Alla
fine, oltre ad essere assurdamente svantaggioso (per l’Italia e altri
paesi) il trattato che riforma il Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) è
anche incostituzionale. Sia nel contenuto che nell’iter procedurale.
In più, risulta essere la prova inconfutabile dell’idiozia contrattuale della nostra “classe politica”, pronta a firmare quel che gli altri partner europei – a cominciare ovviamente da quelli più forti, la Germania – si guardano bene dal sottoscrivere.
Un’analisi costituzionale e non soltanto economica del testo solleva infatti “delicate questioni di legittimità costituzionale e di uguaglianza dell’Italia nei rapporti internazionali”. Parole che appaiono sull’editoriale di Milano Finanza, a firma di Guido Salerno Aletta (L’Unione dei diseguali), non in qualche scantinato leghista.
In ballo ci sono due “piccoli dettagli” come il principio di sovranità (chi comanda dentro i confini dello Stato) e il ruolo del Parlamento, cui la sovranità popolare viene delegata con il normale processo elettorale.
Da sempre, l’Italia firma i trattati europei senza una vera discussione parlamentare (addirittura a Camere chiuse, come avvenne per il Trattato di Maastricht!) e sicuramente senza alcun esame della Corte Costituzionale.
Tanto per restare nell’esempio tipico, la Germania agisce in modo opposto, tanto che – come nel 2012, quando fu decisa la struttura istituzionale del Mes ancora oggi vigente – il Bundestag approvò il trattato solo il 27 settembre, dopo una sentenza dell’Alta Corte che metteva rigidi paletti all’approvazione del trattato stesso.
L’Italia invece lo aveva approvato il 23 luglio, tra le tante cosette che un Parlamento con le valige in mano, pronto a traslocare in qualche spiaggia assolta, vota senza neanche starci a pensare un attimo.
La corte tedesca poneva infatti due condizioni, come ricorda Salerno Aletta: «la necessità che ogni incremento dell’ammontare della dotazione dell’Esm fosse preventivamente ed esplicitamente approvato dal Parlamento tedesco». Perché quando si parla di impegnare soldi pubblici, foss’anche per un’istituzione europea, il Parlamento deve farlo con tutta la consapevolezza e la formalità necessaria.
E «la necessità di assicurare una sufficiente influenza parlamentare sulla maniera in cui vengono gestiti i fondi». Ossia: non è che noi (la Germania) mettiamo soldi nostri e poi qualcun altro decide come spenderli; in ogni passaggio noi (la Germania) vogliamo decidere a chi si danno, come, perché e in che modo debbono essere restituiti.
Per maggiore sicurezza pretesero la nomina di Klaus Regling a capo del Mes.
.Ma non basta. La stessa Corte Costituzionale germanica mise altre tre condizioni: “nello strumento di ratifica del Trattato si sarebbe dovuta inserire una riserva formale che recepisse le condizioni di merito stabilite dalla Corte medesima; occorreva inoltre inserirvi la clausola secondo cui la Germania non desidera essere vincolata da quanto stabilito dal Trattato medesimo nella sua interezza se dette riserve dovessero risultare inefficaci sul piano del diritto internazionale; infine, si precisava che le altre Parti che avevano già ratificato il Trattato avrebbero dovuto esprimersi sulle riserve poste dalla Germania, accettandole o meno.”
Della serie: “partner europei, avete capito che noi non ci accolleremo nessun carico senza prima vedere se ci conviene?”
In ogni caso, bontà loro, veniva dato per scontato anche anche gli altri paesi avrebbero potuto avanzare le stesse “riserve”, limitando così le funzioni del Mes.
Ma quando mai… Dall’Italia non venne neanche un vagito, figuriamoci una perplessità. Non sarebbe stato facile, perché “non sarebbe stata sufficiente la sola dichiarazione ministeriale di accettazione unilaterale delle riserve tedesche, resa senza l’assenso preventivo del Parlamento.” Altrimenti “ sarebbe intervenuta, senza averne titolo, su un atto del Presidente della Repubblica”, ossia la firma al trattato.
In altre parole, la “diseguaglianza tra [finti] uguali” ha nell’Unione Europea una lunga storia, fatta di complicità – sposata a incompetenza e debolezza – e “volontà di potenza” di chi ha un peso economico superiore. Ma è una diseguaglianza che è andata crescendo oltre ogni ragionevole tolleranza, e che genera le “tensioni” popolari che sprezzantemente vengono derubricate a “populiste” o “sovraniste”, ma che riguardano effettivamente le condizioni di vita dei vari popoli europei ed anche la loro (residua) sovranità popolare, inscritta in genere nelle loro Costituzioni.
Ma, giunti a questo punto, come se ne esce? Giustamente Salerno Aletta fa notare che – per tentare di salvare capra e cavoli – almeno si sarebbe dovuta ripristinare la “parità tra partner”. Ovvero: “Una volta che la Germania ha affermato l’incomprimibilità della responsabilità del Parlamento in ordine alle decisioni di spesa, e visto che la medesima prescrizione è contenuta nella nostra Costituzione per quanto riguarda i trattati internazionali, è via obbligata accedere alla impostazione della riserva tedesca e inserirne una di identica portata da parte italiana”.
