Il programma dell’Unione Europea per l’Italia è semplice. Soprattutto
non molto diverso da quello riservato alla Grecia. Impoverire seccamente
la maggior parte della popolazione, deprezzare gli asset del paese
(dalle imprese pubbliche da privatizzare fino alle proprietà delle
famiglie), in modo da aprire autostrade preferenziali per un capitale
multinazionale sempre più a corto di buone occasioni di profitto o,
meglio ancora, di plusvalenza.
La chiave di volta per realizzare questo obiettivo davvero impopolare è la “riduzione del debito pubblico” in combinato disposto con l’obbligo di raggiungere il pareggio di bilancio (ormai inserito come articolo della Costituzione).
Ogni governo “europeista” si muove dentro queste forche caudine, vincolato alla ricerca delle risorse necessarie a ridurre il debito e dunque a non seguire alcuna strada che possa portare alla crescita economica (investimenti pubblici non solo infrastrutturali, nella storia delle economie mondiali).
L’obiettivo di trovare nuove risorse si scontra frontalmente con una tassazione già al imite – se non oltre – del blocco delle attività economiche capitalistiche. Tassazione diretta (sul reddito delle famiglie e delle imprese) e tassazione indiretta (Iva, accise su carburanti e altri generi, ecc) sono difficilmente aumentabili senza provocare scontri sociali difficili da gestire, costosi da affrontare, comunque politicamente destabilizzanti.
L’unica via – privatizzazioni a parte, anche queste oramai sull’orlo dell’esaurimento – è quella delle “riforme”, parola diventata ormai sinonimo di fregatura assicurata. E quanto più è tecnicamente complicata una “riforma”, tanto più diventa facile farla passare senza grossi scontri sociali, confidando sul fatto che gli effetti saranno percepiti a distanza di tempo; ossia quando l’attenzione generale sarà attratta da altri problemi.
Cosa sta preparando, ora, il governo Gentiloni, per reperire risorse aggiuntive? Tra le tante spunta oramai con decisione la “riforma del catasto”. Opera immensa, che sarebbe peraltro effettivamente necessaria per rimuovere alcune “felici” (per pochissimi) incongruenze tra valore catastale e calore di mercato. L’esempio classico sono vecchie case ristruttrate nei centri storici oppure i ruderi di campagna trasformati in megaville con piscina e maneggio, mantenendo la vecchia qualifica catastale di “rustico agricolo”. Con relativa tassazione ai minimi termini anche in caso che siano usate come seconda casa.
Naturalmente, tutto dipende dai criteri con cui affrontare il problema. L’ipotesi su cui Pier Carlo Padoan, ministro dell’economia, ha messo al lavoro una squadra di tecnici è quella classica, avanzata e poi ritirata da anni (per puro calcolo elettorale): passare dal calcolo basato sul numero dei vani a quello sui metri quadri e i valori di mercato. Non serve un esperto di proiezioni statistiche per capire che in questo passaggio si nasconde un innalzamento verticale dei valori catastali che andrà a colpire tutte le abitazioni (60 milioni), tranne pochi casi particolarissimi.
Il ministro Padoan, con notevole improntitudine, spiega che il “saldo finale” sarebbe praticamente uguale a quello attuale. Ma se fosse vero questa operazione sarebbe completamente inutile, anzi costosa (il passaggio richiede comunque personale adeguato per realizzarlo in tempi rapidi). Dunque è la solita menzogna di un governo-fotocopia, che mantiene l’essenza dello stile renziano sotto vesti meno sbrasone e insopportabili.
Sbaglierebbe chi pensa che questo aumento verticale della tassazione sulla casa sia un “problema dei ricchi”, perché i proprietari immobiliari in Italia sono 20 milioni (capifamiglia, si dice). Bisogna ricordare infatti che soltanto qui una classe politica ignobile e asservita ai palazzinari – vero perno della pseudo-borghesia nazionale – ha rinunciato all’edilizia popolare (al momento appena il 2% del totale, mentre in Germania e Francia sfiora il 40) costringendo soprattutto i lavoratori dipendenti ad indebitarsi per comprare l’abitazione in cui vivere, con mutui pluridecennali a tassi esorbitanti (in modo da beneficiare anche le banche, ci mancherebbe!).
Il risultato è che oltre il 70% delle famiglie vive in una casa di proprietà (spesso ipotecata, certo). Quindi la “riforma del catasto” è problema che riguarda la stragrande maggioranza della popolazione, non soltanto i ceti più abbienti (e numericamente sempre meno estesi).
E sarebbe sbagliato persino pensare che un’operazione del genere si limiterebbe a “spremere” un po’ di tasse in più, senza altre conseguenze. Già ora, infatti, le spese relative all’abitazione sono un lusso per un numero crescente di persone (per esempio: nella sola Firenze è stata di recente registrata un’evasione sulle spese condominiali pari al 28%), così come va crescendo la morosità sui mutui e quindi l'espropriazione dei titolari a favore delle banche.
Un’ulteriore, violenta, impennata della tassazione – il valore catastale dell’immobile pesa su Imu, Tasi e Isee – non potrebbe che stimolare una massiccia ondata di vendite sul mercato, magari solo per un banale calcolo economico (vendere per comprare una casa più piccola). E quindi un deprezzamento altrettanto violento del patrimonio immobiliare, già crollato di oltre il 20% rispetto all’inizio della crisi economica e finanziaria attuale. Le stime della Banca d’Italia in proposito sono chiarissime: il valore totale del patrimonio immobiliare in mano alle famiglie è passato dai 5.300 miliardi del 2011 agli attuali 4.300.
