Il
18 aprile è uscito nelle librerie “La France tra Macron e Mélenchon. La
sfida di France Insoumise” (Pgreco Edizioni, 2019) di Giacomo
Marchetti, Andrea Mencarelli e Lorenzo Trapani. Il libro indaga tre
differenti “oggetti politici”: l’affermazione e la crisi del Macronismo,
la crescita e il posizionamento politico de La France Insoumise, lo
sviluppo e le dinamiche del grande movimento di protesta popolare dei
Gilets Jaunes.
Le
questioni sono numerose, articolate, intrecciate, complesse, risultato
di una realtà oggettiva che richiede uno sforzo maggiore di
comprensione, andando a coniugare all’attenzione quotidiana un
approfondimento concreto, soprattutto in una fase di accelerazione degli
eventi e di loro continua evoluzione. Il libro rappresenta un tentativo
in questa direzione, attraverso una cronaca ragionata basata sulla
rielaborazione dei contributi pubblicati in chiave giornalistica,
interviste inedite e traduzioni dei documenti.
Senza
alcuna presunzione didattica, si cerca di offrire una fotografia
dinamica del contesto politico e sociale francese negli ultimi due anni,
andando a cogliere quegli aspetti fondamentali che segnano l’evoluzione
e la trasformazione del panorama d’oltralpe.
Pubblichiamo
l’intervista a Manuel Bompard (secondo candidato sulla lista de La
France Insoumise alle europee) realizzata da Andrea Mencarelli e
contenuta nel libro.
***
Vorrei
iniziare con una questione che considero importante per comprendere la
forza politica della France Insoumise, soprattutto oggi. Si tratta delle
perquisizioni giudiziarie contro il movimento, presso la sua sede e
presso la casa di Mélenchon e di altri deputati. In quell’occasione,
avete parlato di un colpo di forza di polizia, giudiziario e politico.
Potresti spiegarci meglio cosa è successo e motivare la vostra
posizione?
Si
tratta di un’operazione che ha avuto luogo in ottobre ed è stata per
noi molto sorprendente per le dimensioni del dispositivo di polizia che è
stato utilizzato. Infatti, sono stati mobilitati circa 100 agenti di
polizia, che normalmente è il numero di persone che si mobilitano per
far fronte a eventi su temi di terrorismo, criminalità organizzata, ecc.
Quindi siamo rimasti francamente ed estremamente sorpresi da queste
perquisizioni, che fanno seguito a due “casi” (come sono stati
considerati dal governo).
Il
primo è la questione degli assistenti parlamentari di Mélenchon:
fondamentalmente i sospetti sono di aver utilizzato i suoi assistenti
parlamentari per compiti diversi da quelli per i quali sarebbero
preposti, cosa che ovviamente noi contestiamo con prove alla mano. Al di
là di questo, è una storia che nasce da una denuncia di una eletta del
Front National, poiché essi stessi sono stati presi di mira da queste
stesse questioni e quindi potremmo dire che “non siamo gli unici”. Ma in
ogni caso, non avevano il diritto e il motivo di impiegare un
dispositivo di tale portata.
Il
secondo argomento riguarda i conti della campagna presidenziale, perché
questi in Francia sono regolamentati in modo rigoroso attraverso regole
molto severe. I conti della nostra campagna sono stati convalidati e
c’è una commissione nazionale per i conti della campagna che li
convalida, ma il governo ha preteso di indagare ulteriormente su un
certo numero di casi di finanziamento in cui vengono avanzate accuse di
sovrafatturazione, cioè operazioni per le quali ci si accusa di aver
aumentato artificialmente il prezzo. Noi contestiamo le accuse
presentate.
C’è
un solo elemento che permette di dimostrare tutto ciò: la campagna di
Mélenchon è stata la più lunga campagna presidenziale perché è iniziata
nel febbraio 2016 per un’elezione che si è svolta nell’aprile 2017 ed è
stata la meno costosa, se rapportata al numero di voti. Siamo stati
accusati di sovrafatturazione quando non abbiamo nemmeno utilizzato
l’intera somma di denaro consentita in questa campagna presidenziale.
Si
è trattato quindi di un dispositivo giudiziario molto duro, che abbiamo
effettivamente considerato come un modo per colpire la nostra
credibilità, per attaccare la nostra capacità di essere un’alternativa.
