Abbiamo spiegato, nella prima parte di questo contributo,
che l’introduzione di Minibot proposta dalla Lega non sortirebbe gli
effetti esplicitamente millantati dai suoi promotori. Presentato come escamotage per
sfuggire alle regole di finanza pubblica imposte da Bruxelles,
l’eventuale pagamento dei debiti commerciali della pubblica
amministrazione a mezzo di titoli di Stato di piccolo taglio porterebbe
ad un aumento del debito pubblico.
Per
questa semplice ragione contabile solleverebbe quindi i medesimi
problemi politici che qualsiasi manovra fiscale espansiva incontra
all’interno degli stringenti vincoli europei. Se la Lega volesse davvero
dare uno stimolo all’economia non si preoccuperebbe di ingegnarsi con
queste trovate, ma piuttosto si impegnerebbe in vere politiche fiscali
espansive in barba ai trattati europei.
Eppure,
intorno ai Minibot sembra muoversi molto di più di un dibattito sui
ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione. In queste ore
l’opposizione liberista al Governo prova a convincerci del fatto che
quando parliamo di Minibot stiamo, in verità, parlando nientemeno che dell’uscita dell’Italia dall’euro!
Quello che sembrava un noioso dibattito sulla contabilità dei debiti commerciali nasconderebbe dunque il ‘cigno nero’, la temutissima ipotesi di abbandono della moneta unica.
Una tesi audace vuole che l’obiettivo del rilancio dell’economia
tramite strumenti innovativi di compensazione dei crediti commerciali
sia solo uno specchietto per le allodole, e che il vero obiettivo dei
Minibot sia porre le basi per la diffusione di una moneta parallela
all’euro come preludio all’uscita.
Sarà
vero? In quanto segue proveremo a rispondere a questa domanda sotto due
punti di vista. Prima cercheremo di capire se effettivamente, cioè dal
punto di vista tecnico, i Minibot creano le condizioni per l’uscita
dall’euro. Poi, dopo aver chiarito che questa arma segreta dei leghisti
sarebbe meno efficace di un’ampolla dell’acqua del sacro Po gettata
contro i palazzi di Francoforte, ne indagheremo la dimensione politica,
l’aspetto più interessante di tutta la questione.
Ma facciamo un passo indietro. La storia del “Piano B”,
cioè dell’opportunità di predisporre le misure tecniche necessarie al
disimpegno dall’euro nasce in tutt’altro contesto, sotto la furia della
tempesta finanziaria che colpì la Grecia nel 2015, quando il popolo
greco elesse una coalizione di sinistra radicale – Syriza – per fermare
la rigida applicazione dell’austerità che stava letteralmente
distruggendo il Paese.
Poco
prima delle elezioni politiche, i vertici di Syriza incaricano il loro
economista di riferimento, Yanis Varoufakis, di preparare un piano
emergenziale per meglio resistere alle pressioni che la Banca Centrale
Europea (BCE) e i mercati avrebbero prevedibilmente esercitato sul
nascente governo di sinistra. Come riporta il quotidiano greco Kathimerini, il leader Alexīs
Tsipras avrebbe chiesto a Varoufakis “di predisporre un sistema di
pagamento operante in euro, ma che avrebbe potuto essere modificato nel
giro di una notte per operare in dracma”,
la moneta greca in circolazione prima dell’euro. Il timore che muoveva
Tsipras era ben fondato, ma per capirlo dobbiamo prima spiegare cosa sia
un sistema di pagamento.
L’ordinario
funzionamento della nostra economia richiede la continua, rapida e
sicura circolazione di quantità gigantesche di denaro, e il denaro –
come le persone o le automobili – ha bisogno di strade e infrastrutture
per spostarsi agevolmente da un luogo ad un altro. La circolazione del
denaro contante, monete e banconote, riveste oggi un ruolo marginale,
mentre i maggiori flussi di denaro che scorrono nelle vene dell’economia
sono costituiti dalla cosiddetta moneta elettronica: bancomat, carte di
credito, bonifici, giroconti, home banking.
Le loro strade e infrastrutture sono quindi reti informatiche complesse. Se alziamo lo sguardo dai nostri affari quotidiani e guardiamo a questi flussi dall’alto,
ci rendiamo conto che il processo complessivo è mastodontico: centinaia
di migliaia di bonifici e operazioni finanziarie si accumulano nei
registri elettronici delle banche che, ogni giorno, si scambiano milioni
di euro.
