lunedì 17 febbraio 2014

LA SCALATA AL POTERE DI RENZI

Non aspirava alla politica del palazzo lui. Lo ha detto più volte. Ama fare politica in mezzo alla gente e soprattutto ama parlare. E’ un chiacchierone Matteo Renzi. Lontano da quella politica stantia di Montecitorio. No, lui è di un’altra pasta. E’ una macchinetta da campagna elettorale, uno che ha lavorato persino alla legge elettorale al posto del Parlamento. Che importa se, in quel momento, il suo posto era a Palazzo della Signoria, a Firenze.
Si stava bene li: badava agli interessi della città e, ogni tanto, siccome è anche telegenico, rilasciava anche qualche intervista in tv parlando però, della politica di un intero paese. Renzi è stato visto come il guru della politica di palazzo: lui, un piccolo sindaco che però aveva parola su tutto. E non uno che si fosse chiesto “perchè”? Perchè proprio lui, il Sindaco di Firenze?
Però aveva un vantaggio: lui era simpatico. Con quell’accento fiorentino, con quella moglie precaria della scuola. Che importa se la sua famiglia ha, di fatto, in mano gran parte dell’editoria della regione Toscana. Matteo è uno del popolo, sa come parlare al popolo e quindi preferisce la politica delle piazze. Poi, per una serie di strane “coincidenze” diventa premier. Certo non ci sarebbe riuscito se non avesse fatto una serie di mosse strategiche: prima diventa segretario del PD, poi elabora la legge elettorale e così campeggia in prima pagina per circa due settimane, poi riesce a portare dalla sua perfino Re Giorgio e fa scacco matto al delfino Letta proprio il giorno di San Valentino. That’s amore…
Al Vaticano la mossa del pupo non è piaciuta nemmeno un pò. All’Osservatore Romano e ad Avvenire il teatrino con cui ha architettato il Requiem del premier Enrico Letta non è piaciuta. Certo questo storcere il naso da parte del Vaticano Renzi non lo aveva previsto: proprio lui, quello che a Firenze aveva creato il “cimitero dei feti”. Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, è molto più duro nel suo giudizio: “Non si licenzia un premier per mettere in croce un Paese intero, per disarmare al buio una maggioranza di scopo tra distinti e anche (molto) distanti, per azzardare … una scommessa elettorale”.
Ma oggi arriva la confessione. Lui non voleva. Non avrebbe mai voluto diventare premier così, senza affrontare indomito il pericolo di una sconfitta. Anche perchè Matteo sapeva che avrebbe preso milioni di voti e avrebbe battuto la destra. Quella stessa destra con cui lui spesso ha dialogato in circostanze anche inopportune: nel 2010 andò ad Arcore e l’Italia gridò “ce ne ricorderemo”. Nel 2014 è andato a proporre al condannato Silvio Berlusconi la sua legge elettorale che non teneva minimamente conto della sentenza della Consulta che aveva già bocciato il “premio di maggioranza” intimando i legislatori di spingere verso il proporzionale. No, la proposta di Renzi è molto diversa. Ridurre il numero di parlamentari e “abbassare”, solo “abbassare” le percentuali del premio di maggioranza. Ci riesce, grazie al dialogo con la destra, grazie alle “larghe intese, al dialogo politico”, quello che Renzi ha sempre sostenuto. Poi toh, arriva la pugnalata di San Valentino che rottama il terzo premier nel giro di 3 anni. Ha ragione Marco Travaglio: “Nerone è ancora vivo”. Ma è solo una coincidenza se il pupo diventa Presidente del Consiglio…

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