Violenti scontri in Egitto per la morte
improvvisa dell’ex presidente Morsi durante un’udienza in tribunale. Il
generale Al Sisi, che lo destituì e arrestò con un colpo di Stato nel
luglio 2013 sta rafforzando le misure di sicurezza, ma l’Egitto è in
fiamme.
Il trattamento di Morsi in prigione non era certo dei più teneri – ammesso per assurdo che le prigioni egiziane siano mai state luoghi di espiazione delle colpe secondo i canoni del diritto umanitario – e già un comitato di avvocati aveva denunciato le condizioni di salute dell’ex presidente aggravate dal trattamento penitenziario.
Tutto questo fa del primo presidente egiziano eletto democraticamente un martire dei Fratelli Musulmani e il suo seguito, anche grazie alla durezza repressiva di Al Sisi, ha continuatato a considerarlo un eroe e a rimpiangerlo. La sua morte, quindi, in un’aula di tribunale in cui era chiamato più che a difendersi a sopportare le numerose accuse tra cui quelle, ben gradite a Israele, di cospirazione con Hamas in Palestina ed Hesbollah in Libano, farà nuovamente scoppiare l’Egitto dove, né Morsi né tanto meno Al Sisi hanno mai rappresentato modelli di tolleranza e di democrazia impostata sulla tutela dei diritti umani.
Un altro campione dei diritti umani, il presidente turco Erdogan, ha pubblicamente dichiarato Mohammad Morsi un martire oltre che un fratello e questo equivale ad assestare un duro colpo ad Al Sisi che, a torto o a ragione, viene considerato il suo carnefice.
Ricordiamo che Morsi era stato presidente del partito Giustizia e Libertà fondato sull’onda della “rivoluzione” di piazza Tahrir e precedentemente era stato deputato al parlamento egiziano come esponente del movimento dei Fratelli Musulmani.Dopo aver ottenuto la vittoria elettorale ed aver assunto democraticamente il mandato presidenziale, Morsi aveva iniziato a lavorare sul suo progetto di “rinascita dell’Egitto” basato sull’applicazione dei principi basilari della “sharia”, la legge islamica.
Forse fu questo orientamento fondamentalista, contrastato dalla parte laica e comunque dalla parte meno integralista, che lo considerò un traditore per le modifiche alla Costituzione e per la durezza che accompagnava il suo integralismo religioso, ad aprire le porte al generale Al Sisi. Ma non va sottovalutato neanche il manifesto e profondo “non gradimento” di Morsi da parte di Israele, visti i suoi rapporti con Hamas e Hesbollah, nel segnare la sua fine.
Il generale Al Sisi, a sua volta, non brillò né tuttora brilla per metodi democratici e, dopo aver fatto arrestare tutti gli esponenti della Fratellanza musulmana, schiacciò brutalmente nel sangue ogni manifestazione di sostegno all’ex presidente, tanto che in pochi giorni si contarono migliaia di morti.
Ora sono in corso scontri violenti e si teme un altro bagno di sangue perché la morte di Morsi è considerata prossima ad un omicidio per le condizioni in cui era mantenuto come prigioniero.
La Fratellanza musulmana ha invitato a manifestare in tutto il mondo davanti alle ambasciate egiziane e ha chiesto agli egiziani di partecipare in massa ai suoi funerali. Le misure di sicurezza, lo sappiamo per esperienza, hanno puramente funzione repressiva e i metodi di Al Sisi non sono certo meno duri di quelli all’epoca contestati a Morsi.
Forse, incredibilmente e sperabilmente, il bagno di sangue che tutti gli osservatori si aspettano verrà mitigato da una scelta della Confederazione calcistica africana la quale, avendo tolto al Camerun la sede per il torneo della Coppa d’Africa ed avendola spostata in Egitto – perché considerato fino a ieri più sicuro – farà partire venerdì prossimo la prima sfida. Sarà un evento calcistico il momentaneo pacificatore di una situazione incandescente? Forse.
