La questione è un po’ più complicata di come l’ha voluta
rappresentare il numero uno della BCE: innanzitutto perché, come la
lettera di Draghi ammette, e come un attento articolo di
scenarieconomici.it fa subito notare, nel saldo Target 2 rientra anche
l’Assets Purchasing Program (APP), ovvero il programma di acquisto degli
assets finanziari rientranti nel Quantitative Easing.
In
pratica, per acquistare i titoli di stato europei sul mercato
secondario, la BCE si serve della liquidità proveniente dalle banche
centrali nazionali. In questo caso, con la liquidità proveniente da
Banca d’Italia, Mario Draghi compra titoli di stato che per la maggior
parte non sono italiani e questi rappresentano un nostro credito, non un
debito.
Perché allora il saldo Target 2 risulta negativo?
Semplicemente perché il sistema Target 2 non indica esclusivamente un
rapporto di debiti e crediti dei vari stati europei, ma si limita a
registrare contabilmente i movimenti di capitale tra le banche centrali
nazionali e la BCE, che fa da intermediaria.
Come rivela la
stessa lettera di Draghi, l’allargamento del saldo negativo italiano
registrato dal Target 2 non è dovuto ad operazioni di natura commerciale
che determinano uno spostamento di capitali dall’Italia verso la
Germania, ma al programma di acquisto di assets finanziari APP.
Pertanto, a fronte di una parte consistente di quei 358 miliardi di
saldo negativo, con tutta probabilità ci sarebbe un credito del nostro
Paese verso altri Stati dell’Eurozona.
E per la parte di saldo
proveniente da transazioni commerciali? Costituiscono un debito? Per
rispondere a questa domanda dobbiamo cercare di capire innanzitutto come
lavora il sistema Target 2. Per farlo ci aiuteremo con un articolo del
giugno 2012 scritto da Felix Salmon, giornalista esperto di economia e
finanza, tradotto in italiano da Voci dall’Estero.
Salmon spiega:
“Ciascuna banca dell’Eurosistema è titolare di un conto presso la
rispettiva banca centrale nazionale — e se si somma tutto il denaro
presente in tutti questi conti, il totale è il saldo Target2 presso la
banca centrale in questione. Vale la pena qui ricordare l’unica cosa su
cui tutti sono d’accordo riguardo i Target2: finché la zona euro resta
in piedi, non sono affatto un problema. La somma della totalità di saldi
Target2 nelle varie banche centrali è sempre zero, ed il sistema
funziona efficientemente e perfettamente.
Se una signora spagnola
fa un assegno al suo terapista, il denaro esce dal suo conto ed entra
nel conto del terapista. Finché entrambi i conti sono presso banche
spagnole, si tratta solo di un trasferimento da una banca all’altra, ed
il il saldo Target2 presso il Banco de España rimane invariato.
Supponiamo però che la nostra correntista spagnola decida di trasferire
€1.000 da Banco Santander su un conto della Deutsche Bank. In questo
caso, il saldo nel suo conto Santander andrà a sotto di €1.000, ed il
Banco de España dovrà anch’esso dedurre €1.000 dal conto di Santander
presso la Banca centrale. In Germania, €1,000 si materializzano sul
conto Deutsche Bank, ed alla prima occasione Deutsche Bank depositerà
questa somma nel suo conto presso la Bundesbank, cosicché la Bundesbank
aggiungerà €1.000 al saldo di Deutsche Bank.
In pratica, il Banco
de España avrebbe appena distrutto €1.000, e la Bundesbank avrebbe
appena creato €1.000. Non è un problema — si tratta di banche centrali, e
la funzione delle banche centrali è quella di creare e distruggere
denaro. Ma per semplici ragioni di contabilità, i conti nell’Eurosistema
devono essere pareggiati. Teniamo presente che quelli che per noi
normalmente sono degli attivi, per le banche sono passività. Quindi
Deutsche Bank deve €1.000 alla nostra signora spagnola — che è un altro
modo per dire che lei deposita €1.000 presso Deutsche Bank. A sua volta,
Deutsche Bank deposita €1.000 presso la Bundesbank, il che significa
che la Bundesbank deve €1.000 alla Deutsche Bank. E la catena continua:
la BCE deve €1.000 alla Bundesbank, il Banco de España deve €1.000 alla
BCE, e Santander deve €1.000 al Banco de España, dal momento che
Santander ha di fatto dovuto prendere in prestito il denaro dal Banco de
España per poterlo trasferire alla Deutsche Bank.