L’infrastruttura
tecnica che rende questa circolazione possibile e ordinata è il sistema
di pagamento, una rete interbancaria che ha il suo cuore nell’autorità
monetaria – la banca centrale. Il sistema di pagamento su cui poggia la
nostra economia è oggi quello comune all’area dell’euro: il sistema
Target 2 cogestito da Banca d’Italia, Bundesbank e Banque de France.
Ogni singola banca si poggia a questa infrastruttura per tutte le
transazioni con il resto del sistema finanziario che superano un certo
importo, sotto la supervisione della Banca Centrale.
Ogni
giorno Target 2 regola in Europa 350.000 pagamenti corrispondenti a
circa 1.700 miliardi di euro, ed ogni pagamento, in media, sposta poco
meno di 5 milioni di euro in meno di 5 minuti. In Italia sono regolati
34.000 pagamenti al giorno, pari a 68 miliardi di euro che si spostano
quotidianamente nel sistema finanziario nazionale per importi medi di 2
milioni di euro a transazione.
Questi
numeri possono aiutarci a chiarire l’elevata complessità del processo
di circolazione della moneta in un’economia avanzata, una complessità
che ha indotto alla prudenza la sinistra radicale greca nel momento in
cui si affacciava alle stanze del potere. Come reagire se il sistema
bancario e le autorità monetarie voltano le spalle ad un governo in
carica, bloccando i meccanismi di creazione e trasferimento della
liquidità che regolano ogni giorno l’economia? Questo l’interrogativo,
pienamente legittimo, che sembra aver mosso Tsipras e compagni nella
fase di ideazione di un “Piano B”.
Quando
Tsipras e Varoufakis sono passati dalle parole ai fatti, la questione è
rapidamente sfuggita di mano. È lo stesso Varoufakis a raccontare,
sempre secondo il giornale greco Kathimerini,
di aver avuto fin da subito le mani legate. Il progetto era talmente
segreto da dover restare chiuso in una cerchia ristrettissima di
persone. L’eccentrico economista greco decide perciò di coinvolgere un
suo amico di infanzia con spiccate doti informatiche, oggi docente di
Information Technologies alla Columbia University, per hackerare il sistema informatico dell’Agenzia Fiscale e ottenere il controllo della piattaforma.
L’idea
è di utilizzare quella semplice ma funzionale infrastruttura
elettronica per trasferire il denaro tra i greci in caso di emergenza,
come ammette chiaramente Varoufakis: “Immagina i primi momenti in cui le
banche vengono chiuse, i Bancomat smettono di funzionare e c’è bisogno
di un sistema parallelo di pagamento per tenere in piedi l’economia for a little while
(cioè per un pochino di tempo), per dare alla gente la sensazione che
lo Stato controlla la situazione e non ci sia panico. […] Questo avrebbe
creato un sistema bancario parallelo mentre le banche sono chiuse a
causa di un’aggressione della BCE finalizzata a soffocarci”.
Quando Varoufakis diventa Ministro dell’Economia, il suo amico copia il software dell’Agenzia delle Entrate sul suo laptop per hackerarlo ed eventualmente far partire in caso di emergenza “il sistema bancario parallelo”. Come ci racconta Varoufakis, non nuovo ad avventure informatiche:
“Eravamo pronti a ricevere il via libera dal Primo Ministro quando le
banche sarebbero state chiuse in modo da irrompere nel Segretariato
Generale delle Entrate Pubbliche…, collegare il laptop e far partire il sistema.”
Un film, ma la situazione inizia ad assomigliare, più che all’epica della ‘La casa di carta’, a quella scena de ‘La banda degli onesti’,
in cui Totò e Peppino sono impegnati a fabbricare casarecce banconote
false che nessuno dei falsari avrà poi il coraggio di spendere. Nessuna
persona ragionevole, infatti, può pensare di gestire artigianalmente una
infrastruttura informatica complessa e pesante come un sistema di
pagamento di una nazione.
Neppure
Varoufakis, che confessa: “Il progetto era più o meno completo: avevamo
un Piano B, ma il problema era passare dalle cinque persone che
l’avevano ideato alle mille necessarie ad implementarlo, questione per
la quale avrei dovuto ricevere un’autorizzazione che non è mai
arrivata”.
Riavvolgiamo
il nastro di questa storia per chiarire i termini della questione: al
di là del tentativo rapidamente fallito, i vertici di Syriza avevano in
mente una situazione di emergenza legata alla chiusura del sistema di
pagamento da parte di un’autorità monetaria ostile, nella piena
consapevolezza che questo “Piano B” sarebbe stato niente di più di una
misura tampone, capace di reggere “for a little while”.
