martedì 7 maggio 2019

E ora il popolo” contro la corsa al disastro dell’UE

Il 18 aprile è uscito nelle librerie “La France tra Macron e Mélenchon. La sfida di France Insoumise” (Pgreco Edizioni, 2019) di Giacomo Marchetti, Andrea Mencarelli e Lorenzo Trapani. Il libro indaga tre differenti “oggetti politici”: l’affermazione e la crisi del Macronismo, la crescita e il posizionamento politico de La France Insoumise, lo sviluppo e le dinamiche del grande movimento di protesta popolare dei Gilets Jaunes.
Le questioni sono numerose, articolate, intrecciate, complesse, risultato di una realtà oggettiva che richiede uno sforzo maggiore di comprensione, andando a coniugare all’attenzione quotidiana un approfondimento concreto, soprattutto in una fase di accelerazione degli eventi e di loro continua evoluzione.
Il libro rappresenta un tentativo in questa direzione, attraverso una cronaca ragionata basata sulla rielaborazione dei contributi pubblicati in chiave giornalistica, interviste inedite e traduzioni dei documenti. Senza alcuna presunzione didattica, si cerca di offrire una fotografia dinamica del contesto politico e sociale francese negli ultimi due anni, andando a cogliere quegli aspetti fondamentali che segnano l’evoluzione e la trasformazione del panorama d’oltralpe.
Qui la prefazione: http://contropiano.org/news/cultura-news/2019/04/08/la-francia-tra-macron-e-melenchon-la-sfida-di-france-insoumise-0114256
Pubblichiamo l’intervista a Clémentine Autain (deputata di France Insoumise e direttrice della rivista Regards) realizzata da Andrea Mencarelli e contenuta nel libro. Si ringrazia Giada Pistilli (Potere al Popolo! Parigi) per la collaborazione e per la trascrizione dell’intervista.
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Sei stata tra i firmatari de “L’appello dei 58” (“Noi manifestiamo durante lo stato di emergenza”), a seguito della decisione di François Hollande di attuare lo stato di emergenza dopo gli attacchi del 2015. Hai sostenuto la mozione di rifiuto dell’estensione voluta da Emmanuel Macron, in quanto pregiudizievole per le libertà civili e il diritto di manifestare. Le conseguenze sui dimostranti sono state visibili durante la lotta contro la Loi Travail e la COP21. Recentemente, Amnesty ha dichiarato che il diritto di manifestare è sotto minaccia in Francia, in particolare nel contesto degli ultimi mesi con la mobilitazione dei Gilets Jaunes. Questo rischio esiste davvero?
Dall’epoca di Thatcher in poi, c’è stato un binomio ben funzionante tra il liberalismo economico e la deregolamentazione, da un lato, e una maggiore repressione e autoritarismo, dall’altro. Tutto ciò contrariamente alla favola che ci è stata raccontata per molto tempo, secondo la quale sarebbero stati il comunismo e le esperienze in stile sovietico ad essere etichettate come totalitarismo, e quindi società liberticide. Inoltre, ci hanno raccontato che il capitalismo avrebbe naturalmente portato con sé più libertà, più democrazia…
Siamo in una nuova fase politica ed economica in cui vediamo un’affermazione dello Stato attraverso un maggiore controllo sociale. E in Francia questo non è del tutto nuovo. Direi che con Macron, a differenza della sua parvenza (il fatto che sia giovane, che affermi di essere “moderno”, che sembri aperto e amichevole), non ci aspettavamo necessariamente che ci cadessero addosso leggi così violente dal punto di vista dei diritti umani.
La prima, che credo abbia avuto un impatto significativo sulla mente delle persone, è stata l’incorporazione delle misure di emergenza nel diritto comune: esse hanno trasposto misure eccezionali nel diritto comune (la prima legge che viola i diritti e le libertà fondamentali). Poi hanno fatto questa Loi Asile-Immigration, che è prima di tutto uno scandalo in relazione all’obbligo di umanità necessaria nel momento storico che stiamo attraversando, ma è anche uno scandalo insieme al fatto che Macron si è presentato ai francesi come il bastione contro l’estrema destra.