Trattandosi di
alta finanza, gli obblighi verso le banche centrali nazionali sono qui
garantiti, sicché il Banco de España detiene garanzie da parte di
Santander che coprono abbondantemente i €1.000 dovuti. Da parte sua, il
Banco de España invece non è tenuto a fornire garanzie alla BCE. Le
banche centrali non hanno bisogno di fare nulla del genere: le garanzie
non sono necessarie poiché esse possono sempre stampare denaro in caso
di bisogno.
Non è comunque difficile capire che il saldo Target2
della Bundesbank è ultimamente in crescita, mentre i saldi delle
periferie sono in diminuzione: è in atto una corsa verso investimenti
più sicuri, e le banche tedesche sono (giustamente) percepite come più
sicure delle banche spagnole, greche e di quelle degli altri paesi della
periferia. Analogamente, le banche tedesche che hanno prestato denaro a
debitori spagnoli — ed in particolar modo alle banche spagnole — non
rinnovano questi prestiti. Quando i prestiti sono ripagati, le banche
tedesche depositano semplicemente il denaro presso la Bundesbank, invece
di prestarli nuovamente a qualche paese in seria difficoltà. Questo fa
aumentare ulteriormente i saldi Target2 della Bundesbank, ed ogni
qualvolta ciò accade c’è una riduzione uguale e contraria dei saldi
Target2 altrove.
Si nota dunque subito ad occhio nudo come stanno
davvero le cose: il denaro affluisce verso la Germania. I risparmiatori
dei PIIGS o rimborsano direttamente i loro debiti con le banche
tedesche, oppure trasferiscono i loro fondi presso conti in banche
tedesche. In tal senso, è un po’ strano che personaggi come Sinn e Soros
descrivano queste transazioni come denaro prestato dalla Germania alla
periferia — in realtà, i flussi sono nella direzione esattamente
opposta. Ma per ragioni contabili, questi flussi generano obblighi di
contabilizzazione interna fra le varie banche dell’Eurosistema, e a
quanto pare sono proprio questi obblighi di contabilità interna a
preoccupare così tanto Soros e Sinn.”
Abbiamo compreso in larga
sostanza come funzionano i trasferimenti di denaro da un Paese ad un
altro e come purtroppo si evince, il trasferimento parte quasi sempre
dai Paesi periferici per giungere in Germania.
Comunque, finché
resta in piedi l’Eurozona, anche con questi squilibri, il sistema
contabile registrato dal Target 2 da sempre somma zero. Ma se un Paese
volesse uscire, cosa accadrebbe? Continuiamo la lettura dell’articolo di
Felix Salmon:
“Un’eventuale uscita della Grecia sarebbe troppo
poco significativa per destare preoccupazioni. La Grecia ha un saldo
negativo Target2 di circa €100 miliardi. Questo significa che le banche
greche devono €100 miliardi alla Bank of Greece, che sono coperti da
garanzia; e che a sua volta la Bank of Greece deve €100 miliardi alla
BCE in titoli non garantiti. Se la Grecia dovesse svalutare in modo
caotico ed andare in default, sarebbe perfettamente ragionevole pensare
che la Bank of Greece non adempirebbe ai suoi obblighi verso la BCE, e
tratterrebbe per sé le garanzie delle banche greche, per aiutare a
finanziare il più possibile la nascente dracma.
Se dovesse
succedere, il fondo dell’Eurosistema — le altre 16 banche centrali, più
la BCE — subirebbe una perdita contabile di €100 miliardi. Ma esse
dispongono di un capitale di €86 miliardi, e possono creare altri 400
miliardi di capitale in qualsiasi momento, semplicemente rivalutando le
loro riserve auree. Quindi trovare €100 miliardi non sarebbe difficile —
soprattutto perché lo stesso concetto di banca centrale insolvente è un
tantino assurdo. Anche nel caso in cui il capitale di una banca
centrale cessasse di essere positivo e diventasse negativo, all’atto
pratico nulla cambierebbe. Le banche centrali non possono fallire,
perché possono sempre stampare moneta.”
Ma guarda un po’ che dice
questo populista: “Le banche centrali non possono fallire, perché
possono sempre stampare moneta”. Dovremmo chiudere il nostro discorso
già qui, perché se è vero che le banche centrali non possono fallire,
vorrebbe dire che le loro passività sono mera scrittura contabile. Non
si capisce perché allora Draghi si faccia forte nell’esigere crediti,
quasi come se la BCE avesse a bilancio sofferenze di non performing
loans e rischiasse di saltare come Banca Etruria o Monte dei Paschi.
Qualcuno a questo punto potrebbe osservare che per la Germania il saldo
Target 2 è in attivo di più di 700 miliardi e che la Bundesbank tiene
depositato quel denaro alla BCE, la quale è debitrice della Banca
Centrale tedesca per 700 e rotti miliardi di euro. Come avrete già
compreso, però, quel denaro è già nel circolo dell’economia tedesca in
mano a risparmiatori e famiglie tedesche.