Questo
per dire che, nonostante la dimensione comica che la vicenda assume nel
racconto dello stesso Varoufakis, il tema del “Piano B” aveva comunque
una ragion d’essere tutt’altro che ridicola. Un governo senza sovranità
monetaria può infatti essere ricattato dalla banca centrale, visto che
quest’ultima tiene le redini del sistema di pagamento necessario
all’ordinato funzionamento di un’economia sviluppata.
Ridicola
è invece la trasposizione italiana di questa pellicola che ci viene
offerta dall’economista della Lega, Claudio Borghi, con la teoria dei
Minibot. Ignorando del tutto la natura del problema, cioè il fatto che
qualsiasi ritorsione dell’autorità monetaria passerebbe immediatamente
per l’architettura informatica del sistema di pagamento, i leghisti
sembrano convinti di poter garantire l’ordinario funzionamento
dell’economia, in caso di comportamenti ostili della BCE, attraverso la
circolazione di biglietti cartacei con stampate le facce della Fallaci e di D’Annunzio: i Minibot, per l’appunto.
Spiega Borghi in un video del 2017: “Nel
momento stesso in cui decido di non adoperare più l’euro, o anche
soltanto di entrare in una discussione dura per trovare le modalità di
smantellamento, e costoro pensassero di attuare delle tattiche ‘alla
greca’ per cercare di forzarci la mano e quindi chiudere le banche
lasciando la gente senza contanti, senza bancomat: non potrebbe più
succedere che la gente si trovi con la paura di non avere il contante
perché altrimenti Francoforte non ti fa più vedere l’euro, perché
avrebbe già i Minibot in normale circolazione, e quelli non potrebbero
essere contingentati da nessuno. E quindi noi avremmo la possibilità di
avere questa arma di prosecuzione tranquilla della circolazione del
contante, senza dover sottostare agli ordini di qualcuno. Nel momento
stesso in cui si decide di uscire, il Minibot diventerà già il contante
della nuova moneta, e tutto sarebbe molto più semplice.”
Gestire
ogni giorno 34.000 pagamenti da 2 milioni di euro ciascuno per masse da
68 miliardi di euro con banconote cartacee non sembra la migliore delle
idee. Borghi è convinto che il problema sia garantire la circolazione
dei contanti: non sa, forse, che oggi il circolante rappresenta meno del
6% del PIL mentre l’aggregato monetario (in gergo tecnico, M2) che
include anche i depositi bancari, i libretti postali e tante altre forme
di moneta elettronica che per circolare ha bisogno di una rete
interbancaria, supera il 90% del PIL.
Inventare
nuove banconote parallele all’euro può dare forse l’illusione ottica
che si stia sfuggendo dalla morsa dei vincoli europei, ma non
risolverebbe assolutamente il problema che si ponevano Tsipras e
Varoufakis, e che Salvini e Borghi – molto probabilmente – non hanno mai
seriamente preso in considerazione.
Stendiamo
dunque un velo pietoso sull’aspetto tecnico della questione – sulla
effettiva praticabilità di un’uscita dall’euro indotta a partire
dall’introduzione dei Minibot – e proviamo a concentrarci sul punto
politico, che è forse il lato più interessante di tutta questa vicenda.
La
strampalata tesi per cui i Minibot siano un primo passo fuori
dall’euro, oggi agitata dall’opposizione liberista a questo governo, dal
PD alle agenzie di rating,
nasce in seno alla Lega, e viene candidamente illustrata da Borghi nel
video già menzionato, dove i Minibot sono presentati come “un espediente
per uscire in modo ordinato e tutelato” dall’euro.
Il ragionamento di Borghi è il seguente: “Se
uno si deve preparare all’uscita, non può pensare di prepararsi
all’uscita fuori dalle regole. Devi prepararti dentro alle regole
europee, e dopo salutare. Perché sennò altrimenti chiudi tutto e
automaticamente fai le tue cose. Invece bisogna pensare a qualcosa che
sia in regola e che possa funzionare prima, che mi renda più semplice
l’uscita.”
Il discorso non ha alcun senso logico, ma proprio per questo rivela chiaramente il senso politico dell’operazione Minibot architettata dalla Lega. Borghi sta dicendo che per uscire dall’euro, cioè prima di
uscire dall’euro, devi introdurre una moneta parallela che, al momento
giusto, diventa la valuta ufficiale del Paese in barba ai burocrati di
Bruxelles. L’economista della Lega pone l’enfasi sulla necessità che
questa moneta parallela sia accettata dall’Europa.