Tutto ciò, dal nostro punto di vista, è stato chiaramente guidato e
ordinato dal potere politico del governo *.
Passando
all’attualità delle mobilitazioni di queste settimane, tu sei tra
quelli che non hanno esitato a indossare il gilet giallo. Potresti darci
brevemente la sua opinione su questo movimento, sulle sue
rivendicazioni e soprattutto sulle sue prospettive?
Prima
di tutto per noi si tratta di un tipo di movimento sociale abbastanza
nuovo, poiché i movimenti sociali tradizionali sono stati organizzati
intorno alle rivendicazioni in un’azienda o intorno a una grande
questione sociale, spesso guidati e strutturati da organizzazioni
sindacali. In questo caso, si tratta di un movimento che è nato
completamente dall’autorganizzazione, senza ricorrere a strutture
preesistenti.
Si
tratta di un movimento che è nato intorno ad una questione che ha
rappresentato una sorta di goccia che ha fatto traboccare il vaso,
ovvero l’aumento delle accise sul prezzo dei carburanti. É un movimento
che sta crescendo attraverso i social network e altre nuove forme di
comunicazione per mettere in contatto i cittadini.
Riteniamo
che questo sia un momento molto interessante, soprattutto perché fa
parte delle nostre riflessioni strategiche su quella che abbiamo
chiamato “rivoluzione cittadina”, ovvero l’idea che l’attore
rivoluzionario del XXI secolo non è il proletariato organizzato nelle
fabbriche, ma è il popolo. Oggi il popolo si organizza intorno a
questioni legate alla capacità di integrazione nello spazio urbano,
quindi sulla questione dei servizi e dell’accesso ai bisogni primari.
Non per niente questo movimento è iniziato su una questione come quella
relativa al trasporto e alla mobilità.
Con un po’ di ironia ma con molta serietà, troviamo molte analisi che erano già state fatte nel libro di Mélenchon intitolato ” L’ère du peuple“,
un libro che ha cercato di analizzare quali potrebbero essere i
processi rivoluzionari del XXI secolo. Vediamo che non ci si è affatto
sbagliati sulle previsioni… anche se tutto non accade esattamente come
descritto nei libri. In ogni caso, abbiamo avuto delle intuizioni non
troppo falsate su quello che potrebbe essere oggi un grande movimento
sociale del XXI secolo e pertanto è il punto di vista che abbiamo sul
movimento dei Gilets Jaunes.
Abbiamo
scelto fin dall’inizio di sostenere questo movimento: siamo stati
criticati per questo, soprattutto perché è un movimento di collera, di
rabbia, che al tempo stesso porta con sé proteste estremamente diverse.
Sì, ci potrebbero essere in questi movimenti di protesta espressioni che
non sono affatto le nostre, come quelle che considerano l’immigrato
come un problema. Noi, per ciò che abbiamo visto e analizzato, crediamo
che, anche se ci dovessero essere idee di questo tipo, queste in realtà
sono estremamente minoritarie nel movimento e, in ogni caso, non è ciò
che oggi emerge tra le principali rivendicazioni sociali e politiche.
Le
principali rivendicazioni di questo movimento possono essere
classificate in tre categorie. C’è una richiesta di giustizia fiscale:
le persone non sono totalmente contrarie alle imposte tout court, ma si oppongono a un’imposizione iniqua, concentrandosi molto sulla questione dell’abolizione de l’Impôt de Solidarité sur la Fortune (l’imposta
sul patrimonio) decisa da Macron. Quindi, le persone accettano senza
problemi di pagare le tasse, se solo queste sono relazionate e
progressive rispetto al loro reddito e permettono di finanziare i
servizi pubblici… solo che oggi paghiamo più tasse e abbiamo meno
servizi pubblici.
Inoltre,
c’è il bisogno di lottare contro l’elevato costo della vita, con
persone che affermano che oggi non sia possibile vivere in questa
società, un caro-vita troppo elevato che non permette di arrivare alla
fine del mese. Di conseguenza, vengono richiesti l’aumento dei salari,
l’aumento delle pensioni, un’aliquota IVA ridotta per i beni di prima
necessità… insomma, chiare rivendicazioni sociali.
