La differenza tra Pd e Lega è light, molto light. Praticamente si riduce alla liberalizzazione della cannabis senza principio attivo….
La
battuta sarà scontata, ma è d’obbligo all’indomani dell’approvazione
della legge di stabilità da parte del Senato, in cui – a parte le
dichiarazioni quacquaraquà alla telecamere, senza domanda – il massimo
del contrasto visibile si è avuto appunto sulla “droga”. E che ciò
avvenga in un Parlamento che non reggerebbe il minimo controllo
antidoping dà la misura dell’ipocrisia.
Tutte
le formazioni, del resto, sanno benissimo che questa legge finanziaria
era l’unica che poteva passare al vaglio finale della Commissione
Europea, e dunque era inutile affannarsi contestando i suoi pilastri,
tanto valeva battagliare sulla minutaglia.
E
silenzio totale sul fatto che il lavorio infinito per trovare qualche
milioncino qua e là, da dedicare a “misure sociali” per platee
ristrettissime, sia imparagonabile con la rapidità con cui è stato
stanziato un miliardo per il salvataggio della Popolare di Bari. Salvare
le banche, del resto, è la prima preoccupazione di tutti i cosiddetti
“leader” (qualcuno forse ricorda ancora il caso di CrediEuroNord, la “banca padana” della Lega, salvata dalla Popolare di Lodi poi finita a sua volta nel tritatutto fallimentare).
Il governo giallorosè sembra avviato al redde rationem
subito dopo le feste, avendo praticamente esaurito il compito per cui
era nato (fare la legge di stabilità, bloccando l’aumento dell’Iva, che
sarebbe stata una mazzata sui consumi, e dunque sul Pil, proprio mentre
l’economia continentale è di fatto ferma).
Le
sparate di Renzi, al di là delle parole e degli scopi (imperscrutabili,
come tutte le “massonate”), il nervosismo dei Cinque Stelle (con Grillo
chiamato ancora una volta a “blindare” Di Maio per evitare l’esplosione
generale del gruppo dirigente), il quasi-silenzio del Pd (che ha come
obbiettivo immediato conservare l’Emilia Romagna, a fine gennaio), sono
tutti elementi che preparano l’ennesima crisi di governo.
Una
situazione che dovrebbe far felici i fascioleghisti, comodamente seduti
sui banchi dell’opposizione parolaia, intenti a racimolare altri facili
consensi tra una battuta razzista e un’invettiva anti-femminista.
E
invece, a sorpresa, il Truce uscito male dai mojito del Papeete, cambia
completamente tattica, adottando quella che il vero “pensatore” della
Lega – Giancarlo Giorgetti – va da tempo consigliando: recuperare un rapporto meno conflittuale con l’Unione Europea entrando nel Partito Popolare (al fianco della Merkel e dell’amico Orbàn, insomma), lavorare per un governo “istituzionale, “tecnico” e come volete chiamarlo.
La
formula scelta da Matteo Salvini, alla fine, è stata quella – un po’
abusata – del “Comitato di salvezza nazionale”, supportata con una
visione della realtà del paese opposta a quella che strombazzava quando
faceva il vice-premier. «Stiamo vivendo un momento drammatico in cui
tutti dovrebbero fermarsi, smetterla di far polemica. Chiediamo di
sedersi tutti intorno a un tavolo a riflettere sui rischi che l’Italia
sta vivendo. Se rischia di saltare una banca come la popolare di Bari e
con i licenziamenti all’Ilva rischia di saltare un’intera Regione e con
lei l’Italia».
Nessuno
potrebbe dire “no” a un’ipotesi del genere a gennaio-febbraio, quando
ci sarà da firmare il contratto-capestro del Mes e continuare a
trattare, da una posizione di estrema debolezza, gli altri trattati
inseriti nella “logica di pacchetto”, come l’Unione bancaria (gravata
dalla richiesta tedesca di “ponderare il rischio” dei titoli di Stato
mediterranei).
Si
sente insomma l’eco in sottofondo delle migliaia di telefonate con cui
da settimane banchieri e imprenditori stanno tempestando i “politici”
nostrani, perché si rendano conto del baratro in cui rischia
effettivamente di finire il Paese se si consegna disarmato a un dispositivo “europeo” che incentiva la speculazione ad aprire il fuoco contro bersagli precisi.
Ancora
di più si sente il peso del contesto internazionale, con la vittoria di
Johnson che rafforza una versione di destra della Brexit e il
consolidamento di un’”area angloamericana” che erode la potenza della governance tedesca sulla Ue.
Di
questa deriva filo-statunitense Salvini, o meglio la Lega, sono stati i
referenti principali (“agganci” moscoviti a parte), almeno fin quando
Steve Bannon ha insistito per trapiantare in Italia la sua “competenza”
in fatto di manipolazione computazionale dell’opinione pubblica
(mica penserete che “la Bestia” salviniana si sia “fatta da sola”,
no?). Ma spingere troppo in questa direzione sarebbe comunque
devastante, in un sistema di relazioni euro-atlantiche segnato dalla stagnazione economica che colpisce ormai tutti i soggetti, anche quelli più forti.
Ed
ecco che, per far fronte a una situazione molto critica ed ancora più
complessa – improvvisamente – anche Lui scopre che non serve a niente
“semplificare” in slogan da osteria quattro scemenze acchiappavoti.
Perché poi, quando pure dovessi prendere sul serio quei voti e
cominciare a governare davvero, rischi che la stessa gente che avevi
conquistato ti corra dietro per le strade.
La
“svolta democristiana” di Salvini, insomma, ha solide radici sociali
(banche ed imprese italiane) e necessita di ampi compromessi, sia
sociali che economici. Proseguire sulla strada dell’austerità – come
“chiede l’Europa” teutonica – richiede controllo di lavoratori,
studenti, disoccupati e persino dei pensionati. Dunque della
“collaborazione sindacale” che solo al Pd riesce di ottenere senza
troppa fatica (ricordatevi del Jobs Act e dell’abolizione dell’art.
18…).
Aumentare
le relazioni economiche con gli Usa, d’altronde, richiede tempo e un
qualche accordo – anche di compromesso – con i rappresentanti delle
filiere produttive più legate alle grandi imprese tedesche (tra
Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, a proposito di “differenze
light”…).
Tutto
quel mondo grida insomma al “governo unitario”, in grado di sedare i
conflitti e subordinare – più di sempre – il lavoro dipendente. Tutto
quel mondo guarda a Mario Draghi (ex presidente della Bce, quindi a suo
agio con i piani alti del potere europeo; ma anche ex vice-presidente di Goldman Sachs, e quindi molto ben visto anche sulla sponda Usa dell’Atlantico) come il più auspicabile dei futuri premier.
Tutti
democristiani, insomma, in attesa del nuovo messia che salvi quel che
resta del Paese spolpato dalle cazzate (privatizzazioni e
liberalizzazioni firma di trattati suicidi, ecc) dei democristiani.
E
anche il Truce, da navigato galleggiante della politichetta nostrana,
modera improvvisamente il linguaggio, come sardina voleva, limitando
alla stronzate light la sguaiataggine da osteria.
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