Il vertice del governo sulla legge
per l’autonomia differenziata ha prodotto una fumata nera, e fin qui
tutto bene. Secondo fonti del M5S nella legge in discussione a Palazzo
Chigi, “la Lega ha proposto di inserire le gabbie salariali, ovvero
alzare gli stipendi al Nord e abbassarli al centro-Sud. Per il M5s è
“totalmente inaccettabile”. “Una simile proposta spaccherebbe il Paese e
la consideriamo discriminatoria e razzista – sottolineano fonti del
M5s, le stesse che ricordano come il meccanismo della gabbie salariali
sia stato in vigore in passato, “con pessimi risultati e fu abolito nel
’72. Reintrodurle significherebbe riportare l’Italia indietro di mezzo
secolo. Follia pura”.
Le gabbie salariali che differenziavano i salari dei lavoratori tra Nord e Meridione, in realtà sono state cancellate nel 1969, dopo la potente stagione di lotta dei lavoratori che, giustamente, le consideravano discriminatorie. A quasi cinquant’anni dallo stop, (scattato concretamente nel 1972) la perversione delle gabbie salariali è tornata nuovamente ad accendere il dibattito politico. Questa dottrina vorrebbe che i salari fossero parametrati al costo della vita nelle diverse aree territoriali, un tema su cui la Lega insiste da tempo, tanto che nel 2005 avanzò questa ipotesi per il rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici.
La realtà, come al solito, è ancora più spietata del dibattito pubblico. Un dato? Fino al 2004 gli operai della Fiat di Melfi (ora Fca), a parità di orario, per contratto guadagnavano meno degli operai degli stabilimenti Fiat al centro nord.
Nè possiamo dimenticarci gli altri acronimi con cui le differenziazioni salariali tra Nord e Meridione hanno cercato di affermarsi negli anni Novanta, soprattutto attraverso i governi di centro-sinistra: si chiamavano i “contratti d’area” ed erano soprattutto nel Sud. Mentre la mano destra (la Lega) “abbaiava” sulla secessione, la mano sinistra (Ds/Pd-Margherita) cercava di realizzare i sogni perversi del padronato italiano.
Infine, e non certo per importanza, è impossibile non suonare l’allarme sull’atteggiamento con cui alcuni governatori e sindaci delle regioni del Sud sembrano voler rispondere alle spinte secessioniste di quelli del Nord attraverso l’autonomia differenziata. Si chiamano “Zes” ossia Zone Economiche Speciali attraverso cui attrarre investimenti esteri e “nordici” nel Meridione. Come? Con forti sconti fiscali e contributivi alle aziende che si insediano nelle Zes e, ovviamente, salari più bassi per chi ci lavora. E’ la stessa logica liberista della Lega ma applicata nelle regioni del Sud.
Del resto è anche difficile ignorare come una secessione reale agisca e si sia acutizzata da tempo nel nostro paese sul piano delle disuguaglianze sociali, retributive e nei servizi. Già oggi l’Italia vede velocità assi variabili nelle retribuzioni medie annue dei lavoratori dipendenti. Nel Nord la media salariale è di 24.356 euro, scende a 21.189 nel Centro e precipita a 16.113 euro nel Meridione.
Le disuguaglianze di reddito oggi
I dati dell’Istat tratteggiano un’Italia con forti divaricazioni fra Nord e Sud e fra singole regioni con la Lombardia in testa e la Calabria in coda, con Milano in cima alla classifica delle province con 29.627 euro di reddito medio e Vibo Valentia all’ultimo posto con 12.118 euro. E con le donne ancora più discriminate con un reddito massimo a Milano di 23.792 euro e il più basso a Vibo Valentia con 9.475 euro, lì dove i redditi medi degli uomini vedono i più alti a Milano con 34.096 euro, i più bassi a Vibo Valentia con 13.805 euro.
Una disaggregazione ancora più dettagliata sulla base delle città o delle aree metropolitane, vede in testa la Lombardia con una retribuzione media di 26.494 euro. Uomini con una media di 30.689 euro, donne con 20.920 euro. Fra le province guida la classifica Milano con 29.627 euro, seguita da Lecco a quota 25.150, mentre chiude Sondrio con 20.822 euro.
