Le ultime vicende che vedono i colossi del web e dell’informatica,
Apple in testa, sotto accusa per i marchingegni fiscali e le gigantesche
evasioni, non ci parlano solo del meraviglioso e intricato mondo del
business nell’era globalizzata nella quale si produce in Cina, si
distribuisce in Irlanda e si pagano le tasse finali a Bermuda, ma di una
realtà sempre più evidente: che le multinazionali e i grandi gruppi
finanziari stanno sostituendo gli stati e dunque stanno anche spazzando
via la democrazia. Il caso della mela morsicata è esemplare: non
contenta della tassazione in Irlanda che peraltro è appena del 12,5% nel
2003 riuscì ad imporre a Dublino un’aliquota dell’ 1% e a portarla
gradualmente a niente, a una ricarica di telefonino, ovvero lo 0,005% ,
il 5 per mille per chi non si trova a suo agio con le cifre decimali.
Adesso l’Irlanda, dopo una sentenza europea chiede ad Apple 13 miliardi
di tasse, per le attività economiche svolte sul proprio territorio, ma
succede un fatto stranissimo e surreale: gli Usa dapprima hanno
minacciato ritorsioni, poi il ministro del tesoro ha suggerito che forse
la multinazionale (che ovviamente paga cifre ridicole anche in America)
potrebbe ridurre l’importo dovuto all’Irlanda “se le autorità degli
Stati Uniti dovessero imporre ad Apple di versare per il periodo 2003 –
2014, importi maggiori alla società madre statunitense per il
finanziamento delle attività di ricerca e sviluppo”.
E’ chiaro che si tratta di un tentativo di salvataggio in extremis francamente privo di senso visto che non si vede la ragione per cui l’Irlanda dovrebbe cedere parte del suo credito agli Usa in cambio di una fumosa e pelosa promessa su un cambiamento delle regole in terra americana. Ma dall’episodio emergono fin troppo chiaramente due cose: da una parte il totale disconoscimento della sovranità altrui tanto da voler rubare e lucrare il maltolto quasi si trattasse di una storia di malavita, dall’altra la subalternità di Washington ai poteri di economici, che la costringe farsi carico non solo dell’evasione ed elusione nazionale, ma di difenderla anche altrove. Insomma come se fossero ormai una specie di Blackwater globale, di braccio armato del profitto.
Del resto in un sistema liberista non potrebbe essere altrimenti: la nomenklatura capitalista comanda ad onta dell’apparente democrazia; la globalizzazione, la battaglia contro il lavoro, i salari e il welfare hanno fatto crescere i profitti e li hanno finanziarizzati, a fronte di un calo produttivo, tanto che nel secondo trimestre di quest’anno i dividendi azionari sono stati di 372 miliardi dollari e questo secondo le stime ufficiali che ovviamente non tengono conto delle sottostime, degli imboscamenti e dei camuffamenti di denaro, dei dividendi non versati o di quelli occulti, delle capitalizzazione borsistiche, dei guadagni azionari di tantissimi dirigenti dei grandi gruppi, dell’economia criminale o di quella sommersa, della finanza off shore, o delle evasioni fiscali. Bene che vada la gigantesca cifra è solo la punta di un iceberg e tuttavia già così e nemmeno tendendo conto di una stima di crescita del 4% entro il 2016 fatta dalla Henderson Global Investors, arriviamo su base annua a 1 miliardo e 488 miliardi di Euro, vale a dire una cifra superiore al Pil di quasi tutti i Paesi del mondo e inferiore solo a quello dei primi 9. E’ più, molto di più, di qualsiasi Paese dell’America latina ad eccezione del Brasile, è più di qualsiasi Paese dell’Africa, molto superiore alle tre grandi economie del continente, ovvero Sudafrica, Nigeria ed Egitto e assai di più di qualsiasi stato dell’Asia, fatte salve Cina e India. Sono cifre, anche se solo ufficiali, che determinano il comando perché qualsiasi Paese è sotto ricatto, basta premere un tasto.