Il governo si vantava di aver trovato un equilibrio, dicendo: “È protezione e fermezza”. Questo equilibrio non è affatto presente nel testo, poiché non migliora per niente i diritti dei migranti. Al contrario, la legge complica la possibilità di accedere a un permesso di soggiorno e di essere accolti in Francia. Contiene misure particolarmente inaccettabili, come quelle che consentono l’incarcerazione di giovani minori.
Quindi, non solo tutto rimane complicato nel diritto di accesso al permesso di soggiorno (è quindi la fermezza che ha dominato), ma ci sono anche misure molto dannose per i diritti dei bambini, il che è assolutamente allucinante.
Dall’arrivo di Macron come Presidente della Repubblica, la situazione sembra essere peggiorata sotto i suoi stessi auspici, come dimostra anche il caso Benalla.
A mio parere, non si dice abbastanza, ma l’ONU ha ripreso la situazione francese; c’è un funzionario dell’ONU che è venuto a redigere una relazione preliminare in estate e che ha messo in guardia sulla questione delle libertà pubbliche in Francia. Siamo quindi in una situazione di conflitto… per non parlare del profilo monarchico del nostro Presidente della Repubblica: egli è veramente il monarca! E lui stesso ci aveva avvertito! Durante le elezioni ha detto in sostanza che i francesi avevano bisogno di un re!
I francesi sarebbero nostalgici del re ed è per questo che lo chiamano Giove. E il caso Benalla evidenzia questo rapporto con i diritti e la giustizia, poiché il Presidente della Repubblica ne ha parlato molto chiaramente. In Francia è un grosso scandalo che ci ha tenuto molto occupati la scorsa estate – e non è ancora finita! Perché ogni giorno ci sono nuovi pezzi della storia che vengono aggiunti.
É pazzesco: in questo caso, quando si deve effettuare una perquisizione a casa di una persona prossima al Presidente della Repubblica, questa può essere rinviata al giorno successivo. Nel frattempo, la cassaforte che gli investigatori erano andati a prendere è scomparsa nella notte…
E Benalla ha passaporti diplomatici che avrebbero dovuto essere restituiti dopo il suo licenziamento, ma l’amministrazione non li ha dichiarati nulli e lui è andato all’estero a fare i suoi affari!
Anche l’apparato statale repressivo ha trovato nuovi metodi e meccanismi per reprimere le proteste sociali degli ultimi anni, derivanti dalla crisi economica e dalle politiche liberali dei governi di Hollande e Macron.
Poiché il sistema economico sta colpendo molto violentemente le persone, è imperativo avere un modo per controllare la rabbia legittima, che certamente si esprimerà. E così, per arginarla, ci sono oggi mezzi di coercizione piuttosto violenti. Inoltre, il movimento dei Gilets Jaunes è stato represso ad un livello mai visto dal maggio 1968. Abbiamo avuto più di 5.000 persone in garde à vue, più di 1.000 feriti (dati di gennaio), alcuni dei quali gravemente (avendo perso una mano o un occhio), per l’uso di flashball a tutto campo e delle famose granate GLI-F4 (che sono utilizzate solo in Francia) e un tono di violenza estremamente eccessivo.
I sindacati sono in difficoltà anche perché il ruolo negoziale e di mediazione che hanno svolto nel XX secolo è al livello minimo. Perché tutti i governi che si sono succeduti – non è solo Macron, ma comincia già da prima – non giocano più un ruolo nel mediare e dare guadagni ai sindacati…
Quindi siamo in una situazione in cui la partita si gioca altrove – è il caso del movimento dei Gilets Jaunes – perché c’è un problema di credibilità anche per i sindacati relativa alla loro capacità di essere buoni convogli per migliorare le condizioni di vita e di lavoro e far progredire le rivendicazioni.
Così tutto ciò accade all’esterno del gioco istituzionale e si crea una situazione di crisi sociale e politica. Inoltre, la questione della mediazione è una vera problematica, specialmente in una società in cui tutte le possibilità di mediazione sono state tagliate fuori (quelli che in Francia rappresentano i “corpi intermedi”).
Abbiamo parlato del movimento dei Gilets Jaunes. Puoi darci in breve la tua opinione sulle rivendicazioni?
Quello che ci ha colpito in Francia è che, di solito, mobilitazioni sociali di questo tipo hanno a che fare con il movimento operaio; significa che sono spinte, infuse, penetrate dai sindacati, dalle forze comuniste/socialiste (sto parlando delle lotte del XX secolo e anche dell’inizio del XXI secolo).