Qui sta il non senso:
se si riuscisse ad introdurre una moneta parallela “che sia in regola”,
cioè accettata dall’Unione Europea, si avrebbe tutto il necessario per
realizzare quelle politiche fiscali espansive che i vincoli fiscali e
monetari imposti dall’Europa impediscono oggi anche solo di immaginare, e
dunque non ci sarebbe più quell’immediato bisogno di uscire. Fosse
possibile finanziare spesa sociale, sanità, istruzione, pensioni e
perseguire la piena occupazione “dentro alle regole europee”, non vi
sarebbe più l’urgente bisogno di rompere la gabbia, semplicemente perché
quella è una gabbia nella misura in cui ti impedisce di usare la leva
monetaria (ossia la possibilità di finanziare spese pubbliche stampando
moneta) per creare nuova occupazione e tutelare i lavoratori già
occupati.
Un
abisso separa i termini del discorso illustrati da Varoufakis dalla
dimensione farsesca del progetto leghista: per i vertici di Syriza il
problema era tenere botta davanti ad un’azione ostile dell’autorità
monetaria, e non certo realizzare una sorta di ‘uscita dall’euro
all’interno dell’euro’, come invece confessa senza vergogna Borghi.
Il
“Piano B” deve servire a gestire l’emergenza che si presenta al momento
della rottura con la BCE e le altre istituzioni europee, ma non appena
la rottura si sia consumata l’unica opzione possibile per gestire la
circolazione monetaria di un Paese è prendere possesso del sistema di pagamento ufficiale, ovvero dell’infrastruttura gestita dalla banca centrale. Questo è il cuore del problema politico che la barzelletta dei Minibot ci aiuta a far emergere: il tema del potere.
Se
una forza politica ha intenzione di incidere sulla realtà, e dunque si
pone tra i suoi obiettivi il governo dell’economia, avrà bisogno di
tutte le strutture di potere necessarie a gestire questa complessità, a
partire dalla banca centrale. A modo suo, Varoufakis alludeva a questo
quando parlava della necessità di passare dalle cinque persone che
avevano sognato il romanzesco “Piano B” alle mille occorrenti a
realizzarlo.
Rompere
con l’Europa significa riprendersi l’autorità monetaria e usarla per
creare lavoro e difendere lo Stato sociale. Significa mettere le mani
sulla Banca d’Italia, cioè pretendere che operi al servizio del governo e
non agli ordini delle istituzioni europee. E Borghi in effetti è
sincero: nel video dice chiaramente che lo stratagemma dei Minibot è
un’alternativa alla rottura, cioè – per usare le sue parole – al “chiudi
tutto e automaticamente fai le tue cose”.
La favoletta dei Minibot è la plastica rappresentazione della mancanza di volontà politica
da parte della Lega di mettere in pratica qualsiasi ipotesi di rottura
con l’Europa, e della spasmodica ricerca da parte dell’aitante Salvini
della massima compatibilità con le regole europee. Perciò, se proprio si
deve dare l’impressione di star implementando qualche operazione di
rottura, meglio utilizzare, fra tutti, l’espediente più innocuo.
La Lega di Governo si culla dunque in questo equivoco: non ha nessuna volontà di rottura con l’Europa dell’austerità, per la quale lavora alacremente da ormai un anno, ma continua a solleticare a fini strumentali e in maniera truffaldina
il mito di una rottura a cui non ha mai creduto. Una mera suggestione
buttata lì per alimentare l’idea che la Lega rappresenti un’alternativa
al sistema di precarietà, povertà e disoccupazione che impone l’Europa,
suggestione tanto più utile quando la Lega è impegnata in prima fila ad
amministrare l’austerità per conto di Bruxelles, a suon di tagli alla
spesa sociale e aumento delle tasse.
Più
l’opposizione sbraita contro un’ipotesi di uscita dall’euro che sarebbe
implicita nel varo dei Minibot o in qualsiasi altra sparata
dell’attuale governo, più si rafforza quel legame sentimentale tra la
Lega e gli elettori, che a quel partito hanno affidato il loro senso di
rivalsa contro l’Europa. Un senso di rivalsa pienamente legittimo, una
sacrosanta rabbia sociale da cui deve ripartire qualsiasi credibile
opzione politica di riscatto dei lavoratori.
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