E tuttavia i numeri stratosferici non cancellano anzi rafforzano l’idea di trovarsi di fronte ad un mondo illusorio ed estremamente fragile: tornando alla web e sharing economy dalla quale siamo partiti possiamo focalizzarci sulla Airbnb, una società fondata bel 2008 da tre ragazzotti californiani che oggi sono multimilardari con l’idea di mettere in rete il business fiorente, proprio a causa delle crisi, delle case vacanza. Con solo un’idea nemmeno poi cosìoriginale e di fatto già in qualche modo esistente sia pure a titolo gratuito, con una banalissima struttura informatica, senza alcuna proprietà materiale, nemmeno quella dei server sono diventati leader mondali di questo interscambio e per tutto questo salvo che negli Usa dove viene usato il paradiso fiscale de facto del Delaware, la società madre e le consorziate pagano un inezia di tasse in Irlanda. Si tratta allora di un miracolo che conferma la retorica oscena e vacua delle start up? No si tratta dell’economia di carta: in Italia che è il terzo Paese al mondo dopo Usa e Francia per numero di contratti, i proprietari hanno guadagnato almeno in chiaro 394 milioni di euro con le case affittate su Airbnb. Ma solo una commissione del 3% per cento è finito alla società dunque all’incirca 11 milioni, mentre dagli ospiti temporanei arriva una percentuale che va dal 6 al 12% e quindi aggiungiamo altri 23 milioni. A questi sommiamo i “contributi” alla società di un milione e trecentomila italiani che si sono serviti di Airbnb per trovare case vacanza fuori del Paese: qui i conti sono più ardui, ma possiamo ipotizzare un’altra dozzina di milioni per un totale di circa 50 di milioni. Tantissimo per pagare appena 40 mila euro di tasse anche se tutti i contratti vengono in realtà firmati con la filiale irlandese della società.
Tantissimo ma anche problematico perché se è vero, come afferma la società che finora 60 milioni di persone hanno utilizzato il servizio di cui 2 milioni di proprietari gli incassi globali sebbene alti per un semplice servizio web e altissimo rispetto alla miseria di tasse pagate, si possono ipotizzare in circa 6 miliardi di entrate ( con una media, molto, ma molto generosa e di fatto improbabile di mille euro a contratto), ma allora com’è che i tre fondatori si ritrovano ognuno con un patrimonio personale di circa 3 miliardi e mezzo di dollari? Si deve andare a tentoni perché i bilanci sono segreti e del resto la Airbnb ha la sua sede principale nello stesso palazzo che ospitò a suo tempo la Buconero significativa società di Callisto Tanzi. Ora tutto questo per dire che nonostante la Airbnb secondo il Wall street journal non abbia fatto utili nel 2015 a causa delle spese per espandersi e che anzi le perdite operative siano state di 150 milioni, che il settore abbia comunque dei limiti di crescita e che adesso arriva il difficile con la concorrenza locale in via di contrattacco, la società ha ricevuto un miliardo di dollari da un gruppo di banche composto da Jp Morgan, Citigroup, Bank of America, Morgan Stanley e grazie a questo la sua valutazione è arrivata a 30 miliardi di dollari, una cifra spropositata se ci basiamo sui fondamentali. E tutti riposti in una fede assoluta e generica nella sharing economy che via Irlanda e Bermuda paga un semplice obolo di tasse. Quindi economia di rapina e bolle vanno di pari passo e collaborano insieme a costruire la potenza finanziaria con cui si tiene in vita il ricatto globale.
E’ chiaro che si tratta di un tentativo di salvataggio in extremis francamente privo di senso visto che non si vede la ragione per cui l’Irlanda dovrebbe cedere parte del suo credito agli Usa in cambio di una fumosa e pelosa promessa su un cambiamento delle regole in terra americana. Ma dall’episodio emergono fin troppo chiaramente due cose: da una parte il totale disconoscimento della sovranità altrui tanto da voler rubare e lucrare il maltolto quasi si trattasse di una storia di malavita, dall’altra la subalternità di Washington ai poteri di economici, che la costringe farsi carico non solo dell’evasione ed elusione nazionale, ma di difenderla anche altrove. Insomma come se fossero ormai una specie di Blackwater globale, di braccio armato del profitto.