Perciò quel “debito” è
semplicemente un passaggio contabile tra banche centrali, le quali non
possono fallire. Una volta che l’euro venisse smantellato, la Bundesbank
non andrebbe di certo a bussare alla porta delle famiglie tedesche per
farsi ridare i soldi. Semplicemente potrebbe ricreare riserve in nuova
valuta stampando marchi. Sarebbe comunque un passaggio obbligato visto
che la moneta nuova andrebbe per forza stampata.
Oltretutto, la
fine dell’Euro significherebbe quasi certamente la fine della BCE, a
meno che uno smantellamento controllato della moneta unica prevedesse il
ritorno ad un sistema monetario fittizio tipo ECU che potrebbe
necessitare, almeno temporaneamente, di una banca centrale europea
ancora attiva. Nel primo caso verrebbe a mancare il soggetto
determinante di tutte le transazioni finanziarie e commerciali, per cui
non esisterebbero né più debiti e né più crediti, nel secondo caso la
questione rimarrebbe probabilmente oggetto di negoziato e a quel punto,
servirebbero semplicemente dei bravi negoziatori capaci di non farsi
fregare. Giusto per dirne una, se di squilibri commerciali si tratta,
presumibilmente una volta smantellato il cambio fisso tra Germania e
PIIGS, ci sarà una inversione di rotta e quei “debiti” verranno pian
piano ripagati.
Come abbiamo detto già diverse volte, il nuovo
corso alla Casa Bianca è apparentemente anti-Euro. Non solo Donald Trump
ha fatto precise dichiarazioni di non amare particolarmente la moneta
unica europea e la svalutazione competitiva della Germania, ma gli hanno
fatto eco alcuni suoi collaboratori: il primo, Ted Malloch, professore
alla Henley Business School, consigliere del Presidente USA e papabile
ambasciatore USA in UE, in una intervista rilasciata alla BBC ha detto
testualmente che “l’Euro ha meno di 18 mesi di vita”.
Il secondo,
Peter Navarro, capo del Consiglio per il Commercio di Donald Trump, ha
attaccato la Germania, dichiarando: “Lo squilibrio strutturale degli
scambi che la Germania ha con il resto dell’Ue e con gli Usa riflette
l’eterogeneità economica dell’Ue. Quindi, questo è un accordo
multilaterale mascherato da bilaterale. Un grande ostacolo rispetto al
considerare il Ttip come multilaterale è la Germania, che continua a
sfruttare altri Paesi con quello che è un marco tedesco implicito
fortemente sottovalutato”.
A dar ragione a Peter Navarro non è il
populista di turno, bensì Wolfgang Schäuble che attaccando Draghi ha
detto che l’Euro “è troppo debole per la Germania” e che “la BCE deve
attuare politiche che lavorano per l’Europa nel suo complesso”,
aggiungendo: “Il tasso di cambio dell’Euro è troppo basso per la
competitività della Germania. Quando il capo della BCE ha intrapreso la
politica monetaria espansiva, gli dissi che avrebbe fatto salire il
surplus di esportazione della Germania”.
In realtà, quel che
interessa di più a Schäuble non è tanto il tasso di cambio che
probabilmente continuerebbe volentieri a tenerlo basso, piuttosto è
preoccupato, per la nota fobia che i tedeschi si portano dietro
dall’esperienza di Weimar, dall’aumento dell’inflazione in Germania che a
gennaio a segnato un +1,9%, cifra molto vicina a quel 2% considerato
dalla BCE obiettivo fondamentale del suo Quantitative Easing.
In
pratica Schäuble intima velatamente a Draghi di alzare i tassi e di
ridurre, o magari interrompere, il programma di Quantitative Easing,
perché l’obiettivo del 2% di inflazione, con la complicità della
risalita del prezzo del petrolio, è prossimo a realizzarsi. Cosa importa
a Schäuble se mentre in Germania l’inflazione risale, nel sud Europa
invece l’Italia e gli altri arrancano tra deflazione e zero virgola?
Assolutamente nulla.
Dopo Draghi, Trumpiani e Schäuble, è la
volta di Angela Merkel: a Malta, la Cancelliera tedesca ha fatto delle
dichiarazioni shock: “Abbiamo imparato dalla storia degli ultimi anni
che ci potrebbe essere un’Europa a differenti velocità e che non tutti
parteciperanno ai vari passi dell’integrazione europea. Ritengo che
questo potrebbe essere incluso nella dichiarazione di Roma”, il prossimo
25 marzo quando i 27 Paesi UE decideranno come affrontare il
post-Brexit.
