Nel quadro del confronto sulla manovra
per il 2019, le promesse del M5s in relazione all’introduzione del
reddito di cittadinanza hanno contribuito a riaccendere i riflettori sul
tema della povertà. Nonostante la (timida) ripresa economica,
l’incidenza della povertà più severa non solo non si è ridotta nel
nostro Paese, ma è in aumento. Secondo i dati diffusi dall’Istat a fine
giugno, le persone in povertà assoluta -coloro che non hanno risorse
sufficienti per acquistare un paniere di beni e servizi ritenuto
essenziale, tenendo conto della composizione del nucleo familiare e del
costo della vita nell’area di residenza- hanno superato i 5 milioni, il
dato più alto registrato da metà anni Duemila, quando sono iniziate le
rilevazioni.
L’incidenza nel 2017 è stata infatti
dell’8,4%, con 3,3 milioni di persone in più rispetto allo scenario
pre-crisi. Sebbene via sia forte variabilità fra gli Stati, la povertà è
un fenomeno che riguarda anche gli altri Paesi dell’Unione europea, con
indicatori sensibilmente in crescita durante gli anni della crisi.
Non a caso, la lotta alla povertà, e più
in generale il contrasto all’esclusione sociale, è stata posta fra i
principali obiettivi che l’Unione europea si era data nel 2010 per il
decennio in corso. Attraverso la Strategia “Europa 2020” (Eu2020), l’Ue
si proponeva infatti di favorire una crescita che fosse al contempo
“intelligente, sostenibile e inclusiva”, integrando cinque diversi
obiettivi, in materia di occupazione, ricerca e sviluppo, cambiamenti
climatici ed efficienza energetica, istruzione e contrasto alla povertà.
Su quest’ultimo fronte, l’impegno era di
ridurre di almeno 20 milioni il numero di persone in situazione di
povertà o esclusione sociale entro il 2020. Come illustrato nel volume
“Fighting Poverty and Social Exclusion in the EU. A Chance in Europe
2020” (Matteo Jessoula e Ilaria Madama, 2018, London/New York: Routledge),
a due anni dal termine della strategia, in uno scenario ancora segnato
dalle conseguenze della Grande recessione e dalla crisi dell’euro,
l’obiettivo appare sempre più lontano.
Dal 2008, anno di riferimento su cui
valutare i progressi, le persone a rischio povertà ed esclusione sociale
anziché diminuire sono aumentate. Il picco negativo si è raggiunto nel
2012, con oltre 123 milioni (24,8%). I dati più recenti segnalano un
lieve miglioramento, ma restano oltre 118 milioni di persone (23,5%) in
condizione di povertà o esclusione sociale nell’Ue, circa 800mila
individui in più rispetto al 2008.
1.208.000 i bambini e i ragazzi fino a 17 anni che vivono in condizioni di grave indigenza in Italia, con un’incidenza quasi quadruplicatasi nell’ultimo decennio (12.1% nel 2017, 3.1% nel 2007)
Nel quadro della strategia Eu2020,
l’Italia si era impegnata a contribuire al target comune con una
riduzione di 2,2 milioni delle persone a rischio povertà o esclusione
sociale, obiettivo decisamente fuori portata se si considera che nel
2016 -in controtendenza rispetto al dato europeo- il numero di persone
in tale condizione ha raggiunto la soglia più alta (18,1 milioni, pari
al 30%), per poi ridursi leggermente nel 2017 (17,4 milioni). Con circa
2,4 milioni in più, anziché in meno, rispetto al 2008, il trend appare
dunque opposto a quello atteso e sperato. Dal 1 luglio è in vigore il
nuovo Reddito di Inclusione (REI), una misura volta a garantire sostegno
economico alle persone in condizione di povertà severa, associata a
progetti di inclusione. Sebbene ancora sotto-finanziato e perfettibile,
il REI rappresenta la riforma più rilevante e promettente in questo
ambito nella storia del nostro Paese. Un impegno sul fronte del
contrasto alla povertà dovrebbe partire da una riflessione su come
rafforzare ciò che faticosamente è stato, da poco, messo in campo.
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