Uno scenario appetitoso per chi vuol far soldi facili…
La chiave di volta per realizzare questo obiettivo davvero impopolare è la “riduzione del debito pubblico” in combinato disposto con l’obbligo di raggiungere il pareggio di bilancio (ormai inserito come articolo della Costituzione).
Ogni governo “europeista” si muove dentro queste forche caudine, vincolato alla ricerca delle risorse necessarie a ridurre il debito e dunque a non seguire alcuna strada che possa portare alla crescita economica (investimenti pubblici non solo infrastrutturali, nella storia delle economie mondiali).
L’obiettivo di trovare nuove risorse si scontra frontalmente con una tassazione già al imite – se non oltre – del blocco delle attività economiche capitalistiche. Tassazione diretta (sul reddito delle famiglie e delle imprese) e tassazione indiretta (Iva, accise su carburanti e altri generi, ecc) sono difficilmente aumentabili senza provocare scontri sociali difficili da gestire, costosi da affrontare, comunque politicamente destabilizzanti.
L’unica via – privatizzazioni a parte, anche queste oramai sull’orlo dell’esaurimento – è quella delle “riforme”, parola diventata ormai sinonimo di fregatura assicurata. E quanto più è tecnicamente complicata una “riforma”, tanto più diventa facile farla passare senza grossi scontri sociali, confidando sul fatto che gli effetti saranno percepiti a distanza di tempo; ossia quando l’attenzione generale sarà attratta da altri problemi.
Cosa sta preparando, ora, il governo Gentiloni, per reperire risorse aggiuntive? Tra le tante spunta oramai con decisione la “riforma del catasto”. Opera immensa, che sarebbe peraltro effettivamente necessaria per rimuovere alcune “felici” (per pochissimi) incongruenze tra valore catastale e calore di mercato. L’esempio classico sono vecchie case ristruttrate nei centri storici oppure i ruderi di campagna trasformati in megaville con piscina e maneggio, mantenendo la vecchia qualifica catastale di “rustico agricolo”. Con relativa tassazione ai minimi termini anche in caso che siano usate come seconda casa.
Naturalmente, tutto dipende dai criteri con cui affrontare il problema. L’ipotesi su cui Pier Carlo Padoan, ministro dell’economia, ha messo al lavoro una squadra di tecnici è quella classica, avanzata e poi ritirata da anni (per puro calcolo elettorale): passare dal calcolo basato sul numero dei vani a quello sui metri quadri e i valori di mercato. Non serve un esperto di proiezioni statistiche per capire che in questo passaggio si nasconde un innalzamento verticale dei valori catastali che andrà a colpire tutte le abitazioni (60 milioni), tranne pochi casi particolarissimi.
Il ministro Padoan, con notevole improntitudine, spiega che il “saldo finale” sarebbe praticamente uguale a quello attuale. Ma se fosse vero questa operazione sarebbe completamente inutile, anzi costosa (il passaggio richiede comunque personale adeguato per realizzarlo in tempi rapidi). Dunque è la solita menzogna di un governo-fotocopia, che mantiene l’essenza dello stile renziano sotto vesti meno sbrasone e insopportabili.
Sbaglierebbe chi pensa che questo aumento verticale della tassazione sulla casa sia un “problema dei ricchi”, perché i proprietari immobiliari in Italia sono 20 milioni (capifamiglia, si dice). Bisogna ricordare infatti che soltanto qui una classe politica ignobile e asservita ai palazzinari – vero perno della pseudo-borghesia nazionale – ha rinunciato all’edilizia popolare (al momento appena il 2% del totale, mentre in Germania e Francia sfiora il 40) costringendo soprattutto i lavoratori dipendenti ad indebitarsi per comprare l’abitazione in cui vivere, con mutui pluridecennali a tassi esorbitanti (in modo da beneficiare anche le banche, ci mancherebbe!).
Il risultato è che oltre il 70% delle famiglie vive in una casa di proprietà (spesso ipotecata, certo). Quindi la “riforma del catasto” è problema che riguarda la stragrande maggioranza della popolazione, non soltanto i ceti più abbienti (e numericamente sempre meno estesi).
E sarebbe sbagliato persino pensare che un’operazione del genere si limiterebbe a “spremere” un po’ di tasse in più, senza altre conseguenze. Già ora, infatti, le spese relative all’abitazione sono un lusso per un numero crescente di persone (per esempio: nella sola Firenze è stata di recente registrata un’evasione sulle spese condominiali pari al 28%), così come va crescendo la morosità sui mutui e quindi l'espropriazione dei titolari a favore delle banche.
Un’ulteriore, violenta, impennata della tassazione – il valore catastale dell’immobile pesa su Imu, Tasi e Isee – non potrebbe che stimolare una massiccia ondata di vendite sul mercato, magari solo per un banale calcolo economico (vendere per comprare una casa più piccola). E quindi un deprezzamento altrettanto violento del patrimonio immobiliare, già crollato di oltre il 20% rispetto all’inizio della crisi economica e finanziaria attuale. Le stime della Banca d’Italia in proposito sono chiarissime: il valore totale del patrimonio immobiliare in mano alle famiglie è passato dai 5.300 miliardi del 2011 agli attuali 4.300.
Uno scenario appetitoso per chi vuol far soldi facili…
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