Tutto come previsto. E non era difficile, perché nella definizione delle regole l’Unione Europea funziona sempre nello stesso modo. Negativo, ci mancherebbe…
Ricorderete la pesante questione del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes, o Esm secondo l’acronimo in inglese), su cui abbiamo scritto molte volte è che è stato al centro anche di iniziative di piazza. I governi europei si erano accordati per “riformarlo”, accrescendo enormemente i poteri del suo managing director (il falco tedesco Klaus Regling), fino al punto da sanzionare di fatto interi Stati senza alcun passaggio politico.
Tutto è nato dalla necessità di varare una più “efficiente” regolamentazione dei salvataggi bancari,
cui ogni governo nazionale ha provveduto fin qui in modo completamente
autonomo (i tedeschi, ovviamente) oppure secondo regole suicide (il bail in che ha danneggiato pesantemente azionisti, obbligazionisti e persino normali correntisti di istituti ciprioti, italiani, ecc).
Cuore della “riforma” è la valutazione da dare ai titoli di Stato
posseduti dalle banche. Ed è chiaro che se si giudica “pericoloso” un
titolo di debito emesso da uno Stato questo significa dare un giudizio
pesantemente negativo sia sulla stabilità finanziaria di quel paese, sia
sulla bontà degli asset di una banca privata. E non si tratta di un
giudizio “tecnico”, anche se viene dipinto così, ma din un giudizio politico che espone interi paesi e sistemi bancari all’assalto della speculazione finanziaria.
In questo mondo di lupi, se si afferma per via istituzionale
che un certo soggetto è “debole”, si dà il via all’assalto della preda.
Non c’è possibilità di fregarsene (“è roba che riguarda lo Stato e le
banche”), perché in questo Paese ci viviamo noi, e tra l’altra siamo
anche tutti – perlomeno chi lavora – “clienti” di una banca.
Ricostruita la storia, veniamo alla notizia di questi giorni.
Il presidente dell’Eurogruppo, Mario Centeno,
lo scorso 30 gennaio, ha inviato una lettera per informare il Consiglio
Ue e tutti i premier nazionali che i lavori sul “nuovo Mes” si
concluderanno «entro marzo». Specificando che l’unico tema ancora aperto
riguarda i “meccanismi di ponderazione delle clausole collettive” (le
Cacs single limb, su cui il governo Conte aveva preannunciato delle
proposte di modifica). Per il resto, sostanzialmente, nulla verrà
modificato.
Come si vede, la spinosissima questione della valutazione dei titoli di Stato è fuori dalle possibilità di revisione.
Vero
è che lo stesso Centeno rinvia a successive discussioni aspetti
importanti dell’Unione bancaria e del “meccanismo di ponderazione dei
rischi”, ma questo riguarderà quasi soltanto le modalità di applicazione
delle nuove regole, non i criteri fondanti.
In
pratica, “l’accordo è chiuso”, sulla base di quanto stabilito nel
dicmbre 2018, confermato poi nelle riunioni del giugno 2019 e infine del
dicembre scorso. Le promesse fatte in Parlamento da Giuseppe Conte e dal ministro dell’economia Gualtieri
(che si presenta fra l’altro alle elezioni suppletive nel collegio 1 di
Roma, con il Pd, per sostituire il neo-commissario europeo Paolo
Gentiloni), di attivarsi in sede europea per “rivedere il Salva-Stati in
una «logica di pacchetto», sono carta straccia.
Il che aprirebbe un problema politico in un Paese serio, con una classe dirigente credibile. Non in questo.
Ieri,
alla Camera, la Lega ha inscenato una farsa con tanto di striscione
(“dal pacchetto al pacco”, come peraltro titolato da diversi quotidiani
economici specializzati), cercando di far dimenticare che era al governo
– e dunque corresponsabile – quando l’accordo politico sul Mes è stato
raggiunto (dicembre 2018 e giugno 2019). Ma questo conferma solo
l’assoluta identità di fondo tra Lega e Pd (i Cinque
Stelle non sembravano aver capito la gravità del Mes né prima, né ora),
entrambi più che sottoposti alla “sovranità europea”, al di là delle
parole.
Le
parti che restano da discutere nella Ue sono davvero di ordine
“tecnico” e relative alla sola Unione bancaria, come ricordano su StartMag.
1)
Completamento dei fondi nazionali di garanzia dei depositi e graduale
costituzione di un fondo comune di garanzia dei depositi.
2)
Incentivare le banche a ridurre il rischio di concentrazione dei titoli
governativi, attraverso la graduale introduzione della contribuzione al
fondo in base al livello di rischio che tenga conto anche del livello
di concentrazione di questi titoli. Graduale introduzione di un costo
per l’eccessiva concentrazione di debito sovrano.
3) Gestione delle crisi bancarie: miglioramento degli strumenti esistenti ed introduzione di nuovi.
4) Potenziare l’integrazione transfrontaliera delle banche.
A
nessuno che conosca i mercati può sfuggire che “Incentivare le banche a
ridurre il rischio di concentrazione dei titoli governativi” significa
spingerle a vendere quei titoli, provocando uno tsunami sulle successive
aste (per “piazzare” Btp, Bot, Cct, ecc, bisognerà accettare riduziojni
di prezzo e aumento dei rendimenti, con aggravio pesante degli
interessi da pagare e quindi aumento del debito pubblico negli anni a
venire).
Un
saccheggio organizzato, di fatto, che il direttore del Mes Klaus
Regling (e i successori) potranno scatenare quando vorranno, senza dover
ascoltare né capi di Stato, né premier. E tra le potenziali “prede”
l’Italia è certamente il boccone più succulento… Di sicuro, quella il
cui Parlamento neanche immagina cosa va maturando nelle trattative
europee fin quando “la partita è chiusa” e immodificabile.
Come i predecessori – tutti, Salvini compreso – Conte e Gualtieri hanno obbedito a Bruxelles mentre in Parlamento garantivano che “si sarebbero battuti come leoni”.
Ma tranquilli… E’ “per il nostro bene”…
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