre
superiore al valore 1-2% stimato dai virologi. Inoltre fino ad un valore
dell’indicatore, cioè del rapporto malati/letti, pari a 0.25 la
letalità si attesta intorno al 3%. Questo è il caso dei paesi in cui
l’incidenza dei casi di contagio non mette in sofferenza il sistema.
Infatti in questo caso i malati per Covid-19 occuperanno un numero
nettamente inferiore a 0.25 perché stiamo considerando l’insieme degli
ospedalizzati, domiciliarizzati e già guariti. In
questo caso le cure per COVID-19 non portano il sistema a saturazione
ed inoltre la maggior parte dei letti rimane a disposizione dei malati
per altre patologie. Oltre 0.25 la situazione si fa via via sempre più
critica richiedendo più attenzione dal personale medico-infermieristico
dell’ospedale e quindi la letalità aumenta. Questo è il caso dell’Italia
che si avvicina al valore 1 dell’indicatore. La
letalità schizza a quasi il 14%. Anche Francia, Paesi Bassi, UK,
Belgio, Svezia si trovano in questa situazione. In Spagna si riscontra
un indicatore di oltre 2 ma la letalità rimane entro i valori di
letalità degli altri paesi in condizioni di criticità (10.5%).
L’analisi
dei dati per le regioni italiane nella figura 2 a destra e nella
tabella 1 fornita dal Ministero della Salute ci mostra una letalità alta
anche dove i valori dell’indicatore sono inferiori a 0.25. Questa
bassa incidenza si trova nelle regioni del centro-sud meno colpite
dall’epidemia. Questi livelli di letalità, difformi dalla situazione nel
resto del mondo, ci indicano un problema aggiuntivo. In Italia si
guarisce di meno da COVID-19, anche in situazioni di relativa poca
incidenza dei casi di contagio. Perché? Letalità
elevate si evidenziano in generale nelle regioni del centro nord, ad
eccezione del Veneto. La Lombardia si distingue con un indicatore
attorno al valore 2.5 e una conseguente letalità del 18%. Nel
momento in cui scrivo siamo bombardati da messaggi ottimistici sul
raggiungimento di un fantomatico traguardo, dunque verso l’inizio della
discesa dei casi attivi. Però
il nostro sistema sanitario è in sofferenza acuta. Pure in zone con
poca incidenza è estremamente pericoloso contrarre la malattia perché le
letalità effettive sono molto più alte della letalità stimata dai
virologi. Come abbiamo visto l’Italia non ha ancora raggiunto il valore
100 per i giorni in cui si raddoppiano i contagi, ma sembra che sia
arrivata quasi al culmine dei casi attivi. Va ricordato che la Cina dopo
quel traguardo è ancora rimasta in lockdown per altri 45 giorni. Se
guardiamo il sistema unicamente dal punto di vista della salute umana
la scelta di riaprire il Paese seppur gradualmente risulta molto
prematura. Non ci possiamo permettere di rivedere per la seconda volta
lo stesso film, anche perché non si tratta di un film.
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