Ma di questa consapevolezza nella nostra “classe dirigente” – non solo della sua parte “politica” – non c’è alcuna traccia.
La Lega solleva strumentalmente il problema, è vero. Ma il problema esiste e il gruppo dirigente della Lega lo sapeva benissimo. Il “documento” con il testo del nuovo Mes campeggia infatti al 4 dicembre 2018 sul sito del Consiglio Ue, e che illustra in dettaglio ciò che poi sarebbe stato concordato sei mesi dopo. Una “location” certo poco attrattiva per i “leoni da tastiera”, ma sicuramente non ignorata dai Bagnai, Borghi e Garavaglia – le “teste economiche” del Carroccio.
Il problema politico ora è piuttosto incasinato. Divisioni partitiche a parte, infatti, accettare questo trattato è finanziariamente un suicidio. L’Italia dovrebbe garantire copertura (in caso di necessità) per 125 miliardi ad un fondo gestito non all’unanimità (in cui avrebbe insomma diritto di veto), ma in base alla maggioranza delle quote. Germania e Francia, insieme, dispongono del 47%; basterà aggregare Olanda, Austria o Finlandia per raggiungere la maggioranza e farci neri. AL resto penseranno come sempre “i mercati”…
L’analisi sulla sostenibilità del debito pubblico dei vari paesi, infatti, passerebbe dall’essere esclusiva della Commissione Europea (organo politico, dunque in qualche misura “sensibile” o “sensibilizzabile” alle ragioni di opportunità, equilibrio, cautela, ecc) a prerogativa principale del Mes, che assume però “il punto di vista del creditore”. Ossia di chi vuol rientrare del proprio capitale (cui contribuiscono però i vari paesi, non “appartiene” al Mes) e se ne fotte se il debitore va sul lastrico.
E’ il massimo dell’idiozia, ci sembra, finanziare (sia pure “a garanzia”) lo strumento che potrebbe decapitarci come Paese e gettare milioni di lavoratori/correntisti (obbligati) in pasto alla speculazione.
L’unica soluzione decente sarebbe non ratificare il trattato (ormai “inemendabile”, garantisce il ministro dell’economia, nonché ex tecnoburocrate di Bruxelles ed ex senatore Pd) e far saltare il tavolo.
Ma di certo non lo faranno queste orde di mentitori professionali e statisti mancati che abitano le stanze di Cinque Stelle, Lega e, a maggior ragione, Pd, Fratelli d’Italia e frattaglie varie. I “sovranisti da operetta”, quando il gioco si fa duro, farfugliano e si arrendono.
In più, risulta essere la prova inconfutabile dell’idiozia contrattuale della nostra “classe politica”, pronta a firmare quel che gli altri partner europei – a cominciare ovviamente da quelli più forti, la Germania – si guardano bene dal sottoscrivere.
Un’analisi costituzionale e non soltanto economica del testo solleva infatti “delicate questioni di legittimità costituzionale e di uguaglianza dell’Italia nei rapporti internazionali”. Parole che appaiono sull’editoriale di Milano Finanza, a firma di Guido Salerno Aletta (L’Unione dei diseguali), non in qualche scantinato leghista.
In ballo ci sono due “piccoli dettagli” come il principio di sovranità (chi comanda dentro i confini dello Stato) e il ruolo del Parlamento, cui la sovranità popolare viene delegata con il normale processo elettorale.
Da sempre, l’Italia firma i trattati europei senza una vera discussione parlamentare (addirittura a Camere chiuse, come avvenne per il Trattato di Maastricht!) e sicuramente senza alcun esame della Corte Costituzionale.
Tanto per restare nell’esempio tipico, la Germania agisce in modo opposto, tanto che – come nel 2012, quando fu decisa la struttura istituzionale del Mes ancora oggi vigente – il Bundestag approvò il trattato solo il 27 settembre, dopo una sentenza dell’Alta Corte che metteva rigidi paletti all’approvazione del trattato stesso.
L’Italia invece lo aveva approvato il 23 luglio, tra le tante cosette che un Parlamento con le valige in mano, pronto a traslocare in qualche spiaggia assolta, vota senza neanche starci a pensare un attimo.
La corte tedesca poneva infatti due condizioni, come ricorda Salerno Aletta: «la necessità che ogni incremento dell’ammontare della dotazione dell’Esm fosse preventivamente ed esplicitamente approvato dal Parlamento tedesco». Perché quando si parla di impegnare soldi pubblici, foss’anche per un’istituzione europea, il Parlamento deve farlo con tutta la consapevolezza e la formalità necessaria.
E «la necessità di assicurare una sufficiente influenza parlamentare sulla maniera in cui vengono gestiti i fondi». Ossia: non è che noi (la Germania) mettiamo soldi nostri e poi qualcun altro decide come spenderli; in ogni passaggio noi (la Germania) vogliamo decidere a chi si danno, come, perché e in che modo debbono essere restituiti.
Per maggiore sicurezza pretesero la nomina di Klaus Regling a capo del Mes.