Fate bene attenzione, però, Angela Merkel non ha
parlato espressamente di “Euro a due velocità”, che potrebbe essere il
passo iniziale di uno smantellamento controllato della moneta unica, ma
ha parlato di “Europa a differenti velocità”, che potrebbe sottintendere
un processo di maggior integrazione per i Paesi aderenti alla moneta
unica.
Cosa che per noi potrebbe non essere molto positiva,
perché l’integrazione si farebbe alle regole della Germania: quindi
scordatevi trasferimenti nord-sud e politiche di bilancio espansive. E
se anche Prodi commenta contento che “questa è la risposta che
aspettavo. Finalmente la Germania sembra cominciare ad assumere quel
ruolo di leadership che non aveva mai voluto esercitare”, allora è quasi
certo che si tratti di fregatura.
Tuttavia, gli sviluppi degli
ultimi giorni hanno dato il via a vari riposizionamenti. L’Uscita
dall’Euro non è più un tabù, tanto che i media nazionali hanno dato
particolarmente risalto alla conferenza “Oltre l’Euro” con Alberto
Bagnai, Claudio Borghi, Marco Zanni e moderata da Mario Giordano (potete
vedere il video integrale qui mentre potete scaricare il manuale “Oltre
l’Euro” qui). Per La7, ad esempio, “l’uscita dall’euro ora non è più
suggestione” tanto che “i benefici potrebbero arrivare a 56 miliardi di
Euro”.
Ma è dal fronte banche, alle prese con ricapitalizzazioni e
crediti deteriorati, che i malumori per la moneta unica si fanno
sentire con più forza. Ancora abbastanza catastrofista, tuttavia
possibilista, Unicredit, che ieri ha dato il via ad un massiccio aumento
di capitale da 13 miliardi di Euro che si chiuderà il 10 marzo,
inserisce tra i “fattori di rischio” del maxi aumento elencati dalla
nota di sintesi approvata dalla Consob, vengono citate l’ipotesi di
“uscita di uno stato membro dall’Euro”, le incognite su come potrebbero
essere gestite in questo caso “le attività e passività correnti
denominate in euro” del Paese, ma soprattutto la “disgregazione
dell’area euro”.
Uno studio di Mediobanca riservato ai clienti
più facoltosi rivela che se l’Italia uscisse ora dall’Euro “si
risparmierebbero 8 miliardi”. Questo perché la ridenominazione del
debito pubblico in lire (tramite lex monetae) e il conseguente
deprezzamento della lira “possono supportare una sostanziale
decurtazione del debito e, insieme a una politica monetaria ritornata
sovrana, possono creare le condizioni per un genuino rilancio
dell’economia italiana”.
Lo studio appare molto equilibrato (lo
trovate completo in pdf qui) perché considera il debito pubblico anche a
fronte dell’applicazione delle CACs, clause di azione collettiva,
approvate dal governo Monti nel 2012 (ad ogni guaio c’è sempre lui di
mezzo), le quali a partire dal 1 gennaio 2013, vincolano l’emissione dei
titoli di Stato alla legislazione europea e pertanto una volta usciti
dall’Euro, il debito pubblico di recente emissione rimarrà espresso in
Euro e non verrà convertito. Appare evidente quindi che più si rimanderà
l’uscita e più si ridurranno i benefici della conversione del debito
pubblico.
Intanto continua il tira e molla tra Italia e
Commissione UE sui conti pubblici. La lettera inviata dall’Eurogruppo
all’Italia il 5 dicembre scorso parlava di un buco di 16 miliardi nel
deficit strutturale, mentre la Commissione UE ne chiede per ora soltanto
3,4. Alle minacce di commissariamento, il governo italiano si è messo
in ginocchio ed è pronto a mettere a posto i conti e a trovare i soldi
per il terremoto, aumentando le accise sulla benzina. Siamo uno Stato
fallito, questo è ormai evidente.
Torniamo ora a Mario Draghi.
Accortosi del polverone e delle reazioni che le sue parole sull’Euro
hanno provocato, ieri è tornato sui suoi passi. “L’Euro è irrevocabile” –
ha detto, parlando prima in italiano, poi in inglese. Secondo lui i
trattati non lo prevedono, ma forse dovrebbe lasciare che di questo se
ne occupino i giuristi.
È notizia di queste ore, invece, che per paura di Marine Le Pen, lo spread è risalito sopra i 200 punti base.
Ma noi sappiamo che lo spread sale e costituisce un problema solo se la
Banca Centrale lo permette, perciò sarebbe meglio per Draghi pensare
esclusivamente al suo lavoro.