Dall’inizio del XXI secolo, ma già da prima (’95, il movimento dei pensionati, il movimento degli insegnanti, il CPE…), tutte le lotte sociali che abbiamo avuto negli ultimi decenni sono state fatte da movimenti in cui noi ci siamo comportati naturalmente, come pesci nell’acqua, e li abbiamo sostenuti.
Qui, con i Gilets Jaunes, il fenomeno è abbastanza nuovo: ci troviamo con una mobilitazione che non è guidata da dirigenti di organizzazioni note al movimento operaio, sostenute in parte dall’estrema destra e molto da noi – il che è estremamente atipico!
É necessario essere in grado di comprendere questa situazione senza precedenti. Questo riguarda sia la parte di persone che si sono mobilitate per via della loro appartenenza geografica, abbastanza chiara in quei luoghi come le rotatorie, e che corrisponde ad un certo tipo di popolazione che costituisce il popolo, ma non l’intero popolo!
Per esempio, io sono deputata di Seine Saint-Denis… Nella periferia popolare non sto dicendo che non ci sono Gilets Jaunes, ce ne sono alcuni, ma non è un grande movimento come il movimento dei ferrovieri, infermieri (che all’inizio diceva “non vogliamo stare con i gilets gialli”).
La sfida e la difficoltà per il futuro sarebbe riuscire a federare queste diverse parti del popolo: assicurare che ci sia una possibile convergenza tra coloro che continuano ad esistere perché fanno parte della tradizione del movimento dei lavoratori e tra ciò che di nuovo si cristallizzando intorno ai Gilets Jaunes.
Se non arriviamo a questa convergenza, penso che ci troveremmo in una situazione pericolosa, perché ci potrebbe essere una lettura sommaria e superficiale, propria dell’estrema destra, che dirà “guardate, sono i bianchi della periferia di cui stiamo parlando, e che hanno voluto sfuggire a queste pericolose periferie dove c’è una popolazione risultato dell’immigrazione, loro rappresentano il vero popolo bianco, di commercianti, indipendente”.
Hai fortemente criticato il disegno di legge sui Gilets Jaunes proposto dal governo Macron, che, di fronte al desiderio di giustizia sociale e fiscale, distribuisce solo le briciole. Quali sono le responsabilità della sinistra, negli anni precedenti e soprattutto oggi?
Penso che sia stato necessario fin dall’inizio essere presenti, sia per andare lì (alle manifestazioni dei Gilets Jaunes) sia per anticipare con estrema precisione le difficoltà in cui ci saremmo trovati dopo. La nostra strategia è proprio quella di essere presenti, pur avendo chiari i limiti del pericolo che esiste, ovvero quello di offuscare i punti di riferimento politici. Avevamo anche bisogno di lungimiranza per capire che stavamo iniziando un rapporto di forza che ci era sfavorevole…
Voglio dire, Le Pen era al secondo turno delle elezioni presidenziali; il rapporto di forza in tutti i sondaggi dimostra ancora che non siamo davanti all’estrema destra, quindi sono in un certo senso più avanti di noi. Quindi, se non comprendiamo tutto questo, il voto sull’efficacia del discorso politico andrà più al Front National che a noi.
Penso che questa sia la sfida, come quando abbiamo lottato nel 2005 durante la consultazione sulla Costituzione europea, dove ci siamo trovati subito in quella che poteva essere trappola del “no”, dove c’era anche l’estrema destra. Il rischio è il tono del dibattito potesse essere quello del ripiegamento nazionale identitario, la xenofobia, ecc…
Invece abbiamo lottato bene, abbiamo fatto collettivi per il “no” al TCEU da sinistra, con sindacati, partiti politici, personalità, appelli di intellettuali. Era davvero un movimento centripeto, molto orizzontale e vario. Alla fine, abbiamo vinto la battaglia delle idee e ciò significa che il “no” è stato totalmente importato dalla nostra famiglia politica, dalle nostre idee per il progresso, per la nostra idea di Europa e non per la chiusura delle frontiere.
Il movimento dei Gilets Jaunes ci mostra come ci stiamo muovendo in un’era senza un vero e proprio movimento operaio e dei lavoratori. In più, il movimento delle donne in gilets giallo non mi è piaciuto affatto e su quello bisogna intervenire, perché ho sentito cose del tipo “noi siamo donne, ma non femministe”.
