Indice manifatturiero
ai minimi da 46 mesi, sotto la soglia dei 50 punti che rimarca
espansione o recessione, crescita nulla del Pil nel terzo trimestre,
forte calo degli ordinativi interni. L’Italia, che ha puntato sul
modello tedesco basato sul mercantilismo a bassi salari dove l’unica
valvola di sfogo è l’export, si riscopre nuovamente fragile.
Ecco come inquadra la questione Carlo Bonomi di Assolombarda ieri su La Repubblica: “In Germania gli ordinativi sono in forte calo, e per la manifattura italiana, che ha intrecci produttivi strettissimi con le filiere industriali tedesche, è una pessima notizia. La domanda estera è in forte calo, quella interna non è mai di fatto ripartita”. Il classico pianto del subfornitore italiano.
Ecco che l’Italia, che ha costruito negli ultimi 25 anni, a seguito dello smantellamento degli oligopoli pubblici, una vasta rete di subfornitura italiana al servizio dei colossi tedeschi e che ha puntato dal 2011 sulla domanda estera massacrando quella interna, si scopre senza appigli, senza uno sfogo di domanda pagante a cui aggrapparsi.
Ma è l’intera eurozona che è messa così: il rapporto domanda estera/pil della zona euro è pari al 44%, in Usa al 18,4%, in Cina al 17,8%. L’eurozona è senza domanda interna, avendola massacrata da Maastricht in poi, e di cui in questi giorni si “festeggiano” i 25 anni.
In un’editoriale apparso ieri su Milano Finanza dal titolo L’italia nel pantano, l’economista Guido Salerno Aletta così inquadra la questione: “Alla lunga, il conflitto sui dazi intrapreso dagli Usa nei confronti della Cina nono potrà non riguardare anche l’eurozona, che concorre ampiamente al deficit americano. Puntare ancora sulla crescita trainata dalle esportazioni nei confronti degli Usa o anche verso la Cina, potrebbe rivelarsi un errore strategico: una volta incorporate le tecnologie di punta occidentali, dopo aver comprato per anni macchinari per accelerare lo sviluppo produttivo, la Cina tenderà a sviluppare il mercato interno limitando le importazioni alle sole materie prime energetiche, ai minerali e ai prodotti agricoli e alimentari. L’import cinese dall’Europa verrebbe fortemente ridimensionato, soprattutto nel settori della meccanica e dell’auto. Anche in un eventuale appeasement commerciale tra Usa e Cina. il ruolo dell’Europa sarebbe marginalizzato”.
In futuro vince chi ha la domanda interna. L’Europa costruita da Maastricht non ce l’ha più da tempo.
Non si tratta di governi, è proprio il modello che è privo di razionalità. Il modello del mercantilismo adottato in Italia ha comportato negli ultimi 25 anni la marginalizzazione del meridione, la scomparsa del ruolo trainante di Roma e un nord in balia dei venti industriali del nord Europa, a sua volta dipendente della domanda mondiale.
E’ così scomparsa la domanda interna europea e italiana. si sono moltiplicati i marginalizzati del mercato capitalistico, più che domanda pagante salariata. E da che mondo è mondo il modo di produzione capitalistico ha necessità di domanda pagante. Per qualche decennio la si è trovata fuori dal contesto europeo, ma nel frattempo non pochi paesi si sono industrializzati.
E così il modello tedesco scopre le corde. Ma a rimanere impigliati saranno i salariati europei, ancora una volta.
Ecco come inquadra la questione Carlo Bonomi di Assolombarda ieri su La Repubblica: “In Germania gli ordinativi sono in forte calo, e per la manifattura italiana, che ha intrecci produttivi strettissimi con le filiere industriali tedesche, è una pessima notizia. La domanda estera è in forte calo, quella interna non è mai di fatto ripartita”. Il classico pianto del subfornitore italiano.
Ecco che l’Italia, che ha costruito negli ultimi 25 anni, a seguito dello smantellamento degli oligopoli pubblici, una vasta rete di subfornitura italiana al servizio dei colossi tedeschi e che ha puntato dal 2011 sulla domanda estera massacrando quella interna, si scopre senza appigli, senza uno sfogo di domanda pagante a cui aggrapparsi.
Ma è l’intera eurozona che è messa così: il rapporto domanda estera/pil della zona euro è pari al 44%, in Usa al 18,4%, in Cina al 17,8%. L’eurozona è senza domanda interna, avendola massacrata da Maastricht in poi, e di cui in questi giorni si “festeggiano” i 25 anni.
In un’editoriale apparso ieri su Milano Finanza dal titolo L’italia nel pantano, l’economista Guido Salerno Aletta così inquadra la questione: “Alla lunga, il conflitto sui dazi intrapreso dagli Usa nei confronti della Cina nono potrà non riguardare anche l’eurozona, che concorre ampiamente al deficit americano. Puntare ancora sulla crescita trainata dalle esportazioni nei confronti degli Usa o anche verso la Cina, potrebbe rivelarsi un errore strategico: una volta incorporate le tecnologie di punta occidentali, dopo aver comprato per anni macchinari per accelerare lo sviluppo produttivo, la Cina tenderà a sviluppare il mercato interno limitando le importazioni alle sole materie prime energetiche, ai minerali e ai prodotti agricoli e alimentari. L’import cinese dall’Europa verrebbe fortemente ridimensionato, soprattutto nel settori della meccanica e dell’auto. Anche in un eventuale appeasement commerciale tra Usa e Cina. il ruolo dell’Europa sarebbe marginalizzato”.
In futuro vince chi ha la domanda interna. L’Europa costruita da Maastricht non ce l’ha più da tempo.
Non si tratta di governi, è proprio il modello che è privo di razionalità. Il modello del mercantilismo adottato in Italia ha comportato negli ultimi 25 anni la marginalizzazione del meridione, la scomparsa del ruolo trainante di Roma e un nord in balia dei venti industriali del nord Europa, a sua volta dipendente della domanda mondiale.
E’ così scomparsa la domanda interna europea e italiana. si sono moltiplicati i marginalizzati del mercato capitalistico, più che domanda pagante salariata. E da che mondo è mondo il modo di produzione capitalistico ha necessità di domanda pagante. Per qualche decennio la si è trovata fuori dal contesto europeo, ma nel frattempo non pochi paesi si sono industrializzati.
E così il modello tedesco scopre le corde. Ma a rimanere impigliati saranno i salariati europei, ancora una volta.
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