Torniamo sulla vicenda dell’uso politico di un omicidio – il carabiniere Mario Cerciello Rega – cercando di contenere lo schifo che la vicenda ci suscita.
Oggi
tutti i media provano a “correggere il tiro”, a seconda dell’interesse
immediato del capetto politico e imprenditoriale di riferimento. I
giornalacci fascisti lo fanno a modo loro, più schifoso della media.
Volete una breve lista di titoli? Eccovela:
– “Carabiniere ucciso, ecco cosa non torna. Il giallo della chat”, Il Giornale, che “sobriamente” fa un titolo a tutta pagina – “Tutti i trucchi delle Ong” – per NON parlare della nave militare italiana bloccata a largo del porto di Catania dal solito ukaze di Salvini;
– “Perché il carabiniere non ha sparato”; catenaccio: “I militari erano armati ma le leggi tutelano i delinquenti più di loro”,
il che supera anche la fantasia più macabra, dopo ben due “decreti
sicurezza” in pochi mesi che consentono alle guardie, in pratica, di
ammazzare chi vogliono.
I giornali “seri”, invece, provano a giocare fuori tempo massimo il ruolo che avrebbero dovuto coprire fin dal primo minuto: cosa non quadra nella storia. “Un morto, troppe ombre” titola Repubblica, forse consapevole di aver fatto nell’immediato un altro immenso regalo a Salvini. Sulla stessa falsariga La Stampa, il Corriere, ecc.
Il
presidente della Federazione della stampa, Beppe Giulietti, ex
parlamentare democratico, si straccia le vesti a nome di tutta la
categoria: «La caccia all’immigrato di venerdì sera non può essere archiviata senza una discussione autocritica anche al nostro interno».
Ma la situazione appare ormai irrecuperabile, anche ai suoi occhi, perché “venerdì
da alcuni siti, attribuiti anche a persone delle forze dell’ordine,
parte la notizia che l’omicidio è stato compiuta da «immigrati
nordafricani». Da questo, a prescindere da qualsiasi verifica, in rete
si scatena un meccanismo da ku klux klan. Si somma una serie di nodi. Il
primo è lo spirito dei tempi: giornali, nelle testate online,
giornalisti e singoli cittadini, partono. Il vicepremier Salvini parla
di ‘bastardi’ da ‘buttare in galera’, ‘ai lavori forzati’”.
Un
sistema informativo, insomma, fuori controllo, quanto a professionalità
(zero). Anzi: sotto il pieno controllo di chi gestisce l’origine di
ogni informazione di “cronaca nera”: le forze di polizia
(carabinieri e finanzieri compresi). Quindi, di questi tempi, al
servizio di Salvini, che li ha contraccambiate con “decreti” che
garantiscono piena discrezionalità operativa e assoluta impunibilità.
Senza che nessun giornalista di grido sollevasse almeno un sopracciglio…
Di cose che non tornano, comunque, in questa vicenda ce ne sono molte. Si era parlato di una signora scippata (ne avevamo parlato inizialmente anche noi,
non disponendo di fonti alternative) ed invece si tratta di un pusher
che aveva tirato una “sòla” ai due ragazzini americani, dandogli
aspirina tritata invece che cocaina.
Da
qui la sequela di “stranezze”. Lo spacciatore è anche un informatore
delle “forze dell’ordine”, come tutti i suoi “colleghi”, che altrimenti
non riuscirebbero ad esercitare il loro infame mestiere (vi pare logico
che gli spacciatori siano quotidianamente rintracciabili dai tossici e
mai dalle guardie?).
I
due carabinieri in borghese si presentano all’appuntamento fissato
dagli “scippatori” col pusher altre macchine dell’Arma sarebbero state
in zona (a pochi metri dal luogo del delitto – in via Pietro Cossa – c’è
il Comando della stazione Prati e San Pietro). Il contesto descritto è
quello classico di una trappola. Che però non scatta.
I
due carabinieri sono armati, vengono presi di sorpresa e non sparano. I
loro colleghi non si muovono in tempo per fermare i due ragazzi yankee,
peraltro due “assassini per caso”, non certo dei professionisti del
crimine. Che fuggono… rientrando nell’albergo, anch’esso a pochi metri dal teatro del delitto.
Il
resto è ancora più stupefacente. I due carabinieri colpiti dalle
coltellate vengono soccorsi, quello ferito solo lievemente descrive gli
aggressori, ne comunica anche la probabile nazionalità (americani o
inglesi, certamente bianchi)… ma esce fuori la “voce” che si tratterebbe
invece di “nordafricani”.