Dobbiamo provare a raccontare questa realtà dei Gilets Jaunes come sta facendo Ruffin. Quando dici qualcosa, il modo in cui lo fai contribuisce alla lettura del fenomeno, anche se credo che funzioni fino ad un certo limite. Ma di sicuro non si può vivere nel completo rifiuto di affrontare questa analisi e queste sfide.
Che dire del rischio di recuperi da parte dell’estrema destra?
Questa è la nostra difficoltà: come esserci dentro (ovviamente, perché è una rabbia popolare – come non essere sensibili ad un movimento che è contro le disuguaglianze territoriali e finanziarie?), ma vedendo che c’è una potenziale trappola. Isolare questa parte del popolo dal resto della popolazione sarebbe un rischio e un errore (penso in particolare alle periferie popolari o ai ferrovieri).
Come fare questa sintesi? Come federiamo questo popolo e come riusciamo ad essere ben identificati su una questione di progresso sociale, che non è assolutamente quella dell’estrema destra?
Non meno importante, ciò che il movimento dei Gilets Jaunes ci insegna molto chiaramente è che fino ad ora, quando abbiamo parlato di popolo, abbiamo avuto una visione che si basava principalmente sulla questione dello status o dello stipendio, e non sulla questione dell’appartenenza ad un territorio. Penso che la questione dell’uguaglianza territoriale (del territorio e degli stili di vita che lo accompagnano – perché quando ci si trova in un territorio sono coinvolti anche gli stili di vita) sia fondamentale.
Catherine Tricot (giornalista di Regards) lo dice in un articolo molto interessante su Le Monde, dove parla del desiderio di gran parte dei Gilets Jaunes, che si trovavano in fondo alla scala sociale e che vogliono fuggire dalla banlieue, ma che sognano di trasferirsi una casa con il proprio barbecue e avere una certa indipendenza professionale. Questo è ancora un sogno piuttosto liberale, che ha portato molte persone a contrarre debiti. In più, la distanza sempre maggiore dai servizi pubblici è una questione che non è mai stata affrontata e che rende la loro situazione ancor più difficile.
Quindi, questa questione del territorio, a mio parere, si presenta anche con i Gilets Jaunes e deve essere affrontata a testa alta. Abbiamo alcuni pensatori di quella che chiamiamo la geografia del capitale e di tutte queste questioni legate al territorio, due grandi pensatori come Henri Lefebvre e David Harvey, che hanno lavorato bene su queste sfide e su questo modo di pensare politicamente la questione del territorio.
Eri con i collettivi del 29 maggio per la campagna contro il Trattato costituzionale europeo, durante il referendum francese del 2005. Oggi nel programma politico per le elezioni europee di Francia Insoumise è chiaramente scritto che “bisogna uscire dagli attuali trattati europei”. Penso che la France Insoumise abbia ben articolato la sua posizione sull’Unione Europea e sul ruolo dei trattati europei. Puoi spiegare quali sono state per te le tappe principali di questa evoluzione?
Abbiamo capito chiaramente questa difficoltà all’epoca dell’episodio greco, che certamente rappresentava in Francia, anche nelle nostre sfere militanti, una terribile spina nel fianco, se confrontata ai nostri discorsi. Anche se ne eravamo già abbastanza consapevoli, credo che tutti abbiano ora compreso la determinazione della Troika e della violenza concreta che la Germania e tutti gli attori di questa logica possono assumere a livello europeo.
Quindi, comprendiamo bene la portata delle difficoltà, ma il nostro punto di partenza è poter affermare che “vogliamo essere in grado di implementare il nostro programma”, qualora venissimo eletti.
Vorrei aggiungere un secondo punto, oltre ad attuare il nostro programma, relativo al fatto che la storia ci ha insegnato che il socialismo in un singolo paese non dà ottimi risultati, soprattutto perché oggi siamo in un mondo sempre più globalizzato. Questo per dire che, in questo mondo globalizzato, l’idea che la Francia da sola, limitandosi entro i suoi confini, possa riuscire ad affrontare il capitalismo globalizzato è un’idea piuttosto folle.
Quindi, non si tratta esclusivamente della possibilità di applicare il nostro programma, ma della necessità di costruire una mobilitazione popolare a livello europeo che permetta di imporre in tutti i paesi un altro corso degli eventi.