A Torino, la retribuzione media scende 24.583 euro. In coda la provincia di Verbano-Cusio-Ossola con 20.021 euro. Bologna è l’area metropolitana con i redditi maggiori (25.663 euro), Rimini quella con i redditi minori (16.079 euro). In Liguria va peggio. Le retribuzione medie scendono a 21.920 euro. In testa Genova con 23.905 euro, chiude la classifica delle province Imperia con 16.731 euro
Nel mitico nordest in testa c’è Trieste con 25.073 euro, mentre è in coda Gorizia con 20.641 euro. In Veneto il reddito medio è di 22.554 euro. In testa Vicenza con 23.902 euro, in coda Rovigo con 19.726 euro.
Per l’Italia centrale, secondo l’Istat, il reddito medio del Lazio a quota 22.243 euro con in testa Roma con 23.301 euro, in coda fra le province Viterbo con 16.567 euro. In Toscana si scende a 20.680 euro, nelle Marche a 19.422 euro, in Umbria è a quota 19.175 euro, in Abruzzo a 17.965 euro, in Molise a 16.675 euro.
E poi si arriva al Meridione vero e proprio: il reddito medio in Basilicata a 17.273 euro. In testa fra le due province Potenza con 18.175 euro, mentre Matera ha redditi medi di 15.234 euro. In Puglia siamo a 16.105 euro, fra le province guida la classifica dei redditi Taranto con 17.582 euro, chiude Lecce con 13.775 euro. Il Reddito medio in Campania è di 15.935 euro, in testa c’è Napoli con 17.009 euro, in coda Salerno con 14.085 euro.
In Sicilia siamo ad un reddito medio di 15.927 euro con Palermo a 17.319 euro scalzata però da Siracusa con 17.450 euro. Chiude la classifca dei redditi provinciali Trapani con 13.500 euro.
Il fanalino di coda per i redditi medi regionali è la Calabria con una media di 14.341 euro, in testa Reggio Calabria con 15.259 euro, chiude Vibo Valentia con 12.118 euro. In Sardegna si risale a 16.321 euro con Cagliari con 17.709 euro, in coda Nuoro con 13.819 euro.
Anche tra manager, dirigenti e impiegati ci sono differenze retributive
Il 26° Rapporto sulle retribuzioni di OD&M Consulting (che analizza un campione di alcune migliaia di buste paga) ha confermato però che con i dati del primo semestre del 2018, Lombardia, Emilia Romagna e Trentino Alto Adige sono già adesso le regioni con le retribuzioni più alte. Andando ad esaminare i dati più da vicino, si scopre anche qui che è la Lombardia la regione con gli stipendi migliori per tutte le categorie professionali rispetto alla media nazionale.
In particolare, gli impiegati percepiscono una retribuzione decisamente superiore rispetto ai colleghi distribuiti nelle altre regioni della Penisola. I dirigenti di Milano possono contare su una retribuzione media di 140 mila 719 euro, seguiti da Bolzano dove i quadri arrivano ad una retribuzione annua media di 140 mila 386 euro.
Nel Nord-Est, invece, è l’Emilia-Romagna l’”isola felice” per quadri, impiegati e operai. In Trentino sorridono tutti tranne gli impiegati, che guadagnano leggermente meno rispetto alla media macro-regionale.
Nel Centro è il Lazio a vantare le retribuzioni migliori rispetto alle altre regioni del Centro-Italia, con stipendi per dirigenti e operai in alcuni casi superiori anche alla media nazionale. Gli operai toscani, invece, sono quelli pagati meglio.
Tutte le regioni del Mezzogiorno soffrono invece per una differenza retributiva inferiore alle regioni del Nord per tutte le professioni esaminate. I manager e impiegati campani, hanno stipendi mediamente superiori agli altri lavoratori meridionali, ancora meglio vanno i manager e gli impiegati abruzzesi. Particolarmente “penalizzati” sono invece le retribuzioni in Puglia, Sardegna e Calabria.
La Provincia dove risulta la retribuzione media dei dirigenti appare più bassa è quella di Brindisi (€ 102.625), che si distacca fortemente dalle altre province italiane: qui i dirigenti percepiscono il 21,3% in meno rispetto alla media nazionale (circa 27 mila 700 euro). Seguono Caserta, (113.989 euro), Bari (119.053 euro) e Salerno (119.831 euro).