Infine,
un terzo punto molto forte, che è arrivato un po’ più tardi nel
movimento, riguarda le rivendicazioni di partecipazione democratica,
legate all’idea che l’attuale Quinta Repubblica in Francia abbia preso
le distanze dal popolo, limitando la sovranità popolare, con i cittadini
che non si sentono ascoltati. A loro viene chiesto una volta ogni
cinque anni di esprimersi, di votare nelle elezioni presidenziali e
subito dopo gli viene detto di tornare a casa, perché “ci occupiamo noi
di tutto”.
Inoltre, ci sono anche altri argomenti presenti, tra cui la questione ecologica: mentre questo movimento è stato presentato a priori
come anti-ecologico, in realtà da più parti è stato ribadito che il
movimento dei Gilets Jaunes è interessato alle questioni ecologiche, ma
quelle di un’ecologia popolare e non quella dove è il popolo che deve
pagare il conto mentre le multinazionali inquinano e distruggono il
pianeta.
Su questo movimento hai detto che “il popolo è salito sul tavolo”. Quali sono le responsabilità della sinistra oggi?
Dal
punto di vista delle tematiche sull’ecologia, il 95% di queste
affermazioni sono quelle che si trovano anche nel nostro programma,
quindi non ci sarebbe motivo per non sostenerlo. Ma, al di là di questo,
riscontriamo soprattutto delle divergenze con parte della sinistra
tradizionale. Infatti, noi crediamo che il posto della sinistra sia al
fianco, insieme, dentro al popolo e ai settori popolari, soprattutto
quando questi si mobilitano e anche se a volte ci possono essere punti
sui quali non si è totalmente d’accordo.
Il
nostro compito è quello di condurre la battaglia culturale per
convincere queste persone che il problema non è l’immigrato ma è il
banchiere, ovvero fare un lavoro diretto di organizzazione, non di
restare a distanza e dare lezioni dall’alto di un piedistallo per dire
che non sono “brave persone”. Noi abbiamo fatto il contrario, ci siamo
uniti a questo movimento, e ora lo sosteniamo. Non abbiamo mai cercato
di mettere il cappello sulle persone che vi partecipano. Ci sono molte
persone provenienti dalla France Insoumise che vi partecipano, ma non si
presentano come insoumis all’interno di questo movimento, piuttosto come cittadini.
Abbiamo
la percezione che a poco a poco la gente stia cominciando a capire che
anche la France Insoumise sta portando avanti le stesse rivendicazioni,
infatti siamo sempre stati ben accolti sulle rotatorie e nelle
manifestazioni. Per noi, quello dei Gilets Jaunes, è un movimento che va
nella giusta direzione per le sue rivendicazioni sociali e non credo
per niente all’idea che sarebbe alla fine il Front National che potrebbe
trarne beneficio. Questa è soltanto una manovra mediatica per cercare
di stigmatizzare questo movimento.
La
mobilitazione continuerà e non credo assolutamente che si fermerà o si
accontenterà del “grande dibattito” lanciato da Macron. Penso che il
movimento proseguirà ogni sabato – è quello che speriamo – e credo alla
fine tutto ciò si tradurrà in un ritorno al voto.
Hai citato l’abolizione dell’ISF… vorrei parlare un po’ della Macronie
in generale, perché possiamo leggere questa serie di politiche
antisociali nel contesto dell’austerità imposta dall’Unione Europea.
Inoltre, penso ha quello che ha affermato di recente Mélenchon, ovvero
che “Macron dice sì a tutto ciò che la Merkel chiede”. Qual è la tua
opinione generale sulle politiche messe in atto dal governo di Macron?
Penso
che, contrariamente a quanto volevano far apparire, Macron non è una
novità francese e voi, in Italia, conoscete bene il modello del
macronismo, che ormai si è diffuso in gran parte dell’Europa e che si
sostanzia in realtà in un sistema di grande coalizione tra i
socialdemocratici e la destra. Ritengo che Macron sia riuscito ad
elaborare un modello di grande coalizione proprio all’interno del suo
partito, pertanto non c’è più bisogno di costruire una grande coalizione
attraverso un’alleanza tra i socialdemocratici e la destra liberale a
livello nazionale, perché l’ha già fatta da sé.