In altre regioni del mondo è già successo. Ma in altre regioni del mondo l’influenza israeliana e gli intrecci di alleanze e “disalleanze” tra paesi più o meno fratelli non erano confrontabili con l’Egitto, troppo vicino al Medio Oriente e ai suoi signori, locali e d’oltre oceano.
Il trattamento di Morsi in prigione non era certo dei più teneri – ammesso per assurdo che le prigioni egiziane siano mai state luoghi di espiazione delle colpe secondo i canoni del diritto umanitario – e già un comitato di avvocati aveva denunciato le condizioni di salute dell’ex presidente aggravate dal trattamento penitenziario.
Tutto questo fa del primo presidente egiziano eletto democraticamente un martire dei Fratelli Musulmani e il suo seguito, anche grazie alla durezza repressiva di Al Sisi, ha continuatato a considerarlo un eroe e a rimpiangerlo. La sua morte, quindi, in un’aula di tribunale in cui era chiamato più che a difendersi a sopportare le numerose accuse tra cui quelle, ben gradite a Israele, di cospirazione con Hamas in Palestina ed Hesbollah in Libano, farà nuovamente scoppiare l’Egitto dove, né Morsi né tanto meno Al Sisi hanno mai rappresentato modelli di tolleranza e di democrazia impostata sulla tutela dei diritti umani.
Un altro campione dei diritti umani, il presidente turco Erdogan, ha pubblicamente dichiarato Mohammad Morsi un martire oltre che un fratello e questo equivale ad assestare un duro colpo ad Al Sisi che, a torto o a ragione, viene considerato il suo carnefice.
Ricordiamo che Morsi era stato presidente del partito Giustizia e Libertà fondato sull’onda della “rivoluzione” di piazza Tahrir e precedentemente era stato deputato al parlamento egiziano come esponente del movimento dei Fratelli Musulmani.Dopo aver ottenuto la vittoria elettorale ed aver assunto democraticamente il mandato presidenziale, Morsi aveva iniziato a lavorare sul suo progetto di “rinascita dell’Egitto” basato sull’applicazione dei principi basilari della “sharia”, la legge islamica.
Forse fu questo orientamento fondamentalista, contrastato dalla parte laica e comunque dalla parte meno integralista, che lo considerò un traditore per le modifiche alla Costituzione e per la durezza che accompagnava il suo integralismo religioso, ad aprire le porte al generale Al Sisi. Ma non va sottovalutato neanche il manifesto e profondo “non gradimento” di Morsi da parte di Israele, visti i suoi rapporti con Hamas e Hesbollah, nel segnare la sua fine.
Il generale Al Sisi, a sua volta, non brillò né tuttora brilla per metodi democratici e, dopo aver fatto arrestare tutti gli esponenti della Fratellanza musulmana, schiacciò brutalmente nel sangue ogni manifestazione di sostegno all’ex presidente, tanto che in pochi giorni si contarono migliaia di morti.
Ora sono in corso scontri violenti e si teme un altro bagno di sangue perché la morte di Morsi è considerata prossima ad un omicidio per le condizioni in cui era mantenuto come prigioniero.
La Fratellanza musulmana ha invitato a manifestare in tutto il mondo davanti alle ambasciate egiziane e ha chiesto agli egiziani di partecipare in massa ai suoi funerali. Le misure di sicurezza, lo sappiamo per esperienza, hanno puramente funzione repressiva e i metodi di Al Sisi non sono certo meno duri di quelli all’epoca contestati a Morsi.
Forse, incredibilmente e sperabilmente, il bagno di sangue che tutti gli osservatori si aspettano verrà mitigato da una scelta della Confederazione calcistica africana la quale, avendo tolto al Camerun la sede per il torneo della Coppa d’Africa ed avendola spostata in Egitto – perché considerato fino a ieri più sicuro – farà partire venerdì prossimo la prima sfida. Sarà un evento calcistico il momentaneo pacificatore di una situazione incandescente? Forse.
In altre regioni del mondo è già successo. Ma in altre regioni del mondo l’influenza israeliana e gli intrecci di alleanze e “disalleanze” tra paesi più o meno fratelli non erano confrontabili con l’Egitto, troppo vicino al Medio Oriente e ai suoi signori, locali e d’oltre oceano.
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