Oggi l’Unione Europea sta andando verso il disastro – in più perde pezzi con la Brexit – e siamo in un momento in cui non sappiamo se e quanto questa tenuta durerà. Quello che vogliamo, intanto, è poter costruire delle collaborazioni di cooperazione con gli altri paesi.
Su questo punto siamo molto diversi dall’estrema destra, perché a questa non importa se c’è una più ampia solidarietà continentale internazionale, ma è soltanto interessata ai francesi in patria e non guarda al resto del mondo.
Quali sono le prospettive politiche, a questo proposito, dell’appello “E ora il popolo!”?
Trovo molto positivo che siamo riusciti a costruire una lista con elementi comuni, con Podemos, con Potere al Popolo, con Bloco de Esquerda, ecc… Per me questo appello comune e questo impegno è davvero una grande speranza per costruire questo progetto politico per l’Europa.
Dobbiamo ancora riflettere attentamente su come uscire da questi trattati, come fare alleanze che ci permettono di andare avanti non solo in Francia… ma il punto di partenza dell’appello “E ora il popolo” è davvero buono.
Come dicevo, c’è una questione fondamentale, ovvero applicare il nostro programma anche a livello europeo, essendo ben consapevoli che non riusciremo a farcela da soli e che abbiamo bisogno di una scala politica più ampia della sola Francia. L’Europa è quindi un ovvio sostegno, ma per il momento questa Unione Europea ci sta letteralmente portando allo sfascio, quindi dobbiamo riorientarla e questo significa sviluppare dei rapporti internazionali.
Tutti devono essere in grado di progredire. Lo si può e lo si deve fare insieme, elaborando solidarietà, integrazione e cooperazione internazionale tra i paesi che condividono questa visione. Quindi, oggi l’appello “E ora il popolo!” restituisce entusiasmo e permette di avviare questo processo, anche alla luce di quanto successo in Grecia qualche anno fa, quando i greci sono morti per mancanza di solidarietà.
Abbiamo partecipato alla riunione della corrente Ensemble-Insoumis in ottobre, nella quale Laurence Lyonnais ha introdotto il dibattito “Nè Macron, Nè Orban: quale orientamento per la campagna delle europee”. Come Potere al Popolo, si è detto che, dal punto di vista mediatico, esiste una falsa alternativa tra l’europeismo liberista di sinistra e il nazionalismo liberista di destra. Che ne pensi?
Penso all’esempio di Prodi, ovvero alla morte della sinistra italiana quando tutti si sono messi dietro Romano Prodi per “combattere meglio Berlusconi”. Non solo non sono ci sono riusciti, ma poi Berlusconi è diventato ancor più forte. Quell’idea è stata un fallimento totale. Il fatto che la sinistra italiana del tempo si sia allineata solo su questo tema, non solo ha reso Berlusconi più forte, ma ha affossato anche la sinistra stessa.
Noi ci siamo affidati al vostro contro-esempio, che penso sia rappresentato da quello che Mélenchon ha fatto con il Front de Gauche prima e ora con la France Insoumise: resistere, reagire, non lasciarsi coinvolgere nel fallimento di Hollande, senza rinunciare ai nostri valori e alle nostre idee in nome della lotta contro il Front National.
Proprio per esistere in futuro dobbiamo avere questa sinistra di rottura e di cambiamento. Ho l’impressione che il panorama politico in Francia non è lo stesso del vostro in Italia, perché abbiamo anche imparato qualcosa dall’evoluzione del Movimento 5 Stelle e da come questa alleanza di governo con la Lega sia un disastro.
In questo momento, direi che il caso del M5S serve anche più come supporto quando diciamo di “fare attenzione a quello che facciamo e dove andiamo”. Oggi l’estrema destra “modernizzata” trova punti di vicinanza e di alleanza anche con quella che in Francia è la destra repubblicana, con la quale ci sono relazioni molto importanti che stanno diventando operative (intorno a Marion Le Pen, ma anche con Mariani, che viene comunque da quell’area e che ora si trova a sostegno di Marine Le Pen e del Front National). Possiamo comprendere come il recente posizionamento del FN sta facendo saltare in aria gli argini che erano stati posti da Jean Marie Le Pen, con questo partito che si sta muovendo verso una soluzione di maggioranza.