Se
vogliamo caratterizzare il macronismo, penso che si tratti di politiche
economiche ultra-liberiste. Dietro la facciata della novità e quella
simpatia c’è un regime autoritario, capace di una brutalità e di una
violenza sociale di classe inaudita. Eppure si avvolgono nella bandiera
della novità e del rinnovamento. In Francia ci sono stati molti articoli
sul fatto che Macron ha rinnovato il “personale politico” ed è
probabilmente vero in termini di volti, ma non in termini di diversità
sociale nella sua rappresentanza nazionale. Penso che, per quanto Macron
possa avere una propria forma e faccia, egli rappresenti l’ultima
risorsa del sistema, ovvero come diceva uno scrittore italiano ”
cambiare tutto affinchè non cambi nulla”.
Inoltre,
c’è un filosofo francese – un filosofo dell’oligarchia in Francia – che
si chiama Alain Minc e che ha definito Macron come un “populista
mainstream”, ovvero egli ha vestito i panni del rinnovamento per
mascherarsi e poter preservare il sistema. È così che vedo Macron e
penso che la sua elezione faccia parte di un’ondata di disimpegno
politico in Francia, dove tutte le forme tradizionali sono state messe a
distanza. Lui è stato un po’ il joker del sistema per cercare di
catturare questa ondata di disimpegno, senza che ciò potesse portato ad
una trasformazione radicale di questo sistema.
Credo
che oggi Macron sia anche in grande difficoltà e, avendo vinto con una
mossa di poker, questa è ancor più grave perché non ha una base sociale
solida. Si avverte che ci sono dei problemi all’interno del suo
movimento. É chiaro che, approcciando alla politica come un movimento di
grande coalizione già al proprio interno, lui stesso iscrive
chiaramente la sua politica negli orientamenti del liberismo dell’UE e
dell’ortodossia tedesca. Il discorso è sempre lo stesso: “credetemi,
vedete che farò cambiare idea alla Merkel, la costringerò ad essere
accondiscendente, ma poi alla fine ogni volta torna indietro dicendo che
è d’accordo“.
Quindi non ci sarà mai alcun cambiamento in Europa con Macron a capo della Francia.
Hai
parlato delle elezioni europee e come France Insoumise avete detto che
queste sono un’opportunità per sanzionare la politica di Macron. A mio
avviso, c’è qualcosa di più. Avendo tradotto integralmente il vostro
programma politico per le elezioni europee, non si può far a meno di
notare che avete scritto espressamente che “bisogna uscire dagli attuali
trattati europei”. Inoltre, alla Convenzione di Bordeaux del 2018, hai
affermato che “l’Europa è una grande idea, ma i trattati che la
organizzano sono un colossale disastro”. Come si può cambiare questa
situazione – se può essere cambiata – con una strategia come quella del
piano A / piano B?
C’è
una dimensione nazionale nella campagna europea e questa rappresenta
una sorta di referendum anti-Macron. C’è ovviamente anche una dimensione
europea più generale, nella quale articoliamo la nostra concezione e la
nostra visione dell’Unione Europea, condannando fermamente l’UE dei
trattati che organizza l’austerità, che impone un orientamento economico
a tutti i suoi Stati membri, che respinge l’armonizzazione sociale e
fiscale, che promuove il dumping e la concorrenza tra i popoli, che
porta l’Europa in una situazione di totale disastro.
Oggi
molti popoli, soprattutto quelli privilegiati, stanno optando per
soluzioni per loro stessi, perché per molti cittadini oggi l’UE è un
problema e non è assolutamente parte della soluzione. É da molto tempo
che diciamo che questa Unione Europea non può continuare così e abbiamo
bisogno di una strategia chiara per affrontare le istituzioni europee.
Abbiamo osservato che da 30 anni in questo paese i socialisti si sono
battuti dicendo “domani cambieremo l’Europa” e poi, una volta che
finalmente sono arrivati al potere, hanno ceduto e lo hanno fatto per
una semplice ragione: i Trattati europei dicono che in ogni caso, se si
vuole cambiare qualcosa, bisogna avere l’unanimità degli Stati membri.
Tuttavia, sappiamo benissimo che non si avrà mai l’unanimità degli Stati membri.
