Negli ultimi giorni in Siria stiamo assistendo a un coinvolgimento
sempre più diretto nel conflitto di Turchia, Israele e Stati Uniti.
Incursioni aeree, bombardamenti e invasioni di terra, seppur limitati,
svelano l’insoddisfazione palpabile e la frustrazione evidente delle
nazioni più ostili a Damasco.
L’esempio più appropriato per porre
l’accento sul clima di delusione che si respira a Washington, riguarda
le dinamiche che hanno accompagnato la firma del cessate il fuoco tra
Kerry e Lavrov.
Con Aleppo assediata e i terroristi intrappolati
costretti a una rapida resa o a una resistenza limitata, gli Stati Uniti
e alleati sono stati obbligati a richiedere una soluzione temporanea al
conflitto che fermasse le ostilità.
Nonostante il precedente
fallimento del cessate il fuoco, Russia, Damasco e Teheran hanno
preferito negoziare, proseguendo comunque nell’azione militare. Avessero
rifiutato di negoziare, sarebbero stati dipinti da media e organi
internazionali come i veri mandanti di un intensificarsi del conflitto.
Ciò avrebbe facilmente spalancato le porte a un maggior coinvolgimento
di alleati regionali di Washington, giustificati a loro modo di vedere
dal rifiuto di Mosca di negoziare.
La Diplomazia Russa, Siriana e
Iraniana è riuscita a trasformare una posizione di forza militare ma di
apparente debolezza diplomatica, in una vittoria complessiva.
Washington è stata costretta a richiedere che i termini finali
dell’accordo fossero segretati. Mosca invoca trasparenza e pretende che
l’accordo sia reso pubblico.
Il fatto che gli Stati Uniti si
oppongano mostra l’ambiguità della Casa Bianca in merito alla lotta al
terrorismo in Siria. L’unico ipotetico punto di accordo dovrebbe
riguardare il coordinamento congiunto per colpire Al Nusra e Daesh anche
se il giorno successivo all’incontro tra Kerry e Lavrov, Ashton Carter
ministro della difesa USA, ha prontamente smentito l’accordo confermando
che Stati Uniti e Russia in Siria hanno obiettivi diversi.
Il
significato dietro questa dichiarazione lascia pochi dubbi. Washington
non è in grado o peggio non vuole abbandonare i terroristi che sostiene
in Siria contro Assad e non ha alcuna intenzione di rinunciare al piano
di cambio governo in Siria o di divisione territoriale del paese.
A riprova del coinvolgimento americano in Siria al fianco dei
terroristi, pochi giorni fa un evento importante è accaduto a Al-Rai nel
nord della Siria. Località situata sul confine con la Turchia è da poco
stata occupata dall’esercito di Ankara con l’aiuto di truppe islamiste
di FSA/AlNusra. Una dozzina di soldati americani delle forze speciali,
presenti nella cittadina siriana al fianco dei ‘ribelli moderati’, sono
stati costretti a fuggire sotto minacce esplicite di morte da parte dei
loro teorici ‘alleati’. Un corto-circuito in piena regola. La base di
Nusra/FSA non accetta di lottare palesemente al fianco di chi definisce
“infedele” (in realtà chi li arma e finanzia.)
Il dubbio che il
filmato fosse un’operazione mediatica per distanziare gli Stati Uniti
dai terroristi più radicali, è stato spazzato via dalle notizie
provenienti da Dair Al-Zur poche ore dopo:
In Siria alle 17.00
ore locali del 17 Settembre, due caccia F-16, due A-10 e un drone
d’attacco dell’USAF e della RAAF colpivano per ben quattro volte le
postazioni dell’Esercito Arabo Siriano (SAA) nei pressi di Dair Al-Zur
uccidendo sessantadue soldati, ferendone oltre 100 e causando ingenti
danni materiali. Poco dopo, le posizioni attaccate a Jabal Al Tahrdah
subivano l’avanzata di Daesh che già in precedenza circondava le
postazioni governative (la località di Dair Al-Zur è sotto assedio di
ISIS da quattro anni.)
Immediata la risposta di Mosca e Damasco
che dichiaravano Washington fiancheggiatore dei terroristi di Daesh,
mentre fonti del dipartimento di stato americano si giustificavano
parlando di un errore, senza alcuna intenzionale di colpire il SAA.
Qualunque lettura si dia alla vicenda, gli Stati Uniti sono colpevoli
di non essersi coordinati con Mosca sugli attacchi contro Daesh, come
rilevava immediatamente la diplomazia Russa alle Nazioni Uniti, in una
riunione d’emergenza richiesta da Mosca. Prendiamo per esempio il
livello d’isteria della diplomazia americana con le azioni di Samantha
Power, ambasciatrice USA alle Nazioni Unite. Senza nemmeno essere
presente all’intervento del rappresentante Russo, ha preferito
organizzare una conferenza Stampa in cui accusava Mosca di
strumentalizzare i morti in Siria, causati da “un semplice errore
americano”.