C’è un senso della storia in Francia e non dobbiamo perderlo. Vedo che tra i giovani non è sempre ovvio: l’antifascismo, il rifiuto assoluto e viscerale dell’estrema destra… non riesco a ritrovarli nei giovani che hanno 20-30 anni. E tutto questo l’abbiamo visto al secondo turno delle elezioni presidenziali, quando tanti giovani si sono trovati a dover votare Macron o Le Pen: “Le Pen è terribile, ma Macron è l’inferno liberale”. In questo senso, il rischio si concretizza nel discorso “l’estrema destra non è buona, sono razzisti, ma alla fin fine…”. Inoltre, Marine Le Pen è forte e ha risorse economcihe alle sue spalle, non deve essere sottovalutata per la rilevanza della battaglia da combattere.
Qual è il nostro ruolo nel rompere questa falsa dicotomia tra due visioni che rappresentano due facce della stessa moneta?
Penso che, di fronte a loro, ciò che ci rende efficaci è opporre a una visione coerente. Per questo motivo continuo a credere che la lotta all’immigrazione non sia una lotta marginale. É una lotta che va combattuta e che dobbiamo immaginare che possa assumere un ruolo guida nel paese, soprattutto quando tra l’opinione pubblica c’è il 70% dei francesi che oggi pensa che non possiamo più accogliere i migranti… è un orrore!
Dobbiamo vincere questa battaglia, dobbiamo combatterla contro l’estrema destra, ma anche contro Macron. Guardando i migranti che muoiono nel Mediterraneo e pensare che Francia, Italia, ecc… nessuno è in grado di accogliere una barca con 30 o 40 migranti che rischiano la morte, mi sembra davvero assurdo. Francamente, penso che dobbiamo lavorare su questo perché dobbiamo convincere la gente del contrario.
Un altro tema è sul quale lavorare è quello della battaglia ambientale, anche in opposizione all’estrema destra. Molto spesso è scettica sulle questioni ambientali e climatiche, ma anche quando ammettono che c’è un problema di questo tipo, non li sentirete mai parlare di ecologia, perché non è assolutamente il loro argomento.
Infine, un altro tema di confronto è relativo alla questione della democrazia e delle libertà. Su questo punto, noi pensiamo che abbiamo bisogno di una Sesta Repubblica. Per farla dobbiamo opporci all’estrema destra, combattendo queste battaglie.
Ad esempio, le questioni relative alla redistribuzione della ricchezza e all’accoglienza dei migranti possono essere utilizzate per fare una chiara differenza con lo status quo difeso dalle politiche liberali di Macron e dalle politiche reazionarie di Le Pen.
Se c’è una questione sulla quale stiamo facendo bene, è quella della redistribuzione della ricchezza, una battaglia sulla quale c’è una convergenza abbastanza forte con i Gilets Jaunes. Macron è arrivato, ha abolito l’Impôt de Solidarité sur la Fortune, ha donato miliardi ai più ricchi e poi spiega al popolo che ora, a causa dell’elevato debito pubblico, deve fare dei sacrifici.
Ovviamente tutto ciò non può funzionare. Eppure l’estrema destra non si è posizionata con forza né in aula né a livello globale contro questa riforma dell’ISF. Inoltre, è anche contraria all’aumento del salario minimo, ovvero una delle rivendicazioni essenziali dei Gilets Jaunes. Pertanto possiamo dire che la redistribuzione della ricchezza non è una faccenda che interessa né Macron né Le Pen. Penso che spetti a noi portare avanti questa battaglia, soprattutto perché la loro visione sociale ed economica è stata messa in discussione da più parti ed è un completo fallimento.
La mia convinzione è che dobbiamo essere concentrati su un progetto sociale più globale, non solo nel dimostrare che il Front National sta mentendo. Bisogna indicare chiaramente che tipo di politiche vuole mettere in campo e dire espressamente che noi non siamo d’accordo!
Non penso che dovremmo mettere il tema dell’immigrazione sotto il tappeto, perché sarebbe aberrante, come altre questioni che non sono immediatamente popolari. Penso che ciò ci renderà veramente credibili e dobbiamo andare a prendere le persone sulle tematiche di sinistra.