Abbiamo
quindi bisogno di una strategia, una strategia che sia in grado di
imporre un rapporto di forza e che utilizzi il peso della Francia – un
paese importante all’interno dell’Unione Europea – per spezzare questa
camicia di forza dell’unanimità e costringere alla rinegoziazione.
Questo può essere possibile a partire dal rapporto di forza che la
Francia può far valere a livello europeo.
Nelle
elezioni europee parleremo del “piano A/piano B” e parleremo
dell’Europa come la vediamo noi, ma non pensiamo che siano le elezioni
europee stesse a rendere possibile il cambiamento. Crediamo che per
cambiare radicalmente l’Unione Europea – per uscire dai trattati –
dobbiamo prendere il potere a livello nazionale. Il “piano A/piano B”
sarà utilizzato nelle elezioni europee, ma è soprattutto una strategia
nazionale con un governo della France Insoumise.
Prima
di tutto, dobbiamo ricordare che non siamo per il Frexit, la nostra
linea non è lasciare l’Europa domani, ma è di imporre un rapporto di
forza mettendo sul tavolo una serie di condizioni. Questo è il piano A
da attuare, dicendo agli altri paesi “questo è quello che vogliamo”: la
fine dell’indipendenza della Banca Centrale Europea, il ritiro degli
articoli dei trattati che proibiscono l’armonizzazione sociale e
fiscale, la fine della difesa europea, la fine dell’inclusione della
difesa europea nella NATO, l’abolizione della direttiva sul distacco dei
lavoratori, la fine delle due deregolamentazioni Two Pack e Six Pack, che richiedono bilanci di austerità.
In
breve, stabiliamo un certo numero di condizioni, dicendo agli altri
Stati membri che possiamo mobilitarci e negoziare. Ma sappiamo molto
bene che in una trattativa di questo tipo, se arrivi imponendo tutto ciò
ma non hai possibilità di alternative, la persona di fronte a te
risponde “molto bene, ma non siamo d’accordo” e ti rimanda a casa. Per
questo dobbiamo avere un piano B affinché il piano A sia credibile.
Il
piano B non è che la Francia farà tutto da sola. Il Piano B entra nella
fase negoziale del Piano A: quando diciamo che siamo intenzionati a
metter fine all’indipendenza della Banca Centrale Europea, ad esempio,
ci saranno altri paesi dell’Unione Europea che diranno “siamo d’accordo
con le rivendicazioni francese”. Dunque, se alla fine non ci riusciamo è
perché al tavolo delle negoziazioni ci sono quelli – soprattutto
tedeschi – che non condividono questa visione.
In
questo caso, l’idea è di dire che costruiremo un’altra cooperazione
europea con i paesi che hanno detto “siamo d’accordo con la Francia”.
Perché spesso veniamo caricaturati, dicendo che il piano B significa la
Francia si sta ritirando su sé stessa. Al contrario, è la Francia che si
impegna a costruire una cooperazione europea diversa da quella dell’Unione Europea.
Ma
se non hai questo piano B, cioè la possibilità tutto ciò in modo
diverso, gli altri non si arrenderanno mai. Quello che noi vogliamo è il
piano A, non il piano B; ma per riuscire ad avere il piano A abbiamo
bisogno del piano B, quindi avere la possibilità di utilizzare un’arma
nel rapporto di forza che dice “attenzione, che ti prenderai una pesante
responsabilità se non dici nulla, perché noi lo faremo lo stesso con
gli altri”.
Tutti
sanno molto bene che la Francia non è la Gran Bretagna: non può uscire
nello stesso modo perché, se la Francia lascia l’Unione Europea o decide
di costruire una cooperazione con altri, non c’è più l’Unione Europea
come la conosciamo oggi.
Si tratta di una logica necessaria ad evitare di replicare la capitolazione di Tsipras del 2015.
Infatti,
il Piano B è nato dal riflesso di come Tsipras si trovò finalmente di
fronte ad un muro di istituzioni europee e senza la capacità di un piano
alternativo; ciò che lo costrinse ad accettare le condizioni che gli
erano state imposte, il che in realtà era insopportabile per il popolo
greco. Non vogliamo arrivare al potere e trovarci nella stessa
situazione. Ci impegniamo per l’ideale europeo, perché pensiamo che la
Francia non debba fare tutto da sola, ma non può contribuire all’Unione
Europea che oggi ci distrugge e fa soffrire i cittadini.
