lunedì 17 dicembre 2018

Chi pagherà il conto della crisi dei derivati

La politica e gli italiani sono spesso distratti. In più si avvicinano le feste di fine anno, che moltiplicano le distrazioni. Al contrario, ai vertici dell’Europa, sono in corso grandi manovre che peseranno non poco sulle vicende dei gruppi bancari e che meritano attenzione. Per comprendere quanto forse sta accadendo occorre partire da quanto è già accaduto. Negli anni scorsi, senza che, almeno in Italia, ce ne fosse piena consapevolezza, sono entrate in vigore regole sempre più stringenti sul settore. Nel 2014 l’attribuzione alla Bce della vigilanza unica sulle banche europee ha innescato un pressing a tutto campo per la cessione degli Npl. Due anni dopo, la revisione dei criteri per i salvataggi bancari, con l’introduzione dal 2016 del cosiddetto bail-in.
Il risultato è che i clienti d’importanti banche locali italiane l’hanno pagata cara. Contemporaneamente le banche italiane, come documentato nell’inchiesta pubblicata dal Sole 24 Ore domenica 2 dicembre, hanno dovuto cedere in tempi fulminei una parte importante dei crediti deteriorati regalando una torta ricca a pochi grandi gruppi internazionali. Soltanto nel 2017 e nel periodo gennaio-settembre 2018, secondo dati europei, sono stati venduti crediti deteriorati in Italia per 59 miliardi. Aggiungo io a valori irrisori.
Al contrario, grazie alle protezioni europee, la vera mina vagante del mondo bancario, i derivati e le forme collegate, è rimasta sotto traccia. E ora rappresenta una vera minaccia per la solidità delle grandi banche tedesche, e anche francesi. Contemporaneamente è all’ordine del giorno la revisione del Fondo europeo salva Stati, che in futuro potrebbe intervenire nel caso di crisi bancarie, senza chiarezza sulle regole d’ingaggio. Il sospetto che tutto ciò sia funzionale a scaricare almeno una parte dei guai che aleggiano intorno ad alcune grandi banche tedesche (e francesi) appare più che giustificato. Francamente, se ciò accadesse, sarebbe inaccettabile.

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