.Ma non basta. La stessa Corte Costituzionale germanica mise altre tre condizioni: “nello strumento di ratifica del Trattato si sarebbe dovuta inserire una riserva formale che recepisse le condizioni di merito stabilite dalla Corte medesima; occorreva inoltre inserirvi la clausola secondo cui la Germania non desidera essere vincolata da quanto stabilito dal Trattato medesimo nella sua interezza se dette riserve dovessero risultare inefficaci sul piano del diritto internazionale; infine, si precisava che le altre Parti che avevano già ratificato il Trattato avrebbero dovuto esprimersi sulle riserve poste dalla Germania, accettandole o meno.”
Della serie: “partner europei, avete capito che noi non ci accolleremo nessun carico senza prima vedere se ci conviene?”
In ogni caso, bontà loro, veniva dato per scontato anche anche gli altri paesi avrebbero potuto avanzare le stesse “riserve”, limitando così le funzioni del Mes.
Ma quando mai… Dall’Italia non venne neanche un vagito, figuriamoci una perplessità. Non sarebbe stato facile, perché “non sarebbe stata sufficiente la sola dichiarazione ministeriale di accettazione unilaterale delle riserve tedesche, resa senza l’assenso preventivo del Parlamento.” Altrimenti “ sarebbe intervenuta, senza averne titolo, su un atto del Presidente della Repubblica”, ossia la firma al trattato.
In altre parole, la “diseguaglianza tra [finti] uguali” ha nell’Unione Europea una lunga storia, fatta di complicità – sposata a incompetenza e debolezza – e “volontà di potenza” di chi ha un peso economico superiore. Ma è una diseguaglianza che è andata crescendo oltre ogni ragionevole tolleranza, e che genera le “tensioni” popolari che sprezzantemente vengono derubricate a “populiste” o “sovraniste”, ma che riguardano effettivamente le condizioni di vita dei vari popoli europei ed anche la loro (residua) sovranità popolare, inscritta in genere nelle loro Costituzioni.
Ma, giunti a questo punto, come se ne esce? Giustamente Salerno Aletta fa notare che – per tentare di salvare capra e cavoli – almeno si sarebbe dovuta ripristinare la “parità tra partner”. Ovvero: “Una volta che la Germania ha affermato l’incomprimibilità della responsabilità del Parlamento in ordine alle decisioni di spesa, e visto che la medesima prescrizione è contenuta nella nostra Costituzione per quanto riguarda i trattati internazionali, è via obbligata accedere alla impostazione della riserva tedesca e inserirne una di identica portata da parte italiana”.
Ma di questa consapevolezza nella nostra “classe dirigente” – non solo della sua parte “politica” – non c’è alcuna traccia.
La Lega solleva strumentalmente il problema, è vero. Ma il problema esiste e il gruppo dirigente della Lega lo sapeva benissimo. Il “documento” con il testo del nuovo Mes campeggia infatti al 4 dicembre 2018 sul sito del Consiglio Ue, e che illustra in dettaglio ciò che poi sarebbe stato concordato sei mesi dopo. Una “location” certo poco attrattiva per i “leoni da tastiera”, ma sicuramente non ignorata dai Bagnai, Borghi e Garavaglia – le “teste economiche” del Carroccio.
Il problema politico ora è piuttosto incasinato. Divisioni partitiche a parte, infatti, accettare questo trattato è finanziariamente un suicidio. L’Italia dovrebbe garantire copertura (in caso di necessità) per 125 miliardi ad un fondo gestito non all’unanimità (in cui avrebbe insomma diritto di veto), ma in base alla maggioranza delle quote. Germania e Francia, insieme, dispongono del 47%; basterà aggregare Olanda, Austria o Finlandia per raggiungere la maggioranza e farci neri. AL resto penseranno come sempre “i mercati”…
L’analisi sulla sostenibilità del debito pubblico dei vari paesi, infatti, passerebbe dall’essere esclusiva della Commissione Europea (organo politico, dunque in qualche misura “sensibile” o “sensibilizzabile” alle ragioni di opportunità, equilibrio, cautela, ecc) a prerogativa principale del Mes, che assume però “il punto di vista del creditore”. Ossia di chi vuol rientrare del proprio capitale (cui contribuiscono però i vari paesi, non “appartiene” al Mes) e se ne fotte se il debitore va sul lastrico.
E’ il massimo dell’idiozia, ci sembra, finanziare (sia pure “a garanzia”) lo strumento che potrebbe decapitarci come Paese e gettare milioni di lavoratori/correntisti (obbligati) in pasto alla speculazione.
L’unica soluzione decente sarebbe non ratificare il trattato (ormai “inemendabile”, garantisce il ministro dell’economia, nonché ex tecnoburocrate di Bruxelles ed ex senatore Pd) e far saltare il tavolo.
Ma di certo non lo faranno queste orde di mentitori professionali e statisti mancati che abitano le stanze di Cinque Stelle, Lega e, a maggior ragione, Pd, Fratelli d’Italia e frattaglie varie. I “sovranisti da operetta”, quando il gioco si fa duro, farfugliano e si arrendono.
Nessun commento:
Posta un commento