In
questo contesto, se dovessimo scegliere tra l’Unione Europea e dover
vivere… beh, preferiamo vivere. Ribadisco, per chiarezza, che il piano A
è la priorità, stabilire le condizioni e utilizzare l’arma del piano B
nel rapporto di forza per ottenere ciò che vogliamo.
Mélenchon
ha detto che “l’Europa si sta dirigendo verso il disastro”. In tutta
Europa prevale l’idea del “There Is No Alternative”. Abbiamo parlato di
questa strategia piano A/piano B che fa parte anche del manifesto “E ora
il popolo!”. Quali sono le prospettive politiche del cosiddetto appello
di Lisbona?
“E
ora il popolo” è per il momento una coalizione europea, un movimento
europeo, che è stato lanciato inizialmente con Podemos in Spagna e Bloco
de Esquerda in Portogallo, al quale da allora si sono uniti diversi
movimenti e diversi partiti in Europa. L’obiettivo per noi era quello di
collegare e consentire l’azione congiunta di forze politiche emerse
negli ultimi dieci anni, che spesso erano movimenti piuttosto che
partiti – anche se il Bloco de Esquerda non aveva esattamente lo stesso
status degli altri – in una struttura diversa da quella tradizionalmente
esistente in Europa, ovvero il PGE o il GUE.
In
particolare perché consideriamo che queste strutture oggi sono un po’
dominate da un asse tra i tedeschi e Syriza, mentre noi vogliamo fare
qualcosa di diverso da quello che è successo in Grecia con Tsipras. Non
possiamo partecipare a un movimento europeo con Syriza, quindi abbiamo
voluto creare un’altra coalizione.
Ha
uno status ibrido, cioè ci sono membri di questa coalizione che sono
anche membri del PGE – non abbiamo chiesto loro di fare altrimenti – ma
volevamo che questo manifesto permettesse di iniziare a costruire questa
alternativa, in definitiva, della nuova sinistra europea.
Quali
sono i suoi obiettivi? C’è una campagna europea, il nostro obiettivo è
proporre e mettere in campo iniziative congiunte da parte della
coalizione di “E ora il popolo!”, con quei soggetti che possono
affermare che “quello che noi stiamo portando avanti in Francia
nella battaglia europea, è lo stesso che viene anche in Spagna da
Podemos o in Portogallo dal Bloco de Esquierda“. Quindi, si tratta,
durante la campagna, di organizzare iniziative congiunte, linee comuni
di comunicazione, partecipazione a riunioni di confronto a Parigi,
Madrid, ecc…
Poi,
dopo le elezioni, speriamo di essere costituiti in un nuovo gruppo
grazie a “E ora il popolo!” o in un sottogruppo (non è ancora deciso da
parte di tutti) all’interno del gruppo di sinistra, ma sempre con una
visione critica e alternativa all’Unione Europea.
Penso
che tutte le opzioni sono sul tavolo e tutto questo dipenderà un po’
dal rapporto di forza durante e dopo le elezioni europee. Il progetto,
in ogni caso, è quella di aver avviato una coalizione europea per
espandersi e creare essere al tempo stesso un luogo in cui possiamo
agire insieme, dibattere e confrontarci, agire per preparare la presa
del potere nei diversi paesi europei. E questo perché se uno di noi
salirà al potere nel suo paese, potrà anche condividere la sua
esperienza con gli altri paesi, per promuovere le loro possibilità e le
loro capacità di arrivare al governo.
É così che vedo la coalizione “E ora il popolo!” e spero vivamente che continui ad espandersi nelle prossime settimane.
* La legge ordinaria francese, soprattutto nel c.p.p. francese, prevede un potere di direttiva del Ministro della giustizia con riferimento all’esercizio dell’azione penale, tanto in termini generali, di politica criminale, quanto con riferimento al caso di specie,
sul quale dovrà poi pronunciarsi la magistratura giudicante; il
pubblico ministero è comunque indipendente nelle scelte relative al
processo orale (ovvero sul modo di condurre in porto l’inchiesta
“ordinata” o “suggerita” dal governo attraverso il Ministro della
giustizia.