domenica 24 agosto 2014

Ice Bucket Challenge una buffonata

Parliamoci chiaro: il giochino dell’Ice Bucket Challenge è una stronzata sesquipedale che serve ai soliti noti per diventare ancora più noti e pulirsi quella coscienza sporca che sanno di avere. Tanto è vero che si gettano la secchiata d’acqua gelata in testa ma non tirano fuori un euro: le donazioni in favore dei malati di Sla ammontano ad appena 33 mila euro. Per non parlare del Premier Renzi, definito “penoso” dalla Vice Presidente del Comitato 16 Novembre, che – in un’intervista esclusiva rilasciata a Fanpage – non le manda a dire. Ecco le sue parole.
Il web trabocca di docce gelate, all’estero e in Italia: da Zuckerberg a Bill Gates passando per Belen, Fiorello, e Matteo Renzi. È l’ice bucket challenge, una sfida a colpi di video virali e cubetti di ghiaccio, idea nata proprio da un ammalato di Sla per stimolare la raccolta fondi per la ricerca sulla Sclerosi laterale amiotrofica, terribile malattia incurabile che solo nel nostro Paese conta 6mila casi. Secchiata d’acqua dopo secchiata d’acqua, sembra che la sfida virale stia funzionando. Almeno sul fronte delle donazioni per la ricerca: sono stati raccolti oltre 40 milioni di dollari negli Usa. Molto meno in Italia: appena 33mila euro. In ogni caso il grande problema, a casa nostra, è un altro. Quando si parla di disabilità, in Italia, chi segue queste tristi vicende ricorda spesso Raffaele Pennacchio, il dottore-eroe morto a Ottobre scorso: da giorni, senza sosta, presidiava il ministero dell’Economia insieme al Comitato 16 Novembre Onlus. Cosa chiedevano, questi “violenti” (qualche esponente delle istituzioni li ha definiti così) e facinorosi in carrozzina? Un’assistenza domiciliare dignitosa. Molto semplicemente.
Il fondo per la non autosufficienza è stato ripristinato solo recentemente. Alcuni dati: nel 2009 i soldi stanziati erano 400 milioni. Poi il fondo è stato cancellato nel 2011. Dopo una dura lotta ingaggiata dai disabili, il fondo è stato ripristinato nel 2013.
Per quest’anno, il fondo ammonta a 340 milioni. Pochi spiccioli, sottolinea il Comitato.
È infinitamente di più di una secchiata d’acqua gelata, l’inferno di carboni ardenti che un disabile grave o gravissimo e la sua famiglia attraversano: di fronte ai pochi fondi stanziati e ripartiti tra le regioni, l’Asl stabilisce cosa può offrire al malato in termini di assistenza domiciliare; l’alternativa è la Rsa, la Residenza sanitaria assistenziale. Possibilità di scelta? Ridotta ai minimi termini.
La storia finisce spesso con l’ammalato lasciato alle cure dei familiari, che abbandonano tutto per potersi dedicare a lui, con ricadute pesantissime in termini economici, sociali, psicologici, sanitari.
“Noi vogliamo un piano serio per la non autosufficienza – ribadiscono i malati di Sla – finalizzato all’assistenza domiciliare indiretta. L’ammalato deve restare al proprio domicilio, deve essergli corrisposto un assegno di cura corrispondente allo stadio della malattia, e deve essergli garantita la possibilità di scegliersi un assistente. Non è umanamente pensabile che il congiunto più stretto debba lasciare il posto di lavoro per assistere il familiare, senza pensione, senza alcun sostentamento, senza riconoscimento. Queste persone hanno bisogno di una assistenza vigile, non possono stare nelle Residenze sanitarie assistenziali, dove il rapporto è di un operatore per dieci ammalati. Per coloro che sono affetti da Sla questo non è possibile: non solo vivono un dramma grandissimo, in più sono abbandonati in una struttura che non garantisce loro assistenza per 24 ore; è una cosa che non si può tollerare”.
Una buffonata. Sarebbe bastato che Zuckerberg o Bill Gates avessero donato un po’ di quello che hanno per permettere alla ricerca di andare avanti.
E di nuovo il nodo, centrale, dell’assistenza:ù, essi dichiarano: “Il fondo per la non autosufficienza deve diventare strutturale, deve esserci e deve essere aumentato di anno in anno: non possiamo continuare a fare manifestazioni ogni anno.

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