Questa è la fotografia delle disuguaglianze retributive di fatto e già esistenti. La vision della Lega ma anche del Pd “centronordico” – o meglio ancora “sabaudo” – vorrebbero sancirle anche con una legge, quella sull’autonomia differenziata. Un sogno perverso a cui è meglio sbarrare il passo subito piuttosto che farlo diventare un fatto compiuto.
Le gabbie salariali che differenziavano i salari dei lavoratori tra Nord e Meridione, in realtà sono state cancellate nel 1969, dopo la potente stagione di lotta dei lavoratori che, giustamente, le consideravano discriminatorie. A quasi cinquant’anni dallo stop, (scattato concretamente nel 1972) la perversione delle gabbie salariali è tornata nuovamente ad accendere il dibattito politico. Questa dottrina vorrebbe che i salari fossero parametrati al costo della vita nelle diverse aree territoriali, un tema su cui la Lega insiste da tempo, tanto che nel 2005 avanzò questa ipotesi per il rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici.
La realtà, come al solito, è ancora più spietata del dibattito pubblico. Un dato? Fino al 2004 gli operai della Fiat di Melfi (ora Fca), a parità di orario, per contratto guadagnavano meno degli operai degli stabilimenti Fiat al centro nord.
Nè possiamo dimenticarci gli altri acronimi con cui le differenziazioni salariali tra Nord e Meridione hanno cercato di affermarsi negli anni Novanta, soprattutto attraverso i governi di centro-sinistra: si chiamavano i “contratti d’area” ed erano soprattutto nel Sud. Mentre la mano destra (la Lega) “abbaiava” sulla secessione, la mano sinistra (Ds/Pd-Margherita) cercava di realizzare i sogni perversi del padronato italiano.
Infine, e non certo per importanza, è impossibile non suonare l’allarme sull’atteggiamento con cui alcuni governatori e sindaci delle regioni del Sud sembrano voler rispondere alle spinte secessioniste di quelli del Nord attraverso l’autonomia differenziata. Si chiamano “Zes” ossia Zone Economiche Speciali attraverso cui attrarre investimenti esteri e “nordici” nel Meridione. Come? Con forti sconti fiscali e contributivi alle aziende che si insediano nelle Zes e, ovviamente, salari più bassi per chi ci lavora. E’ la stessa logica liberista della Lega ma applicata nelle regioni del Sud.
Del resto è anche difficile ignorare come una secessione reale agisca e si sia acutizzata da tempo nel nostro paese sul piano delle disuguaglianze sociali, retributive e nei servizi. Già oggi l’Italia vede velocità assi variabili nelle retribuzioni medie annue dei lavoratori dipendenti. Nel Nord la media salariale è di 24.356 euro, scende a 21.189 nel Centro e precipita a 16.113 euro nel Meridione.
Le disuguaglianze di reddito oggi
I dati dell’Istat tratteggiano un’Italia con forti divaricazioni fra Nord e Sud e fra singole regioni con la Lombardia in testa e la Calabria in coda, con Milano in cima alla classifica delle province con 29.627 euro di reddito medio e Vibo Valentia all’ultimo posto con 12.118 euro. E con le donne ancora più discriminate con un reddito massimo a Milano di 23.792 euro e il più basso a Vibo Valentia con 9.475 euro, lì dove i redditi medi degli uomini vedono i più alti a Milano con 34.096 euro, i più bassi a Vibo Valentia con 13.805 euro.
Una disaggregazione ancora più dettagliata sulla base delle città o delle aree metropolitane, vede in testa la Lombardia con una retribuzione media di 26.494 euro. Uomini con una media di 30.689 euro, donne con 20.920 euro. Fra le province guida la classifica Milano con 29.627 euro, seguita da Lecco a quota 25.150, mentre chiude Sondrio con 20.822 euro.
A Torino, la retribuzione media scende 24.583 euro. In coda la provincia di Verbano-Cusio-Ossola con 20.021 euro. Bologna è l’area metropolitana con i redditi maggiori (25.663 euro), Rimini quella con i redditi minori (16.079 euro). In Liguria va peggio. Le retribuzione medie scendono a 21.920 euro. In testa Genova con 23.905 euro, chiude la classifica delle province Imperia con 16.731 euro
Nel mitico nordest in testa c’è Trieste con 25.073 euro, mentre è in coda Gorizia con 20.641 euro. In Veneto il reddito medio è di 22.554 euro. In testa Vicenza con 23.902 euro, in coda Rovigo con 19.726 euro.
