Il Pil congelato su base trimestrale nel periodo aprile-giugno
costringe il governo Renzi ad andare allo scontro frontale con Bruxelles
sui conti pubblici. Questo perché gli ultimi dati macro che certificano
una crescita anemica della terza economia dell’area euro rendono sempre
più difficile il mantenimento degli impegni presi in materia di rientro
del deficit. Spagna e Portogallo sono state risparmiate, ma questo non
significa che all’Italia verrà consentito di spendere per gli
investimenti come il premier spera.
Anche per questioni di popolarità a sei mesi di tempo dal confronto con l’Unione Europea per ottenere margini di flessibilità sui conti pubblici per il 2016 e un piano di salvataggio per Mps e il settore bancario in crisi, il governo si ritrova punto e a capo. Anziché rispettare gli impegni e ottenere il via libera a circa 13,6 miliardi di deficit ulteriore, Padoan e Renzi sembrano propensi invece a chiedere alla Ue il permesso di sforare ancora una volta.
Rispetto a sei mesi fa molto è cambiato. Oggi infatti le necessità di liquidità e il bisogno di smaltire i crediti deteriorati di Mps – il Tesoro è il primo socio con il 4,02% del capitale – e in seconda battuta di Unicredit sono impellenti. Come spiega bene Il Fatto Quotidiano “in caso di fallimento del complesso piano di salvataggio privato annunciato a fine luglio, per ricapitalizzare la banca sarà necessario un intervento dello Stato con soldi pubblici. Non prima di aver imposto perdite ad azionisti e obbligazionisti subordinati, a meno di non riaprire anche su questo le trattative con i partner europei”.
Governo al bivio, incognita salvataggio Mps
I dati sul pil del secondo trimestre non solo rendono impossibile de facto il raggiungimento dell’obiettivo di crescita dell’1,2% contenuto nel Documento di economia e finanza (Def), ma rendono anche molto più costoso ridurre il rapporto tra deficit e Pil all’1,8% e quello tra debito pubblico e Pil dal 132,7 al 132,4%. È stata la Commissione europea a chiedere di centrate tali obiettivi, come contropartita offerta a maggio in cambio della flessibilità concessa per il 2016, che doveva essere un anno di transizione prima del rilancio economico.
Ma in matematica, si sa, se il denominatore è più basso del previsto, il rapporto tende ad aumentare e per contenerlo servono più risorse. Il debito galoppante salito su nuovi recod si può ridurre in termini assoluti con l’operazione delle privatizzazioni. Ma sul deficit Renzi non si può permettere misure di contenimento. Per farlo andrebbero prelevate risorse alle “misure espansive”, ossia al taglio dell‘Ires, che a questo punto certamente non verrà anticipato, agli incentivi fiscali per investimenti e ricerca – che il governo conta di inserire nella prossima legge di Bilancio.
Il premier e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan sono con le spalle al muro e non resta loro altro da fare che giocare la carta dello scontro frontale. Nel weekend di Ferragosto La Repubblica ha attribuito al premier il seguente concetto cardine delle sue politiche future: “Non saranno dei vincoli europei a mandare l’Italia per la terza volta in recessione”.
La manovra recessiva è fuori discussione. “Abbiamo già ottenuto molta flessibilità, intendiamo chiederne ancora, tutta quella possibile”, ha anticipato il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda a La Stampa, definendo “sbagliata” la decisione dell’Ecofin di concedere solo una volta (e l’Italia le ha appunto ottenute per quest’anno) le attenuanti che aprono la strada asconti sul risanamento.
Salta l’anticipo al 2017 del taglio Irpef
Renzi vorrebbe tutto: mantenere il rapporto tra deficit e Pil intorno al 2,3% anziché ridurlo all’1,8% per poter avere lo spazio di manovra per gli interventi sulle pensioni. La differenza vale circa 8 miliardi, che verrebbero utilizzati per finanziare le voci di uscita della prossima manovra. La Repubblica ieri ha ipotizzato che la cifra possa arrivare fino a 10 miliardi di euro, se il tasso deficit/pil venisse fissato al 2,4%.
Sarebbero soldi importanti per un governo che vista la crescita zero del Pil fatica a trovarne. L’anticipo al 2017 del taglio dell’Irpef (in calendario per il 2018) è sicuramente saltato, perché – come dice anche il Fatto Quotidiano – “anticiparlo non è più proponibile, e si riducono i margini per gli interventi sulle pensioni (anticipo dell’uscita dal lavoro, ampliamento della no tax area e della platea che riceve laquattordicesima, scivolo per i lavoratori precoci e per chi ha svolto mestieri usuranti).
“Quando la crescita rallenta, bisogna parlare meno di misure redistributive sulle pensioni e più di misure fiscali a favore di investimenti e lavoro”, ha avvertito già in passato il viceministro dell’Economia Enrico Zanetti.
