Al vertice del G20 di Brisbane, Matteo Renzi
ha dimostrato ancora una volta quali sono i suoi santi in paradiso e i
suoi referenti politici in campo internazionale. Dopo aver criticato
(giustamente, diciamo noi, ma non è
stato un grande sforzo) la politica dell'austerità in Europa (imposta
dalla Germania) come causa di una recessione che non tende a finire,
anzi sta peggiorando, l'ex boy scout ha operato un gioco di sponda
appoggiandosi agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna. Due Paesi che non
possono che vedere con piacere le difficoltà europee e le crepe sempre
più larghe che si intravedono nell'edificio, già di per sé barcollante,
dell'euro. “L'Italia farà la sue parte, realizzerà le riforme – ha
assicurato - ma l'Europa deve cambiare passo. Senza crescita – ha
sostenuto - non c'è stabilità finanziaria che tenga”. In altri termini,
il capo del governo ha voluto rinnovare gli attacchi alla burocrazia di
Bruxelles e al presidente della Commissione, il lussemburghese Jean
Claude Juncker, che si ostinano a voler applicare alla lettera, senza
valutarne le conseguenze, i principi stabiliti dal Patto europeo di
Stabilità (e crescita). In primo luogo l'azzeramento del disavanzo entro
il 2017 e la riduzione progressiva del debito pubblico al 60%. Nell'uno
e nell'altro caso, nella realtà italiana, sono obiettivi praticamente
impossibili da raggiungere e lo dimostrano le resistenze feroci che
Renzi ha incontrato all'interno dello stesso PD per attuare quella
revisione e razionalizzazione della spesa che i suoi amici anglofoni
chiamano “spending review”. Così non si può andare avanti, ha insistito
l'ex sindaco. Ci vuole più elasticità da parte della Commissione. E
ovviamente dalla Germania che guida le danze in Europa e che se lo può
pure permettere. Ci vuole una politica più espansiva. Una politica di
tipo “keynesiano”. Grandi lavori pubblici che fungano da volano (grazie
ad un effetto moltiplicatore) per gli investimenti pubblici e privati.
In tal modo, l'economia potrà riavviarsi e l'occupazione potrà risalire.
L'importo di tali lavori, ha continuato Renzi, riciclando una idea che
fu di Tremonti, non dovrà essere calcolato nell'importo del disavanzo.
Una idea giusta in teoria ma alla quale purtroppo, rimanendo nell'ottica
del Patto di Stabilità e della difesa dell'euro, la Germania e la
Commissione europea hanno risposto finora picche. E questo per due
motivi. E tutti e due che interessano la realtà italiana. Il primo è che
il debito italiano è al 135% del Pil (ai tempi di Berlusconi, novembre
2011, era al 120%) e di conseguenza la richiesta è suonata come quella
di una concessione a continuare nella spesa facile. La seconda è che la
realizzazione dei lavori pubblici in Italia rappresenta una autentica
barzelletta. Come dimostrano i casi della Salerno-Reggio Calabria e
dell'Expo di Milano, con lungaggini ignobili, pagamento di mazzette e
gonfiamento di costi oltre ogni decenza. Oltre alle infiltrazioni di
imprese legate alla Mafia, alla Ndrangheta e alla Camorra. Dovete
tagliare la spesa pubblica, ci dicono da Berlino e Bruxelles e con i
soldi risparmiati potrete fare gli investimenti pubblici dei quali avete
bisogno per ripartire. Facile a dirsi, molto meno facile a farlo. Con
le resistenze che il governo sta incontrando sulla sua strada per
attuare la cosiddetta “spending review”, si tratta di una impresa
proibitiva. Del resto dicono, la culona tedesca e il suo fido Juncker, è
l'Italia ad aver scelto di firmare il Patto di Stabilità. E' l'Italia
che ha scelto di stare nell'euro (anche se Prodi che stabilì un rapporto
di cambio lira-euro semplicemente demenziale che ha massacrato
l'economia italiana). Di conseguenza, cosa volete. Un ragionamento
ineccepibile quello dei crucchi e dei tecnocrati di Bruxelles ma che fa
però a pugni con la realtà di una economia europea ed italiana che sta
collassando e per salvare la quale non basta e non basterà la
trasformazione del mercato del lavoro all'insegna del precariato e della
flessibilità. La maggiore competitività che ne dovrebbe derivare è
l'obiettivo dichiarato. Ma è un traguardo che passa dal sempre maggiore
impoverimento dei lavoratori europei ed italiani, costretti a competere
con gli stipendi dei colleghi cinesi che sono otto volte minori dei
nostri. E' il Libero Mercato, ragazzi. Il Mercato Globale. Renzi si è
impegnato a realizzare tale trasformazione ma gli ostacoli che sta
incontrando dimostrano che in Italia c'è ancora qualcuno che tiene ad un
minimo di decenza. Osteggiato in Europa, a Renzi non è restato che
invocare appoggio al G20 da parte di Gran Bretagna ed Usa, due Paesi che
hanno basato la loro ripresa economica sull'aumento della liquidità in
circolazione. In altre parole ad una barca di soldi messi a disposizione
delle banche e quindi degli ambienti finanziari. Ma ovviamente meno
soldi a disposizione dell'economia reale, ossia delle famiglie e delle
imprese. Un appoggio quello anglofono che per Renzi può trasformarsi in
un boomerang, isolandolo ancora di più in Europa. Ma anche in Italia,
dove i sondaggi parlano di un crollo delle intenzioni di voto dal 41%
delle europee all'attuale 30%. Semmai è paradossale che Renzi abbia
scelto il G20 per andare all'attacco. Quel G20 indetto per discutere di
evasione ed elusione fiscale. Le quali, è sempre bene tenerlo presente,
hanno come propri principali centri mondiali non già il Lussemburgo di
Juncker ma le isole di Jersey e Guernsey nella Manica, sotto sovranità
britannica. E le Cayman nei Caraibi, giuridicamente sotto controllo di
Londra ma dove Washington fa sentire tutto il suo peso. Dal che ne
deriva che i paradisi fiscali fanno comodo a tutti. Tanto per dirne una
alle compagnie petrolifere Usa ed inglesi che, grazie ai fondi neri là
parcheggiati, pagano tranquillamente tangenti ai governi dei Paesi dove
operano, senza avere, a differenza dell'Eni, magistrati che non
conoscono il mondo e che si svegliano la mattina con l'idea di dare vita
ad una nuova Mani Pulite.
Nessun commento:
Posta un commento