E’ evidente come gli Stati Uniti e alleati si siano
scavati una buca profonda da cui non sono in grado di uscire e
reagiscono con i nervi a fior di pelle. Non hanno più alcuna capacità di
invertire militarmente, modificare il corso che ha preso la guerra in
Siria e ne sono consapevoli.
Colpiscono località di nessuna
rilevanza strategica e in cui il SAA e alleati non schierano truppe o
materiale bellico per un confronto militare. Le località occupate dalla
Turchia nel nord del paese non fermano l’assedio su Aleppo e non
liberano i terroristi intrappolati nella città. Le incursioni di Israele
sulle alture del Golan non arrestano l’azione di Hezbollah e del SAA
contro Al Nusra e sigle affiliate protette da Tel Aviv. L’attacco alle
truppe governative Siriane a Dair Al-Zur non ha fatto crollare la
resistenza di una città assediata da quattro anni e difesa eroicamente
dall’Esercito Arabo Siriano (SAA).
Come ho già scritto in
precedenza, il coinvolgimento diretto delle nazioni opposte a Damasco è
un segno di debolezza, non di forza. Vedono ridursi drasticamente la
capacità di influenzare gli eventi sul campo e possono solo reagire
davanti a fatti compiuti.
Prendiamo l’episodio accaduto sulle alture vicino a Dair Al-Zur il 17 Settembre.
Dopo Aleppo e la riconquista di Raqqa, rompere l’assedio di Dair Al-Zur
è uno dei pilastri portanti della strategia di Mosca, Damasco e
Teheran. Le operazioni di Palmira nei mesi passati hanno rappresentato
il primo passo di una strategia più ampia volta a rompere l’assedio alla
città.
Dair Al-Zur è situata nell’est del paese e si trova al
centro dello snodo utilizzato per i rifornimento di ISIS verso Raqqa e
Mosul in Iraq. Con l’assedio delle truppe Siriane e Russe sul versante
Nord, ad Aleppo, i terroristi hanno un enorme interesse a mantenere
aperte le vie di transito tra Raqqa, Dair Al-Zur e Mosul; è una
prerogativa essenziale per mantenere viva la catena di rifornimenti e
aiuti (americani, giordani, turchi, sauditi e qatariani).
Nei
giorni precedenti l’azione americana, all’aeroporto di Dair Al-Zur era
giunto un contingente composto da un migliaio di nuove leve Siriane
appena addestrate e altri gruppi di provenienza Iraniana, truppe pronte a
combattere per le imminenti operazioni volte a liberare la città.
E’ con queste premesse, con questi fatti già compiuti sul campo che gli
Stati Uniti non sono riusciti a impedire, che Washington matura una
strategia ancor più sconsiderata e pericolosa.
Ignorando tutte le
norme internazionali e ogni principio di buon senso, sperando di
ottenere risultati benefici sul campo di battaglia, Obama decide di
inviare
2 F-16, 2 A-10 e un drone d’attacco per colpire le
postazioni del SAA sulle colline di Jabal al-Thardah, in ben 4 passaggi.
Colpendo le postazioni governative a Jabal, gli americani si auguravano
di favorire l’avanzata di Daesh per prendere controllo della collina
strategica, come poi puntualmente avvenuto.
Le colline di Jabal
al-Thardah sono strategiche giacché offrono una visuale unica
sull’aeroporto adiacente di Dair Al-Zur sotto controllo di Damasco.
Nell’immaginario americano l’azione avrebbe dovuto permettere a ISIS di
conquistare le postazioni dell’esercito per poi colpire le piste
d’atterraggio dalla montagna di al-Thardah, impedendo al SAA di far
giungere altri rinforzi per la liberazione della città, tagliando poi le
linee di comunicazione dei terroristi tra Iraq e Siria.
La
speranza di Daesh, condivisa dagli Americani, è svanita poco dopo con
l’intervento delle truppe governative, sostenuti in maniera decisiva dai
bombardieri Russi, che hanno rapidamente riconquistato le posizioni
abbandonate.
Washington ha reagito di fronte a un fatto compiuto
(i rinforzi in arrivo per la liberazione di una città strategica) e ha
ordinato di colpire deliberatamente le postazioni dell’esercito Siriano.
Come queste stesse informazioni siano arrivate a Daesh, in pratica in
tempo reale, appare evidente e svela le intenzioni degli Stati Uniti di
combattere al fianco dei terroristi, non contro il terrorismo.
E’
interessante analizzare i ragionamenti secondari che hanno
probabilmente spinto Washington a mettere in pratica tale piano
disperato e ingiustificabile. Nella mente degli strateghi di Washington,
confuse e avvilite per i continui fallimenti, continua a suscitare
emozioni persino il tentativo di provocare una reazione da parte di
Damasco, Mosca o Teheran di fronte ad azioni così insensate.
Il
movente vale anche per le azioni compiute da Israele e Turchia in Siria.
La logica che verte dietro questo ragionamento è la seguente: se Siria,
Russia o Iran dovessero mai reagire ad una delle infinite provocazioni,
giustificherebbero una risposta ancor più dura, aprendo la strada ad
un’escalation del conflitto. E’ una tattica sterile che da anni non
funziona e non porta alcun frutto, ricordiamoci l’atteggiamento di Mosca
nella vicenda Ucraina e nel Donbass in particolare.
