Nulla come le emergenze
vere, quelle che mettono a rischio reale un’intera popolazione,
dimostrano l’ottusità criminale di un sistema basato sull’interesse e il
profitto privato.
Iniziava
così un nostro fortunato – come numero di letture – articolo di qualche
giorno fa. Oggi, mentre infuriano le polemiche tra Stato centrale (il
governo) e Regioni su di chi siano responsabilità e competenze
specifiche nell’affrontamento dell’epidemia da coronavirus, possiamo
aggiungere alcuni tasselli ulteriori.
La “legislazione concorrente Stato-Regioni”
Questa
autentica idiozia è stata infilata a forza (a maggioranza semplice)
nella Costituzione nel 2001 da un governo in scadenza, di marca Pd,
nella delirante convinzione che questo sarebbe servito a contenere le
“spinte federaliste” espresse dalla Lega. Naturalmente avvenne
l’opposto, perché un assetto istituzionale “leghista” secerne per sua
natura “pensiero leghista”, col suo semplice funzionamento quotidiano.
La
lista delle “competenze” su cui la legislazione regionale poteva
“concorrere” con quella nazionale è sterminata, ma soprattutto riguarda
temi strategici per un sistema-paese che mai e poi mai dovrebbero essere resi “discrezionali”. Si va, infatti, dai rapporti internazionali e con l’Unione europea al commercio
con l’estero alla tutela e sicurezza del lavoro; dall’istruzione alle
professioni; dalla “ricerca scientifica e tecnologica e sostegno
all’innovazione per i settori produttivi” alla tutela della salute. Ecc.
Non solleviamo qui il problema, caro alla “sinistra astratta”, dei diritti
che vengono in questo modo resi diseguali a seconda del territorio in
cui si vive e del tipo di maggioranza politica che si crea. E’ un tema
importante, certamente, ma di fronte a un’epidemia (per sua natura senza
confini) questa “differenziazione” nella gestione della salute pubblica semplicemente non funziona. E siccome in questi casi bisogna preoccuparsi soprattutto dell’efficacia dell’azione di contenimento, è chiaro che lo schema dell’”autonomia differenziata” va contro la possibilità di ottenere un successo rapido.
Non
c’è bisogno di essere fini strateghi militari per intuire che di fronte
a un “nemico comune” – persino se esagerato fino alla psicosi, come in
questo caso – c’è bisogno di una direzione unitaria, mentre le bande locali possono al massimo dare una mano, subordinandosi.
Un
pilastro di tutta la “politica” degli ultimi trenta anni si dimostra
così di cartapesta. Non solo una “credenza da creduloni”, ma un danno per tutta la popolazione.
La privatizzazione della sanità
Nel
corso di questi 30 anni, la sanità pubblica ha subito almeno un doppio
attacco. Dall’alto, le “prescrizioni” dell’Unione Europea imponevano
tagli progressivamente più ampi alla spesa pubblica in generale. E la
sanità, insieme a pensioni ed istruzione (e spese militari… ma queste
sembrano sempre intoccabili), costituisce una delle voci di spesa in
proporzione maggiore.
Il quarto
Rapporto della Fondazione Gimbe sulla Sostenibilità dell’Ssn,
presentato in Senato nel giugno dello scorso anno, è impietoso. “Nel
periodo 2010-2019 sono stati sottratti al Ssn 37 miliardi e,
parallelamente, l’incremento del fabbisogno sanitario nazionale è
cresciuto di quasi 9 miliardi“, con una differenza di 28 miliardi e “con una media annua di crescita dello 0,9%, insufficiente anche solo a pareggiare l’inflazione (+1,07%)“.
Il governo era ancora quello gialloverde, con la Lega al comando mediatico. Il DEF 2019 di quel governo, valido tuttora, riduce
il rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6% nel 2019-2020 al 6,5% nel 2021
e 6,4% nel 2022, mentre l’aumento di 8,5 mld in tre anni previsto dalla
Legge di Bilancio 2019 è subordinato alle “ardite previsioni di crescita“. E quindi non ci sarà…
Minori
risorse, da che mondo è mondo, significano minori prestazioni per la
popolazione. E infatti molti ospedali territoriali sono stati chiusi o
depotenziati (in alcune regioni, a partire proprio dalla Lombardia, la
chiusura di reparti maternità obbliga le gestanti a lunghi viaggi per I
controlli pre-parto e a corse disperate, e pericolose, al momento delle
doglie; oppure al ricorso sistematico al cesareo, che “valorizza” il
team che lo esegue).
I
lavoratori della sanità non vedono un adeguamento salariale vero da
tempo immemore. I turni di lavoro sono fuori dalle possibilità umane e
soprattutto contrari alla sicurezza per i pazienti (medici e infermieri
stremati non possono garantire I normali livelli di assistenza).
Peggio
ancora. Molte delle risorse destinate alla salute, proprio grazie al
meccanismo della “regionalizzazione” o “autonomia differenziata”,
vengono dirottate dalla sanità pubblica a quella privata. Come
finanziamento diretto o tramite il meccanismo delle “convenzioni” (che
coinvolge in pratica gran parte della diagnostica).
Il
problema è che questo sistema sempre più privatizzato, utilissimo a chi
– i Debenedetti, gli Angelucci (il padrone di quel fogliaccio ignobile
di Libero), ecc – vuole realizzare facili “plusvalenze” con le cliniche private, è un suicidio in caso di epidemia.
Il “privato” infatti non vede ragione di essere coinvolto nella tutela della salute pubblica; anzi…
E
il “pubblico” si trova ad affrontare “la guerra” da solo, con forze
ridotte, richieste moltiplicate, rischi maggiori, soldi in meno.
Il caso della sanità lombarda
Protagonista
assoluto della privatizzazione regionalizzata, fino a diventarne
l’esempio da replicare in ogni dove, è stato Roberto Formigoni, per ben quattro volte presidente della Lombardia. Poi giustamente arrestato e condannato in via definitiva a 5 anni e 10 mesi di reclusione per corruzione, in concorso con Pierangelo Daccò, Antonio Simone, Umberto Maugeri e Costantino Passerino, poi anche per associazione a delinquere.
I giudici, in un momento di bontà, lo hanno definito “capo di un gruppo criminale” responsabile di corruzione sistemica durata 10 anni in cui sono stati sperperati 70 milioni di denaro pubblico. Tutto ai danni della sanità pubblica lombarda, nel frattempo ridisegnata in modo totalmente favorevole al business privato.
Ma
sulla situazione attuale della sanità lombarda – per la cui difesa oggi
il presidente regionale Fontana (leghista, naturalmente) si infervora
di fronte ai banali rilievi di Giuseppe Conte (“c’è
stato un focolaio e di lì si è diffusa anche per una gestione di una
struttura ospedaliera non del tutto propria secondo i protocolli
prudenti che si raccomandano in questi casi, e questo ha contribuito
alla diffusione”,
ovvero da Codogno) – lasciamo volentieri la parola a un sindacalista
del settore. Avrete molti dettagli, uno più importante dell’altro. Non
stranamente è dell’Usb, non di CgilCislUil…
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