Uno dei pochi giornalisti che si è mosso professionalmente già nelle prime ore, Simone Fontana di Wired, ricostruisce con precisione l’origine del depistaggio; “La falsa notizia della cattura di quattro nordafricani in relazione all’omicidio del carabiniere Mario Cerciello Rega
è stata pubblicata da un collega della vittima e diffusa da un agente
della Guardia di Finanza, che ha esposto le foto dei presunti colpevoli
sulla sua pagina Facebook da oltre 6mila follower, incitando i suoi
seguaci al linciaggio”.
Tutto
alla luce del sole, senza alcuna maschera. Ma nessun “professionista”
sembra accorgersene, presi come sono dal rincorrersi a vicenda nello
sparare la stessa falsa notizia, senza neanche chiedersi se sia vera o
provare a fare la classica “verifica”. “La pagina Facebook Puntato, L’App degli Operatori di Polizia annuncia la cattura di quattro nordafricani, ‘tre cittadini di origini marocchine e uno di origini algerine’,
con tanto di foto segnaletiche e occhi coperti per tutelarne la
privacy. Si tratta naturalmente di una bufala, che resta online per un
lasso limitato di tempo, ma tanto basta a scatenare il web.”
Perché nessuno si fa domande? “La
pagina di Puntato è ritenuta una fonte piuttosto affidabile, non solo
perché è l’account ufficiale di una app privata ma agganciata al sito
della Polizia e dunque utilizzata dalle forze dell’ordine per, citando
il sito web ufficiale dell’azienda, ‘fare controlli speditivi del veicolo e redigere verbali’, ma soprattutto perché è amministrata da due carabinieri attualmente in servizio.”
E’
il punto centrale. I carabinieri sono quelli che certamente sanno chi
debbono cercare, perché il loro collega leggermente ferito ha descritto
gli aggressori (due bianchi, non quattro magrebini). Eppure è un loro
megafono mediatico considerato “affidabile” a metter in giro la “pista
nordafricana”. Sono loro, o agenti di polizia, incredibilmente, a
dimostrare zero rispetto per il loro collega ucciso, usandolo come uno
straccio da agitare per una caccia all’uomo razzista.
Non ci interessa la dietrologia e quindi non ci mettiamo a fantasticare sui “perché?”.
Sappiamo per esperienza e conoscenza che numerosi “tutori dell’ordine”
sono di formazione politica apertamente fascista – non si contano più le
segnalazioni di uffici delle “forze dell’ordine” in cui campeggiano
foto o busti del Duce o bandiere nazifasciste – e abbiamo visto anche
noi, su molte pagine Fb, guardie esaltate dall’arrivo di Matteo Salvini
(“uno di noi”) al Viminale. Senza che nessun superiore prendesse mai
“provvedimenti amministrativi” (accade solo per qualche insegnante,
pare),
Ma
noi siamo comunisti pieni di pregiudizi… I “professionisti
dell’informazione”, invece, avrebbero dovuto farsela, qualche domanda,
almeno dopo che sono passate più di 48 ore da quando la bufala è stata
sputtanata. E invece no.
Ecco. Quello che a noi pare davvero pericoloso è il “meccanismo di trasmissione delle informazioni” che questa vicenda rivela.
Nelle faccende di cronaca nera c’è una sola fonte di informazione: le varie polizie.
I
cronisti della “nera” sono vincolati a questa unica fonte in molti
modi, a partire dal fatto che se non riportano esattamente quel che
riportano le veline di questura (o le “indiscrezioni di siti affidabili
gestiti da guardie”) non avranno in futuro accesso ad altre informazioni
in tempo utile (i media mainstream si fanno concorrenza sulla velocità, non sui contenuti).
Peggio
ancora. La quotidiana frequentazione di questa unica “fonte” crea una
sorta di “economia circolare” per cui alcuni giornalisti si prestano a
loro volta a fare da “informatori” per le “forze dell’ordine”.
Altro che “verifica della notizia” come presupposto minimo della “professionalità” di cui parla Giulietti!
Viviamo in un regime di monopolio dell’informazione su
quasi tutti i temi rilevanti (provate ad indicare qualcuno che dice una
cosa dissonante in politica estera…). E, per quanto riguarda i casi di
“nera”, l’imprinting politico è dato dal ministro dell’interno, col
lavoro de “la Bestia”. Che ha così resuscitato un Minculpop 2.0. In cui
non è necessario sottoporre a censura gli articoli dei giornalisti.
Basta dettarglieli.