Del resto in un sistema liberista non potrebbe essere altrimenti: la nomenklatura capitalista comanda ad onta dell’apparente democrazia; la globalizzazione, la battaglia contro il lavoro, i salari e il welfare hanno fatto crescere i profitti e li hanno finanziarizzati, a fronte di un calo produttivo, tanto che nel secondo trimestre di quest’anno i dividendi azionari sono stati di 372 miliardi dollari e questo secondo le stime ufficiali che ovviamente non tengono conto delle sottostime, degli imboscamenti e dei camuffamenti di denaro, dei dividendi non versati o di quelli occulti, delle capitalizzazione borsistiche, dei guadagni azionari di tantissimi dirigenti dei grandi gruppi, dell’economia criminale o di quella sommersa, della finanza off shore, o delle evasioni fiscali. Bene che vada la gigantesca cifra è solo la punta di un iceberg e tuttavia già così e nemmeno tendendo conto di una stima di crescita del 4% entro il 2016 fatta dalla Henderson Global Investors, arriviamo su base annua a 1 miliardo e 488 miliardi di Euro, vale a dire una cifra superiore al Pil di quasi tutti i Paesi del mondo e inferiore solo a quello dei primi 9. E’ più, molto di più, di qualsiasi Paese dell’America latina ad eccezione del Brasile, è più di qualsiasi Paese dell’Africa, molto superiore alle tre grandi economie del continente, ovvero Sudafrica, Nigeria ed Egitto e assai di più di qualsiasi stato dell’Asia, fatte salve Cina e India. Sono cifre, anche se solo ufficiali, che determinano il comando perché qualsiasi Paese è sotto ricatto, basta premere un tasto.
E tuttavia i numeri stratosferici non cancellano anzi rafforzano l’idea di trovarsi di fronte ad un mondo illusorio ed estremamente fragile: tornando alla web e sharing economy dalla quale siamo partiti possiamo focalizzarci sulla Airbnb, una società fondata bel 2008 da tre ragazzotti californiani che oggi sono multimilardari con l’idea di mettere in rete il business fiorente, proprio a causa delle crisi, delle case vacanza. Con solo un’idea nemmeno poi cosìoriginale e di fatto già in qualche modo esistente sia pure a titolo gratuito, con una banalissima struttura informatica, senza alcuna proprietà materiale, nemmeno quella dei server sono diventati leader mondali di questo interscambio e per tutto questo salvo che negli Usa dove viene usato il paradiso fiscale de facto del Delaware, la società madre e le consorziate pagano un inezia di tasse in Irlanda. Si tratta allora di un miracolo che conferma la retorica oscena e vacua delle start up? No si tratta dell’economia di carta: in Italia che è il terzo Paese al mondo dopo Usa e Francia per numero di contratti, i proprietari hanno guadagnato almeno in chiaro 394 milioni di euro con le case affittate su Airbnb. Ma solo una commissione del 3% per cento è finito alla società dunque all’incirca 11 milioni, mentre dagli ospiti temporanei arriva una percentuale che va dal 6 al 12% e quindi aggiungiamo altri 23 milioni. A questi sommiamo i “contributi” alla società di un milione e trecentomila italiani che si sono serviti di Airbnb per trovare case vacanza fuori del Paese: qui i conti sono più ardui, ma possiamo ipotizzare un’altra dozzina di milioni per un totale di circa 50 di milioni. Tantissimo per pagare appena 40 mila euro di tasse anche se tutti i contratti vengono in realtà firmati con la filiale irlandese della società.
Tantissimo ma anche problematico perché se è vero, come afferma la società che finora 60 milioni di persone hanno utilizzato il servizio di cui 2 milioni di proprietari gli incassi globali sebbene alti per un semplice servizio web e altissimo rispetto alla miseria di tasse pagate, si possono ipotizzare in circa 6 miliardi di entrate ( con una media, molto, ma molto generosa e di fatto improbabile di mille euro a contratto), ma allora com’è che i tre fondatori si ritrovano ognuno con un patrimonio personale di circa 3 miliardi e mezzo di dollari? Si deve andare a tentoni perché i bilanci sono segreti e del resto la Airbnb ha la sua sede principale nello stesso palazzo che ospitò a suo tempo la Buconero significativa società di Callisto Tanzi. Ora tutto questo per dire che nonostante la Airbnb secondo il Wall street journal non abbia fatto utili nel 2015 a causa delle spese per espandersi e che anzi le perdite operative siano state di 150 milioni, che il settore abbia comunque dei limiti di crescita e che adesso arriva il difficile con la concorrenza locale in via di contrattacco, la società ha ricevuto un miliardo di dollari da un gruppo di banche composto da Jp Morgan, Citigroup, Bank of America, Morgan Stanley e grazie a questo la sua valutazione è arrivata a 30 miliardi di dollari, una cifra spropositata se ci basiamo sui fondamentali. E tutti riposti in una fede assoluta e generica nella sharing economy che via Irlanda e Bermuda paga un semplice obolo di tasse. Quindi economia di rapina e bolle vanno di pari passo e collaborano insieme a costruire la potenza finanziaria con cui si tiene in vita il ricatto globale.
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