Un altro
motivo che potrebbe aver spinto Washington a un’azione diretta contro il
SAA è la mancanza di fiducia percepita dai terroristi nei confronti
delle nazioni ‘amiche’. La cacciata delle forze speciali USA nel nord
della Siria è sintomatica della frustrazione che stanno accumulando le
truppe di AlNusra/Daesh/FSA a causa delle continue sconfitte.
Tuttavia la motivazione principale dietro a questa provocazione inaudita
resta il tentativo di sabotaggio dell’accordo di cessate il fuoco,
firmato recentemente. Gli Stati Uniti sentono di essere stati obbligati a
firmare e costretti a scendere a termini stabiliti altrove,
precisamente a Damasco e a Mosca.
Si sentono nell’angolo.
Hanno ottenuto l’obbligo alla riservatezza sul documento, ma questo non
fa altro che danneggiare la loro strategia, mostrando come la Casa
Bianca sia preoccupata di non far trapelare ai propri alleati e ai
terroristi sul campo, i termini di ciò che è stato deciso.
Merita un approfondimento, la visione strategica a lungo termine di Mosca in merito al conflitto Siriano.
Alla base di ogni ragionamento del Cremlino prevale una linea realista e
diplomatica che vorrebbe evitare uno scontro militare diretto con gli
Stati Uniti. Allo stesso tempo c’è la consapevolezza che ciò potrebbe
accadere e si preparano in questa direzione, non solo con la diplomazia
che pur sempre resta, insieme alla diffusione di notizie tramite RT,
l’arma principale contro Washington.
Putin e i suoi consiglieri
vorrebbero tenere gli Stati Uniti vincolati da un patto firmato e
garantito dalle Nazioni Unite. Il motivo sono le elezioni americane e la
possibilità che vincendo la Clinton, si possa arrivare rapidamente a
un’escalation del conflitto. Con un piano di pace e un accordo per
fermare le ostilità siglato dai predecessori Kerry-Obama, tutto sarebbe
più complicato per i neocons e per la Clinton.
Sarebbero
costretti a trovare una motivazione plausibile e giustificabile per
invalidare il patto di fronte al mondo intero. Le conseguenze sarebbero
devastanti con una nuova perdita di credibilità e di sostegno
internazionale, stretti alleati esclusi. L’ennesima prova che
dimostrerebbe l’incapacità degli Stati Uniti di rispettare gli accordi
presi.
L’accordo per fermare le ostilità, dunque è una
possibilità che vale la pena di essere esplorata da Mosca. Funzionasse,
potrebbe dare inizio a una seria discussione per finire il conflitto,
sedando le violenze.
In caso contrario rientrerà nella tattica
sempre più efficace della Russia di mostrare il vero intento degli Stati
Uniti in Siria: abbattere Assad a qualunque costo e con qualunque
metodo, compreso il terrorismo più cruento.
A tal proposito,
esiste anche un altro scenario, meno diplomatico ma molto più militare.
Qualcosa che Mosca ha sempre provato a evitare in ottica di un confronto
diretto con gli Stati Uniti.
E’ possibile che la linea rossa
tracciata da Mosca sia stata superata da Washington con l’azione del 17
Settembre scorso. Lo scenario consiste nella creazione di una
no-fly-zone (NFZ) in Siria controllata da Russia e Damasco e interdetta
ai velivoli della coalizione internazionale.
Un’idea fino ad ora
solo discussa informalmente tra Damasco, Teheran e Mosca ma che già
ipotizza una concessione particolare per i velivoli Turchi, in
determinate situazioni (nord del paese) e previo accordo con Damasco.
Dopo i recenti sviluppi militari e diplomatici, Mosca potrebbe presto
dichiarare i cieli siriani off-limits per l’USAF togliendo agli
americani anche quella preziosa capacità di ricognizione con droni,
metodo con il quale assiste direttamente i terroristi sul campo.
Con due mesi alle elezioni e un Obama completamente travolto dagli
eventi, una decisione di questo calibro manderebbe in frantumi i piani
americani e sarebbe un segnale forte e inequivocabile: la Russia non
tollera più l’ambiguità degli Stati Uniti e li considera parte
integrante del fronte terroristico, con tutte le conseguenze del caso.
In uno scenario del genere, sarebbe bene che qualcuno vicino al POTUS
gli ripetesse un concetto. Non è detto che Mosca arrivi al punto di
dichiarare un veto sui cieli Siriani, ma nel caso in cui dovesse
accadere, è bene essere consapevoli che una violazione comporterebbe
un’immediata reazione di batterie S-400 pronte a disintegrare i velivoli
nemici, americani compresi.
Obama vuole essere ricordato come il
presidente che scelse di violare l’ipotetica no-fly-zone Russa in
Siria, scatenando scenari apocalittici? A lui la scelta, con la speranza
che sia ancora in grado di porre un freno alle conseguenze tragiche che
milioni di cittadini americani e non subirebbero per colpa di una sua
errata decisione