L’espressione sembra non avere più alcun significato, perché la parola “sinistra” stessa è stata così maltrattata durante il quinquennio di Hollande. Quindi è un problema quando si arriva sui media e si dice la parola ” sinistra” perché per molte per molte persone non significa più niente.
D’altra parte, credo è che ci sono alcune convinzioni nelle caratteristiche più profonde del paese che sono dalla parte di questo progresso, di questa emancipazione umana. Ad esempio, se si guarda alla mappa elettorale del voto di Mélenchon, si può notare una corrispondenza, non totale ma in buona parte, con la mappa elettorale del voto storico verso il PCF. I sobborghi rossi, come per esempio quello di Seine Saint-Denis, dove il PCF faceva punteggi assolutamente incredibili, Mélenchon ha ottenuto i suoi punteggi migliori.
C’è un potenziale per risvegliare non solo tutte le persone che da sempre hanno votato in quel modo, ma anche tutti quelli che ormai sono disillusi ma che condividono questo nostro stesso punto di vista.
A livello politico, sei sempre stata attiva sui temi dell’emancipazione femminile e della parità di genere. Qual è la situazione attuale in Francia?
La sfida per la parità di genere in Francia è passare dall’uguaglianza formale a quella sostanziale. Nel XX secolo sono stati conquistati diritti, tra cui il diritto di voto, il diritto all’aborto (almeno la liberalizzazione dell’aborto), e altri importanti progressi legali che fanno sì che l’uguaglianza sulla carta esista in un certo modo.
Però, la difficoltà che abbiamo è come passare da questa parità di diritti formale a un’uguaglianza praticata nella vita reale, il che significa lottare duramente contro ogni forma di sessismo e coinvolgere le autorità pubbliche in questo settore. E per farlo, non vedo come si possa combattere questa battaglia nel quadro dell’austerità. Perché un modo per combattere queste forme di sessismo è sviluppare moduli didattici sul tema, formare personale per accogliere donne vittime di violenza, creare assistenza nel tessuto sociale e luoghi di ascolto.
Sono solo alcuni esempi concreti, ma che dimostrano che abbiamo bisogno di investimenti pubblici per sostenere la transizione verso una società egualitaria dal punto di vista popolare.
Hai detto che con la Loi Asile-Immigration “le porte si stanno chiudendo mentre il Mediterraneo diventa un cimitero”. Hai denuncia il caso della nave Sea Watch e hai fatto un appello per interrogare politicamente il governo francese e l’Unione Europea, a seguito del rifiuto del governo italiano di accogliere la nave. Per quanto riguarda questa deriva xenofoba e securitaria che interessa molti paesi europei, quali politiche dovrebbero essere messe in atto per affrontare quello che qualcuno chiama il “problema dell’immigrazione”? Sempre se esiste un problema reale su questo tema…
Contestiamo fermamente il fatto che vi sia un problema di immigrazione, perché oggi assistiamo invece a una crisi di accoglienza. Non c’è nessuna invasione, non è vero. Dobbiamo portare la discussione e il dibattito al livello adeguato. Ci impegniamo per i diritti di tutte di tutti e crediamo che questa Loi Asile-Immigration è estremamente rigida nei confronti dell’accoglienza, producendo situazioni di illegalità e di mancanza di protezione, aggravando anche la divisione che esiste tra i lavoratori che hanno i documenti e quelli che non li hanno. Quindi, tutto questo sistema è assolutamente catastrofico e dobbiamo lottare per affermare una logica dell’accoglienza incondizionata.
È estremamente urgente vista la situazione nel Mediterraneo, per poter affermare prima di tutto il dovere all’umanità. Per quanto riguarda la regolarizzazione delle persone che si trovano sul nostro territorio, riteniamo già che tutti coloro che lavorano dovrebbero poter essere regolarizzati e che il ricongiungimento familiare non dovrebbe ancora essere impedito, ma al contrario incoraggiato.
Voglio ribadire con chiarezza che i problemi della Francia non sono in alcun modo legati all’immigrazione, come qualcuno vuole far credere. Dobbiamo adoperarci per contrastare questo ripiegamento xenofobo e per farlo non possiamo impedire a queste persone di avere diritti e di essere accolte con dignità. Pertanto, se vogliamo fare dei progressi dobbiamo affrontare la questione con la dovuta attenzione, mettendo in campo un discorso chiaro di apertura e non di ritiro.

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