martedì 19 maggio 2020

Il dittatore dello stato libero di Repubblica

Cadono le foglie di fico e si vede tutto. C’è proprio poco, diciamolo subito!
Sotto le giaculatorie sulla “libertà di stampa”, in un Paese in cui ben pochi giornali – in genere molto minori – sono in mano a “editori puri” (imprenditori che fanno dell’editoria il proprio business principale, in termini di fatturato e ricavi), si cela una realtà servile piuttosto squallida.
La situazione è peggiorata – anche se non sembrava possibile – con il doppio salto mortale della proprietà di Repubblica-L’Espresso e La Stampa. Con Debenedetti – da una vita proprietario del giornale fondato da Eugenio Scalfari – che prima compra il quotidiano torinese da sempre proprietà della famiglia Agnelli, poi (sotto la pressione dei figli) rivende tutto… agli Agnelli.
I quali, con la classe che li contraddistingue da sempre, cambiano il direttore di Repubblica, Carlo Verdelli, proprio nel giorno della mobilitazione nazionale in suo favore, minacciato più volte da fascisti rimasti fin qui sconosciuti (bisogna ammettere che la vista della polizia italiana è su questo fronte particolarmente deficitaria…).
Se uno fosse un po’ dietrologo potrebbe sospettare che la sostituzione sia arrivata a coronamento di un’operazione piuttosto spericolata.
Ma lasciamo perdere le malignità, anche se fondate su “coincidenze oggettive”…
John Elkann, principale erede dell’impero dell’Avvocato, mette al suo posto Maurizio Molinari, che fino a quel giorno aveva diretto il quotidiano torinese. Mentre a La Stampa approda Massimo Giannini, onnipresente prezzemolino televisivo del neoliberismo redazionale, cresciuto e allevato proprio a Repubblica. Deve essere una garanzia di fedeltà, crediamo…
Personaggio parecchio controverso anche Molinari, con una vita trascorsa a fare l’inviato in Israele e negli Stati Uniti, senza che nessuno abbia mai potuto registrare un qualche timido accenno di critica verso le politiche di quei due Paesi. E dire che non sarebbero mai mancati fondati motivi…
Anche qui le voci di redazione, da una vita, lo avvicinano ripetutamente al Mossad o alla Cia, con più insistenza sulla prima “ditta”. Ma sono certamente malignità, sapete come sono fatti i giornalisti…
Comunque sia, in un solo mese Molinari ha ridisegnato Repubblica – un giornale di destra liberista, iper-establishment fighettoso, per motivi incomprensibili catalogato tra la “stampa di sinistra” (forse in omaggio a quando L’Espresso bastonava il potere democrisiano, invece di fargli da palo come negli ultimi 40 anni…) – in un fogliaccio para-trumpiano, anti-cinese e anti-russo (lo era anche prima, ma con toni un po’ meno da Pentagono…) e naturalmente confindustriale in stile Assolombarda.
Il tutto in nome della “difesa della democrazia” e della “libertà di stampa”.
Poi accade che ci sia quella scabrosa notizia della Fiat-Fca che, non riuscendo a convincere Banca Intesa – sua storica fiancheggiatrice torinese – a prestarle 6,3 miliardi di euro, si fa venire la brilante idea di chiedere allo Stato italiano di farle da “garante”.
Non serve essere degli economisti sofisticati per capire che significa. Se la Fiat-Fca non dovesse essere in grado di restituire quei soldi a Banca Intesa – cosa quasi certa, visto il precipizio in cui è sprofondato il mercato automobilistico con la pandemia – a Banca Intesa glieli daremo noi. I contribuenti che pagano le tasse (Fiat non lo fa più, ha messo la sede fiscale in Olanda…).
Una sfrontatezza un po’ eccessiva anche per i navigati giornalisti di Repubblica, che si riuniscono in assemblea e approvano un comunicato critico su come il loro giornale sta affrontando il tema (un classico caso di “conflitto di interessi” giornalistico, tra verità e business padronale).
Il Comitato di Redazione (la struttura sindacale) ne chiede la pubblicazione, come previsto dal contratto di lavoro (quello dei giornalisti è un po’ più garantista di quello metalmeccanico o dei braccianti…).
E Molinari mostra la vera faccia della “democrazia” in Uso a Tel Aviv o Washington. E si rifiuta di pubblicarlo.
Punto.
Non si critica il padrone, ma dove vi credete di essere…

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