Dopo il trilaterale tra Renzi, Hollande e Merkel, i due capi di Stato di Francia e Germania, le prime due potenze economiche e politiche dell’area euro, il governo è attesto a settembre da un negoziato delicato e caldo con l’Ue. Il tutto un paio di mesi prima dell’attesissimo referendum costituzionale che potrebbe decidere il futuro dell’Italia e dell’intera Europa.
Anche per questioni di popolarità a sei mesi di tempo dal confronto con l’Unione Europea per ottenere margini di flessibilità sui conti pubblici per il 2016 e un piano di salvataggio per Mps e il settore bancario in crisi, il governo si ritrova punto e a capo. Anziché rispettare gli impegni e ottenere il via libera a circa 13,6 miliardi di deficit ulteriore, Padoan e Renzi sembrano propensi invece a chiedere alla Ue il permesso di sforare ancora una volta.
Rispetto a sei mesi fa molto è cambiato. Oggi infatti le necessità di liquidità e il bisogno di smaltire i crediti deteriorati di Mps – il Tesoro è il primo socio con il 4,02% del capitale – e in seconda battuta di Unicredit sono impellenti. Come spiega bene Il Fatto Quotidiano “in caso di fallimento del complesso piano di salvataggio privato annunciato a fine luglio, per ricapitalizzare la banca sarà necessario un intervento dello Stato con soldi pubblici. Non prima di aver imposto perdite ad azionisti e obbligazionisti subordinati, a meno di non riaprire anche su questo le trattative con i partner europei”.
Governo al bivio, incognita salvataggio Mps
I dati sul pil del secondo trimestre non solo rendono impossibile de facto il raggiungimento dell’obiettivo di crescita dell’1,2% contenuto nel Documento di economia e finanza (Def), ma rendono anche molto più costoso ridurre il rapporto tra deficit e Pil all’1,8% e quello tra debito pubblico e Pil dal 132,7 al 132,4%. È stata la Commissione europea a chiedere di centrate tali obiettivi, come contropartita offerta a maggio in cambio della flessibilità concessa per il 2016, che doveva essere un anno di transizione prima del rilancio economico.
Ma in matematica, si sa, se il denominatore è più basso del previsto, il rapporto tende ad aumentare e per contenerlo servono più risorse. Il debito galoppante salito su nuovi recod si può ridurre in termini assoluti con l’operazione delle privatizzazioni. Ma sul deficit Renzi non si può permettere misure di contenimento. Per farlo andrebbero prelevate risorse alle “misure espansive”, ossia al taglio dell‘Ires, che a questo punto certamente non verrà anticipato, agli incentivi fiscali per investimenti e ricerca – che il governo conta di inserire nella prossima legge di Bilancio.
Il premier e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan sono con le spalle al muro e non resta loro altro da fare che giocare la carta dello scontro frontale. Nel weekend di Ferragosto La Repubblica ha attribuito al premier il seguente concetto cardine delle sue politiche future: “Non saranno dei vincoli europei a mandare l’Italia per la terza volta in recessione”.
La manovra recessiva è fuori discussione. “Abbiamo già ottenuto molta flessibilità, intendiamo chiederne ancora, tutta quella possibile”, ha anticipato il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda a La Stampa, definendo “sbagliata” la decisione dell’Ecofin di concedere solo una volta (e l’Italia le ha appunto ottenute per quest’anno) le attenuanti che aprono la strada asconti sul risanamento.
Salta l’anticipo al 2017 del taglio Irpef
Renzi vorrebbe tutto: mantenere il rapporto tra deficit e Pil intorno al 2,3% anziché ridurlo all’1,8% per poter avere lo spazio di manovra per gli interventi sulle pensioni. La differenza vale circa 8 miliardi, che verrebbero utilizzati per finanziare le voci di uscita della prossima manovra. La Repubblica ieri ha ipotizzato che la cifra possa arrivare fino a 10 miliardi di euro, se il tasso deficit/pil venisse fissato al 2,4%.
Sarebbero soldi importanti per un governo che vista la crescita zero del Pil fatica a trovarne. L’anticipo al 2017 del taglio dell’Irpef (in calendario per il 2018) è sicuramente saltato, perché – come dice anche il Fatto Quotidiano – “anticiparlo non è più proponibile, e si riducono i margini per gli interventi sulle pensioni (anticipo dell’uscita dal lavoro, ampliamento della no tax area e della platea che riceve laquattordicesima, scivolo per i lavoratori precoci e per chi ha svolto mestieri usuranti).
“Quando la crescita rallenta, bisogna parlare meno di misure redistributive sulle pensioni e più di misure fiscali a favore di investimenti e lavoro”, ha avvertito già in passato il viceministro dell’Economia Enrico Zanetti.
Dopo il trilaterale tra Renzi, Hollande e Merkel, i due capi di Stato di Francia e Germania, le prime due potenze economiche e politiche dell’area euro, il governo è attesto a settembre da un negoziato delicato e caldo con l’Ue. Il tutto un paio di mesi prima dell’attesissimo referendum costituzionale che potrebbe decidere il futuro dell’Italia e dell’intera Europa.
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