Per l’Italia centrale, secondo l’Istat, il reddito medio del Lazio a quota 22.243 euro con in testa Roma con 23.301 euro, in coda fra le province Viterbo con 16.567 euro. In Toscana si scende a 20.680 euro, nelle Marche a 19.422 euro, in Umbria è a quota 19.175 euro, in Abruzzo a 17.965 euro, in Molise a 16.675 euro.
E poi si arriva al Meridione vero e proprio: il reddito medio in Basilicata a 17.273 euro. In testa fra le due province Potenza con 18.175 euro, mentre Matera ha redditi medi di 15.234 euro. In Puglia siamo a 16.105 euro, fra le province guida la classifica dei redditi Taranto con 17.582 euro, chiude Lecce con 13.775 euro. Il Reddito medio in Campania è di 15.935 euro, in testa c’è Napoli con 17.009 euro, in coda Salerno con 14.085 euro.
In Sicilia siamo ad un reddito medio di 15.927 euro con Palermo a 17.319 euro scalzata però da Siracusa con 17.450 euro. Chiude la classifca dei redditi provinciali Trapani con 13.500 euro.
Il fanalino di coda per i redditi medi regionali è la Calabria con una media di 14.341 euro, in testa Reggio Calabria con 15.259 euro, chiude Vibo Valentia con 12.118 euro. In Sardegna si risale a 16.321 euro con Cagliari con 17.709 euro, in coda Nuoro con 13.819 euro.
Anche tra manager, dirigenti e impiegati ci sono differenze retributive
Il 26° Rapporto sulle retribuzioni di OD&M Consulting (che analizza un campione di alcune migliaia di buste paga) ha confermato però che con i dati del primo semestre del 2018, Lombardia, Emilia Romagna e Trentino Alto Adige sono già adesso le regioni con le retribuzioni più alte. Andando ad esaminare i dati più da vicino, si scopre anche qui che è la Lombardia la regione con gli stipendi migliori per tutte le categorie professionali rispetto alla media nazionale.
In particolare, gli impiegati percepiscono una retribuzione decisamente superiore rispetto ai colleghi distribuiti nelle altre regioni della Penisola. I dirigenti di Milano possono contare su una retribuzione media di 140 mila 719 euro, seguiti da Bolzano dove i quadri arrivano ad una retribuzione annua media di 140 mila 386 euro.
Nel Nord-Est, invece, è l’Emilia-Romagna l’”isola felice” per quadri, impiegati e operai. In Trentino sorridono tutti tranne gli impiegati, che guadagnano leggermente meno rispetto alla media macro-regionale.
Nel Centro è il Lazio a vantare le retribuzioni migliori rispetto alle altre regioni del Centro-Italia, con stipendi per dirigenti e operai in alcuni casi superiori anche alla media nazionale. Gli operai toscani, invece, sono quelli pagati meglio.
Tutte le regioni del Mezzogiorno soffrono invece per una differenza retributiva inferiore alle regioni del Nord per tutte le professioni esaminate. I manager e impiegati campani, hanno stipendi mediamente superiori agli altri lavoratori meridionali, ancora meglio vanno i manager e gli impiegati abruzzesi. Particolarmente “penalizzati” sono invece le retribuzioni in Puglia, Sardegna e Calabria.
La Provincia dove risulta la retribuzione media dei dirigenti appare più bassa è quella di Brindisi (€ 102.625), che si distacca fortemente dalle altre province italiane: qui i dirigenti percepiscono il 21,3% in meno rispetto alla media nazionale (circa 27 mila 700 euro). Seguono Caserta, (113.989 euro), Bari (119.053 euro) e Salerno (119.831 euro).
Questa è la fotografia delle disuguaglianze retributive di fatto e già esistenti. La vision della Lega ma anche del Pd “centronordico” – o meglio ancora “sabaudo” – vorrebbero sancirle anche con una legge, quella sull’autonomia differenziata. Un sogno perverso a cui è meglio sbarrare il passo subito piuttosto che farlo diventare un fatto compiuto.
Nessun commento:
Posta un commento