Una furbata a cui neanche Silvio Berlusconi sarebbe mai arrivato. La
scheda per il referendum costituzionale presentata la settimana scorsa
dal premier Matteo Renzi non è solo l’apoteosi della politica ridotta a
marketing, ma anche un colpo bassissimo, una vera scorrettezza nei
confronti di chi si batte perché vinca il NO e, comunque, per tutti gli
elettori.
Il quesito che ci ritroveremo davanti fra un paio di
mesi recita così: «Approvate il testo della legge costituzionale
concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo
paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei
costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la
revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”»?
È un
chiaro tentativo di manipolare l’elettorato, un arrembaggio in extremis
per far pendere dalla propria parte gli elettori più indecisi. Ed è
tanto più odioso perché evidentemente mette nel mirino le persone più
ingenue e inermi, quelle che hanno meno strumenti per rendersi conto di
quando qualcuno cerca di raggirarle.
Quell’anima pia del ministro
per le Riforme Maria Elena Boschi - non a caso occultata nelle ultime
settimane, da quando cioè a Palazzo Chigi si sono resi conto che la sua
arroganza e il tono con cui ripete a memoria i ritornelli renziani
danneggiano il fronte del Sì - non ha perso nemmeno stavolta l’occasione
di tacere, ricordandoci che “il quesito referendario si limita a
riprodurre il titolo della legge costituzionale”. Già, formalmente ha
ragione… Ma che c’entra?
In tutta la storia referendaria
repubblicana, nei quesiti appare il numero della legge e la data di
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale; i nomi delle leggi sono noiosi e
burocratici e i quesiti referendari con cui si chiede al popolo di
esprimersi su quelle leggi lo sono altrettanto. Un motivo c’è: la
campagna elettorale deve terminare prima della votazione. Non è lecito
influenzare gli elettori quando sono già entrati in cabina elettorale,
ovvero quando i sostenitori della parte avversa non hanno più occasione
di replicare, di smentire la tua propaganda.
Forse non tutti se
lo ricordano, ma il 7 ottobre 2001 andammo a votare per decidere se
confermare o meno la modifica del Titolo V della Costituzione e sulla
scheda leggemmo questo: «Approvate il testo della legge costituzionale
concernente “Modifiche al titolo quinto della parte seconda della
Costituzione” approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta
Ufficiale n. 59 del 12 marzo 2001»?
Poco meno di cinque anni
dopo, il 25 e il 26 giugno del 2006, fummo chiamati invece a esprimerci
su un’altra riforma costituzionale, quella varata dal governo
Berlusconi. In quel caso il quesito referendario recitava così:
«Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche
alla parte II della Costituzione” approvato dal Parlamento e pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005»?
In
entrambi i casi la domanda era semplice, concisa ed equilibrata. Chi non
aveva la minima idea di cosa si stesse parlando non poteva trarre
alcuna indicazione su come votare dal testo del quesito. Dieci anni fa,
per fortuna, gli italiani s’informarono a sufficienza prima di andare a
votare e bocciarono quella legge, salvando la Costituzione da
Berlusconi. Oggi, purtroppo, di fronte al cesarismo turlupinatorio di
Renzi, ci siamo ridotti a citare Berlusconi come un esempio di
democrazia.
Già, perché non è democratico far ascoltare agli
elettori una sola campana. Non è corretto parlare di “superamento” del
bicameralismo paritario - suggerendo un’idea di miglioramento - senza
spiegare in quale scempio si trasformerà il nuovo Senato. Non è giusto
parlare di “riduzione del numero dei parlamentari” senza spiegare che il
Senato sarà riempito di sindaci e consiglieri regionali che non saranno
eletti a Palazzo Madama direttamente, ma attraverso una legge
elettorale che ancora non esiste. Non è onesto parlare di “contenimento
dei costi di funzionamento delle istituzioni”, senza spiegare che si
tratta degli spicci per la merenda, compresi tra lo 0,01 e un po’ più
dello 0,03% del Pil.
Le schede devono essere asettiche. Anche
perché, a voler formulare un quesito realmente didattico, si dovrebbe
anche precisare che - combinando gli effetti di questa riforma
all’attuale assetto dell’Italicum - il risultato è un rafforzamento
allarmante del potere esecutivo a danno di quello legislativo.
Stranamente, però, questo dettaglio è stato omesso. In effetti, forse
dovremo ritenerci fortunati se sulla scheda troveremo ancora la casella
del NO.
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